Ho recentemente rivisto in
televisione la quinta puntata della settima serie dei Simpson, intitolata “Lisa
la vegetariana”. In questa storica puntata Lisa decide, per l’appunto, di
diventare vegetariana, dopo aver visto allo zoo un tenero agnellino, del tipo di
quelli che in questi giorni sono stati protagonisti delle campagne
pubblicitarie animaliste contro la tradizione pasquale del pranzo a base di
agnello.
La sorte cui va incontro Lisa è
simile a quella di tutti i vegetariani. Iniziano una serie di discussioni con i
familiari, pronti a prodigarsi per far tornare Lisa onnivora e non mancano,
ovviamente, le denigrazioni e il sarcasmo degli amici, che non comprendono le
motivazioni della sua scelta.
Ho fatto una ricerca su internet
per fugare un dubbio relativo alla data della prima messa in onda negli Stati
Uniti del cartone animato, ed ho avuto una bella conferma: 8 ottobre1995, quasi
venti anni fa.
A quell’epoca, in Italia, parlare
di vegetarismo era come discettare di fantascienza. Solo ora le cose stanno cambiando
e il numero dei vegetariani è salito, negli ultimi dieci anni, da un milione e
mezzo a sette milioni (diconsi sette milioni, non settecentomila persone:
stiamo parlando del 12% della popolazione italiana).
La conclusione del discorso è la
seguente: anche su quest’argomento la cultura nordamericana risulta più
avanzata rispetto a quella del vecchio continente. C’è poco da fare, è così. La
conferma l’ho avuta un paio di estati fa, quando sono andato in vacanza negli
Stati Uniti, e molti amici avevano previsto, in modo sarcastico, che sarei
andato incontro ad una overdose di hamburger. Nulla di più sbagliato: non ho
mai visto tanti locali vegetariani, tanti chioschi di prodotti biologici e
naturali (sto parlando di New York, non di Old Mystic nel Connecticut), e tanti
libri di diete vegetariane nelle vetrine delle librerie.
Anche le statistiche confermano
quanto sto dicendo. Secondo il dipartimento dell’Agricoltura statunitense,
negli ultimi otto anni il calo del consumo di carni bovine negli U.S.A. è stato
del 10%. Secondo i calcoli dell’Earth Policy Institute di Lester Brown, nel
2012 si prevede il più basso livello di consumo di carne nel decennio.
Vuoi vedere che, dopo aver tanto deriso
gli americani per la loro obesità da hamburger, tra alcuni anni ci ritroveremo
di nuovo a doverli imitare, non per il loro fast food style ma per il loro veg
style?
Non mi sorprenderebbe, vista la
sensibilità che gli americani stanno dimostrando su questi argomenti. Attualmente,
in oltre quaranta università statunitensi, compresa la mitica Harward , si
insegna Animal Law. In Italia, ovviamente, neanche a parlarne: l’argomento non
ha dignità accademica. Negli U.S.A., inoltre, esiste un’apposita pubblicazione
specializzata destinata agli studi legali, l’Animal Law Journal. Da noi invece le
pubblicazioni delle associazioni animaliste vengono trattate alla stregua della
“Torre di Guardia” dei testimoni di Geova.
A proposito di religione, è nella
cultura anglosassone che si è aperto il dibattito tra cristianesimo e vegetarismo,
e sono stati studiati, anche a livello accademico, i rapporti tra teologia e
benessere animale. Tra tutti, vorrei ricordare il teologo anglicano Andrew
Linzey, direttore del Centro per l’Etica Animale all’Università di Oxford e
autore, assieme a Tom Regan (padre del pensiero animalista, anch’egli – guarda
caso – statunitense), del libro “Gli Animali e il Cristianesimo” e del libro
“Teologia animale”, che in questi giorni di Pasqua (parola che significa
“passaggio”) consiglio di leggere a chiunque fosse interessato ad approfondire
questi argomenti.
(pubblicato nella rubrica Lifestyle di abruzzoindependent.it)