Intervento all'Alter Expo Canili, Galliera (BO) 2 giugno 2019 |
Non può sfuggire, però, che
la parola “adozione” non è proprio contenuta nel testo originario della
predetta legge-quadro (ed è solo con la modifica dell’art. 4 della L. 281/91
apportata con la L. 244/2007 che per la prima volta si è fatto riferimento alla
necessaria presenza, nei canili sanitari gestiti da privati, di volontari delle
associazioni animaliste e zoofile preposti alla gestione delle adozioni dei
cani) e che le Regioni e poi le amministrazioni comunali, proprietarie dei cani
vaganti sul loro territorio, solo recentemente hanno cominciato a cogliere
l’importanza dell’incentivazione delle politiche finalizzate a favorire le
adozioni dei cani. Insomma, la legge si è essenzialmente occupata di
regolamentare le procedure di ingresso dei cani nei canili, ma non quelle di
uscita, ottenendo come risultato quello di
far diminuire da un lato la presenza di cani randagi per le strade, ma di far
aumentare a dismisura, dall’altro lato, il numero di cani ricoverati nei
rifugi, complici anche le mancate sterilizzazioni, l’assenza di adeguati
controlli e la tendenza di molti gestori privati a non favorire le adozioni per
non perdere le sovvenzioni erogate dai Comuni per ogni cane detenuto in canile.
Infatti, nonostante la
Legge 281/91 affidi la gestione dei canili ai Comuni sia direttamente che
tramite convenzioni con associazioni o privati, spesso sono proprio questi
ultimi a vincere i bandi di gara proponendo le offerte economiche più
vantaggiose, a discapito degli standard di benessere da assicurare agli animali.
Le amministrazioni pubbliche garantiscono ai canili privati da 1 a 5 Euro al
giorno per ogni cane. Secondo gli ultimi dati disponibili, nel 2017 sono stati
spesi oltre 400.000,00 euro al giorno per il mantenimento dei cani nei canili
italiani, per un totale di circa 150 milioni di euro all’anno (stima fatta per
difetto, stante l’assenza di molti dati). Il numero dei cani detenuti nei
rifugi nel 2017 è arrivato a quasi 115.000, con un aumento di quasi il 10%
rispetto all’anno precedente (ma analizzando i dati dell’ultimo decennio, il
trend appare positivo, con una diminuzione di oltre il 20% dei cani nei canili).
Si tratta di dati
ufficiali, ma da prendere con il beneficio di inventario, stante la
summenzionata assenza di reali controlli e la mancata registrazione in anagrafe
di tanti cani detenuti in canile, come rilevato in tante attività di indagine
disposte su ordine della magistratura. I canili censiti in Italia sono 1.200,
di cui 434 sanitari e 766 rifugi (114 canili assolvono entrambe le funzioni). Nel
Nord Italia si trova il 37% dei canili, il 19% si trova al Centro ed il 44% al
Sud. Nei canili del Mezzogiorno, però, si trova il 72% dei cani censiti. E’
evidente che ci troviamo, soprattutto nel meridione, di fronte a canili che
scoppiano e che presentano condizioni strutturali e di detenzione dei cani tali
da essere definiti, spesso a ragione, canili-lager.
In questi lager le gabbie
sovraffollate favoriscono la trasmissione di malattie infettive e parassitarie;
i maschi e le femmine, spesso non sterilizzati nonostante gli obblighi di
legge, sono liberi di accoppiarsi, con la paradossale conseguenza che questi
canili finiscono con l’aumentare il numero di cani da sfamare e curare; il
nutrimento spesso è insufficiente o inadeguato; i controlli sanitari sono carenti
e spesso non vi è neppure un responsabile sanitario. In alcuni canili il
maltrattamento raggiunge livelli estremi: cani massacrati a bastonate, cani che
si sbranano tra loro, cani che spariscono nel nulla.
Ecco allora che il
canile, che con la L. 281/91 doveva passare ad essere un luogo di speranza,
come sopra detto, in molti casi diventa un buco nero ove i cani vengono
risucchiati e diventano invisibili agli occhi di tutti, spesso anche dello
stesso personale che lavora in canile. E se ai cani viene risparmiata la pena
di morte, in molti casi si infligge loro un ergastolo con condizioni di vita
talmente penose che viene da chiedersi se sia valsa la pena di salvargli la
vita.
In un processo tuttora in
corso davanti al Tribunale di Catania, in cui viene contestato il reato di
associazione a delinquere, maltrattamento e truffa ai danni del Comune di
Catania al gestore di un canile privato e a funzionari della ASL e comunali che
non avrebbero effettuato i dovuti controlli, gli inquirenti paragonano i cani a
meri titoli di credito, tenuti in vita con la sola finalità di ricavarne un
guadagno economico.
Addirittura in un altro
processo, tuttora in corso, contro il gestore di un canile di Trani per
uccisioni, maltrattamento di animali e truffa ai danni di vari comuni
convenzionati con il detto canile (posto sotto sequestro e dato in custodia
alla LNDC, che ha provveduto alla cura e alla sistemazione di centinaia di cani
sostenendo ingenti spese, peraltro non ancora interamente rimborsate), è stata
contestata una particolare condotta fraudolenta, consistente nel trasferire il
microchip di cani intestati ai Comuni, al momento del loro decesso, su altri
cani che ne erano sprovvisti e che in questo modo ne perpetuavano la redditività
persino dopo la morte.
A completare questo
quadro desolante vi è da dire che le adozioni sono in costante diminuzione,
complice la crisi economica e la mancanza di reali incentivi. Vivere con un
cane è di fatto considerato un lusso, visto che i farmaci veterinari costano in
media cinque volte di più dei corrispondenti farmaci ad uso umano, le cure
veterinarie e il cibo per animali (non tenuti a scopo di lucro) sono sottoposti
all’aliquota IVA ordinaria (22%), e le detrazioni Irpef per farmaci e cure
veterinarie sono irrisorie.
Il lavoro delle
associazioni di protezione degli animali, in un contesto come quello descritto,
è davvero immane e spesso le istituzioni anziché agevolare il gravoso lavoro
che le associazioni si propongono di fare, non forniscono alcun valido aiuto e
addirittura spesso finiscono per ostacolare il lavoro dei volontari. Tanto per
fare un esempio, le recenti linee guida della Regione Sicilia per il contrasto
al fenomeno del randagismo, in una Regione ove moltissimi canili non sono a
norma, vietano inspiegabilmente alle associazioni protezioniste di attuare
progetti finalizzati a realizzare rifugi o strutture affini, anche se questi
dovessero essere conformi alle vigenti normative, e la Lega Nazionale per la Difesa
del Cane ha recentemente scritto al Presidente della Regione Sicilia per
segnalare questa ed altre criticità e chiedere la modifica delle linee guida in
modo da favorire il lavoro delle associazioni di protezione animale finalizzato
a curare gli animali nei canili e a incentivare le adozioni.
L’esperienza della Lega
Nazionale per la Difesa del Cane in questo campo è certamente tra le più
longeve e importanti in Italia, posto che la predetta associazione, con le sue
quasi cento sedi su tutto il territorio nazionale, dal 1950 gestisce canili
privati o convenzionati con le amministrazioni comunali e, seppur tra mille
difficoltà legate al continuo ingresso di animali e alla inevitabile carenza di
fondi adeguati, riesce a salvare ogni anno decine di migliaia di cani e a trovare
loro una buona adozione.
Ai volontari della LNDC
viene fornito un manuale operativo contenente le linee guida elaborate in tanti
anni di attività sul campo lungo due direttrici che sono strettamente correlate:
tutelare il benessere e la salute degli animali ospitati nelle strutture e
promuovere adozioni responsabili.
La corretta gestione del
canile e degli animali ivi ospitati si sostanzia in una serie di attività
(pulizie, somministrazione del cibo, socializzazione, uscite in passeggiata,
ecc.) che vanno svolte tenendo conto delle caratteristiche di ciascun soggetto,
e che non devono essere finalizzate soltanto al conseguimento del benessere
fisico, ma anche e soprattutto alla instaurazione di un rapporto di socialità
con le persone e con gli altri animali. Nello svolgimento delle predette
attività è importante dedicarsi all’osservazione dei cani e alla valutazione
degli indicatori di benessere e degli aspetti comportamentali, avendo come fine
ultimo e principale quello di rendere il cane adottabile.
Per i cani con lievi
problemi di comportamento vanno attuati percorsi di socializzazione mentre per
quelli che presentano aggressività o disturbi più gravi bisogna ricorrere alla
valutazione di un medico veterinario comportamentalista e intraprendere, se
necessari ed attuabili, percorsi terapeutici e rieducativi attraverso apposite
figure professionali (veterinari comportamentalisti ed educatori o istruttori
cinofili).
In ogni caso bisogna
partire dal principio secondo cui il periodo di permanenza degli animali nel
canile deve essere il più breve possibile e che, comunque, durante detto periodo,
non deve mai mancare l’interazione con l’essere umano, in quanto il contatto
diretto con l’uomo è estremamente importante per il raggiungimento
dell’obiettivo finale, che è, per l’appunto, quello di dare i cani in adozione.
Le attività sopra
ricordate a titolo esemplificativo (pulizia, gioco, passeggiata) offrono anche
l’opportunità di conoscere meglio il carattere di ogni singolo cane e tale
conoscenza è importante al fine di individuare l’affidatario più idoneo,
prendendo in considerazione i reciproci temperamenti. L’esperienza maturata dalla
Lega Nazionale per la Difesa del Cane insegna che un corretto abbinamento
uomo-animale si basa sulla valutazione non solo delle caratteristiche del cane,
ma anche di quelle del nuovo affidatario, del nucleo familiare e del luogo di
abitazione, nonché delle aspettative che hanno indotto le persone all’adozione.
Ecco perché quando sopra
ho parlato di “adozioni” gestite dalla LNDC, ho aggiunto degli aggettivi,
qualificandole come “responsabili” o “buone” adozioni. Solo attivando un
sistema di adozioni che preveda un buon affidamento dell’animale si può pensare
di ridurre il numero dei rientri in canile.
I volontari dispongono di
un questionario standard da sottoporre all’aspirante adottante per poter valutare
la consapevolezza, da parte di quest’ultimo, dell’importanza della scelta che
sta per compiere. Il questionario viene poi comunque seguito da un colloquio,
ma serve da primo filtro in quanto, da un lato, fornisce all’adottante spunti
di riflessione su ciò che significa possedere un cane e, dall’altro, fornisce
al personale del canile degli elementi di valutazione sulla "serietà"
delle intenzioni di chi richiede l’adozione di un animale.
Ai controlli pre-affido
segue un periodo di prova, anch’esso utile per verificare la serietà
dell’impegno del nuovo affidatario e fornirgli suggerimenti pratici sulla gestione
dell’animale, in modo da favorire l’instaurarsi di un buon legame. Il periodo
di prova serve infatti anche a creare un rapporto empatico tra l’animale e il
nuovo affidatario, in modo che quest’ultimo possa imparare a capire le esigenze
dell’animale e a comunicare con lui. Una volta perfezionata l’adozione, le
sezioni della LNDC, ove possibile, offrono anche un sostegno post – affido per
consentire di superare agevolmente le piccole difficoltà che possono insorgere
a seguito della convivenza con l’animale.
Ecco perché storicamente
la Lega Nazionale per la Difesa del Cane ha promosso il principio secondo cui l’adozione
degli animali deve avvenire sul loro territorio di appartenenza. La spedizione
di cani in territori lontani rende impossibile fornire quei servizi pre e
post-affido indispensabili per monitorare il benessere dell’animale non solo
prima, ma anche dopo l’adozione. Ovviamente non si può non tenere conto dei
dati reali, sopra citati, che evidenziano un’incidenza del fenomeno del
randagismo molto più marcata nel sud che nel nord Italia, il che rende
giustificabili le operazioni di trasferimento dei cani, ma solo nel rispetto di
alcune condizioni, legate non solo all’idoneità dei mezzi e delle procedure di
trasporto, secondo le linee guida ministeriali, ma soprattutto alla validità
delle adozioni cui i cani sono destinati.
Per questo è
indispensabile una sinergia tra i vari operatori, sia pubblici che privati, che
sul territorio nazionale si occupano di queste tematiche, ma tale sinergia si
trova ancora allo stadio di un sogno evanescente. La LNDC in molti casi ha
dovuto prendere posizione in modo forte contro trasferimenti di massa stabiliti
da alcune amministrazioni comunali per liberarsi dei cani presenti nei canili e
gravanti sulle proprie casse. Invero, non di rado vengono segnalati bandi in
cui le amministrazioni offrono somme di denaro una tantum per ogni cane da adottare ed i cani vengono ceduti in
stock senza preoccuparsi di quale sarà la loro sorte.
Insomma, per uscire dalla
situazione emergenziale che si è descritta occorre perseguire una serie di
obiettivi, tra i quali: effettuare le sterilizzazioni; garantire la presenza di
associazioni di volontariato nei canili per facilitare le adozioni; utilizzare
correttamente i social media per promuovere le adozioni; formare dovutamente i
medici veterinari della ASL che devono effettuare i sopralluoghi nei canili affinchè
valutino scrupolosamente e con competenza il rispetto delle condizioni di
benessere animale (troppo spesso i canili che vengono sottoposti a sequestro risultavano
formalmente in regola con le certificazioni da parte del servizio veterinario
della ASL fino al giorno prima dei provvedimenti cautelari della magistratura);
realizzare un’efficiente anagrafe nazionale canina; fornire incentivi per chi
adotta, sotto forma di riduzione Iva e detrazioni fiscali.
Un ruolo importante per
uscire dall’emergenza randagismo devono assumere, in questa fase, proprio i
canili. Quelli esistenti vanno in gran parte riqualificati, ed è auspicabile avere
a modello la figura del parco-canile. Occorre rendere il canile un luogo di
educazione e interazione uomo-animale finalizzato al rispetto del benessere
secondo i bisogni fisiologici ed etologici del cane nonché alla corretta
relazione intra e interspecifica, trasformandolo da struttura potenzialmente
problematica a centro di valorizzazione del rapporto con l’animale. Dunque, non
una struttura maleodorante ai margini della città, ma un luogo ove poter
portare le scolaresche per l’attuazione di programmi di educazione ambientale.
Sinora ho accostato il
canile a varie immagini, sia negative (canile-lager, canile-buco nero), sia
positive (canile-luogo di speranza, canile-parco), queste ultime correlate più
ad una dimensione futura che all’attuale stato dell’arte, anche se non mancano,
come detto, esempi virtuosi di canili ove si attuano le pratiche sopra
descritte, e molti canili della LNDC possono essere individuati in questo senso
come modelli per progetti-pilota.
Tra questi, il canile
“Cucce Felici” dalla Sezione di L’Aquila della LNDC, che opera in un territorio
ampio e complesso, ove sono stimati da 4 a 6mila cani vaganti, anche se un
censimento non è mai stato effettuato, con una situazione diventata allarmante
in seguito al terribile terremoto che ha colpito duramente l’intera zona. Il
canile ospita cani in genere difficilmente adottabili, poiché la maggior parte sono
di grossa taglia e scarsamente socializzati, ma è stato dato grande impulso
alle adozioni proprio riorganizzando il canile e facendo corsi di formazione
per gli operatori.
La sezione di Vieste
della LNDC ha invece attuato un progetto, intitolato “Zero cani in canile”,
ideato dalla socia Francesca Toto, che, partendo dall’analisi dei dati
territoriali, ha constatato la scarsa utilità della struttura-canile ai fini
della promozione delle adozioni ed ha sperimentato la soluzione di cercare
adozioni subito dopo il rinvenimento di cani randagi senza passare per il
canile, sulla base di protocolli approvati dalle istituzioni. Il progetto
prevede una preventiva formazione per chi ospita i cani fino all’adozione, e
punta dunque sul decentramento e sul supporto della cittadinanza.
A questo punto una
riflessione finale la vorrei fare su un piano diverso, e cioè sul canile come
permanente contraddizione in termini rispetto al diritto dei cani di poter
vivere liberamente la propria vita. In questo senso il canile è una resa
incondizionata alla nostra incapacità a livello sociale di instaurare un valido
rapporto relazionale con i cani. Basta riflettere sulla valenza di per sé
negativa della parola “randagio” e della locuzione “vagante sul territorio”,
come se il vivere liberamente fosse già di per sé una colpa. Abbiamo concepito
i canili come luoghi ove i cani vanno coattivamente deportati, marcati con un
numero e detenuti finchè non si trova loro una casa, e tutto ciò a beneficio
della sicurezza delle nostre città, ove si deve avere la tranquillità di non
imbattersi in un branco di cani. In questo senso ai cani è riservata una sorte
a metà strada tra quella dei gatti (che non creano problemi di sicurezza, e per
i quali non è prevista la cattura obbligatoria) e quella dei cinghiali (che non
sono animali da compagnia, sicchè la soglia della sopportazione sociale è molto
meno elevata, e le Regioni danno tranquillamente il via libera ai cosiddetti
piani di contenimento, cioè alla loro soppressione).
Da questo punto di vista
si coglie la complessità del mondo della lotta al randagismo, un mondo nel
quale le associazioni di protezione animale sono asfissiate dal lavoro senza
sosta per dare ai cani una speranza di vita migliore e non si ha il tempo di
riflettere sul fatto che il canile dovrebbe essere invece un concetto limite:
il canile perfetto dovrebbe essere vuoto, dovrebbe solo essere pronto all’uso
temporaneo per le necessarie cure e per poi ricollocare l’animale sul
territorio o presso un adottante che dia le dovute garanzie di serietà, oppure
per le attività di promozione culturale sopra descritte. Per arrivare a questo,
però, sappiamo bene che si deve uscire, con le ricette sopra indicate,
dall’attuale situazione emergenziale che rende anche il solo parlare di canile-parco
un esercizio di fantasia. L’auspicio è che arrivi presto il giorno in cui tutto
ciò di cui si è parlato finora venga visto come testimonianza di un’epoca
passata, in cui non si era ancora trovato il modo di garantire a livello
sociale un rapporto davvero equilibrato tra l’uomo e gli altri animali e in
particolare tra l’uomo e gli animali migliori del mondo: i cani.
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