Quando, circa venti anni
fa, proposi alla professoressa Maria Gabriella Esposito, docente di Filosofia
del Diritto all’Università degli Studi di Teramo, una tesi sulla tutela
giuridica degli animali, la stessa si mostrò interessata a questa tematica e mi
assegnò il seguente titolo: “Il diritto degli animali”.
Quel titolo, all’epoca,
non mi piaceva tanto. Mi sembrava poco preciso dal punto di vista giuridico, in
quanto pensavo che non fosse corretto parlare di “diritto degli animali”, non ritenendo
questi ultimi soggetti di diritto. All’epoca il punto di arrivo delle
riflessioni sul rapporto uomo-altri animali mi sembrava ben condensato nei
precetti della cosiddetta “etica della responsabilità”, secondo cui il nostro
compito deve essere quello di prenderci cura degli animali, essendo questi
ultimi capaci di sofferenza, benché privi di soggettività giuridica. Sul piano
giuridico, tali posizioni possono ritenersi chiaramente esposte nella relazione
presentata dal primo presidente della Corte di Cassazione Ernesto Eula al
convegno organizzato nel 1961 dal titolo Gli
italiani e la natura, in cui il predetto magistrato parlò di “una somma di
doveri per gli uomini” nei confronti degli animali. Questi ultimi, pur privi di
soggettività giuridica, non potevano essere visti come semplici cose e pertanto
si doveva riconoscere loro “un diritto di rispetto, di umana comprensione, di
moderazione negli usi”[1].
Come noto, un grande
impulso ad una radicale revisione del modo di vedere il rapporto uomo-animali è
stato dato dalle teorie, elaborate a partire dagli anni 70 del secolo scorso,
da Peter Singer e Tom Regan, che hanno definitivamente messo da parte
l’approccio di tipo caritatevole tipico delle originarie, primordiali battaglie
per migliorare, già agli inizi del ‘900, le condizioni di vita degli animali.
Peter Singer è un filosofo australiano, autore del celebre testo “Liberazione
animale”, che fa leva sulla capacità degli animali di soffrire per farne
discendere il nostro dovere di sottrarli da ogni forma di inflizione del dolore[2]. Tom Regan è un filosofo
statunitense, che ha concentrato la sua attenzione sul fatto che ogni animale
non solo può provare dolore, ma è “soggetto di una vita”, la quale ha valore di
per sé[3],
e su questo approccio di tipo giusnaturalista ha fondato la sua etica di
rispetto per tutti gli animali “al di là di qualsiasi discriminazione”[4].