sabato 11 marzo 2023

convegno sul Benessere Animale - 10/3/2023 - Villar Perosa (TO)


Gli argomenti che sono stati esposti sono interessantissimi e costituiscono la base scientifica sulla quale basiamo il nostro lavoro di denuncia e di azione in sede processuale per reprimere i maltrattamenti e le condotte che non sono rispettose del benessere animale.

Faccio una piccola digressione, comunque pertinente al tema della tutela del benessere animale, allargando un momento lo sguardo oltre al confine della categoria degli animali familiari.

Purtroppo, sono centinaia di milioni gli animali che ogni anno vivono la loro breve esistenza all’interno di piccole gabbie nelle quali hanno minime possibilità di movimento prima di essere utilizzati per fini alimentari. Anche nel settore degli allevamenti abbiamo norme che sono finalizzate a tutelare il benessere degli animali e in questo caso appare davvero beffardo accostare il termine benessere a quelle che sono le condizioni minime di rispetto di questi animali, che in realtà vivono in una condizione di vero e proprio maltrattamento, che però è consentito dalla legge.

L’art. 19-ter  delle disposizioni di coordinamento del codice penale introdotto dalla L. 189/04 afferma che le disposizioni che sono state introdotte sui reati di uccisione e maltrattamento e detenzione di animali con modalità incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze non si applicano in tutta una serie di casi previsti dalle leggi speciali in materia di caccia, di  pesca,  di  allevamento,  di  trasporto,  di macellazione  degli animali,  di  sperimentazione  scientifica sugli stessi, di attività circense,  di  giardini zoologici, nonchè dalle altre leggi speciali in materia di animali.

Basta che vengano rispettare le norme che impongono delle prescrizioni sulla temperatura degli ambienti e cose di questo tipo che la condizione di vita di questi animali viene tollerata dal nostro ordinamento.


La LNDC da tempo non si occupa solo di animali familiari, ma anche di selvatici (in particolare lupi e orsi) e animali allevati a fa parte della coalizione italiana che ha presentato l’ICE (iniziativa dei cittadini europei) denominata End The Cage Age (Fine dell’era delle gabbie) per eliminare l’uso delle gabbie negli allevamenti intensivi.

In Italia le scrofe allevate ogni anno sono circa mezzo milione. La quasi totalità di questi animali passa metà la propria vita in gabbie, prima “di gestazione”, durante le prime 4 settimane dalla inseminazione, e poi “di allattamento”, dall’ultima settimana prima del parto fino a tutto l’allattamento.

La gabbia impatta gravemente sulla libertà di movimento delle scrofe, che riescono soltanto ad alzarsi e sdraiarsi, e le priva della possibilità di esprimere i loro comportamenti naturali, come quello fare il nido per prepararsi al parto e di accudire i propri piccoli.

Stesso discorso vale per le galline. Poi ci sono i vitelli, il cui isolamento in box individuali impedisce il gioco, che è importante per il loro sviluppo sociale e mentale.

Sono state documentate anche le condizioni dei conigli allevati in Italia per la produzione di carne. Abbiamo visto questi animali, che in libertà sarebbero capaci di compiere salti di oltre quattro metri di lunghezza, ammassati e feriti alla testa e alle zampe per il continuo contatto con le reti metalliche, in gabbie spoglie, priva di qualsivoglia arricchimento ambientale. Abbiamo visto stereotipie causate dal sovraffollamento e fattrici in evidente stato di stress che grattano la porta chiusa del nido perché non possono scegliere liberamente quando interagire con i propri cuccioli, è l’operatore che apre e chiude il nido.

In pratica, una gabbia standard fornisce solo l’1% dello spazio necessario a un gruppo di conigli che, in condizioni naturali, coprirebbe una superficie di almeno 50 m2

In Italia sono allevate circa un milione di coniglie fattrici all’anno in circa 8.000 allevamenti, di cui 1.500 "professionali".

Se alziamo lo sguardo all’intera Europa, ci accorgiamo che pariamo di centinaia di milioni di animali allevati a fini alimentari nell’Unione europea che sono costretti a passare tutta la vita, o una parte significativa di essa, imprigionati in gabbie, a malapena in grado di muoversi e senza poter esprimere molti dei loro comportamenti naturali.

La Commissione Europea, dopo il milione e mezzo di firme raccolte, si è impegnata ad adottare entro il 2027 una legislazione che preveda la graduale eliminazione dell’uso delle gabbie.


Per rafforzare questo percorso, insieme alle altre associazioni abbiamo lanciato una nuova iniziativa: una diretta di 24 ore che riprende la vita di alcuni animali in gabbia, per dare un minimo di idea di che cosa significhi vivere tutta la vita in questo modo. Ne sto parlando adesso perché questo evento inizia proprio adesso, alle 22, e terminerà domani 11/3 sempre alle 22. Lo schermo è diviso in 4 riquadri con le 4 specie riprese in gabbia (scrofe, conigli, vitelli e galline). Nella giornata di domani, durante questa diretta, ci saranno molti interventi che spiegano lo stato dell’arte di questa battaglia epocale verso la fine degli allevamenti in gabbia. 

Riprendendo l’argomento che mi è stato assegnato, e che riguarda la tutela del benessere animale in sede giudiziaria, gli articoli che vengono in rilievo sono due, entrambi introdotti con la L. 189/04, e sono l’art. 544 ter ed il secondo comma dell’art. 727 c.p., nel nuovo testo introdotto dalla riforma.

L’art. 544 ter del c.p. prevede che chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue   caratteristiche etologiche è punito con la reclusione da tre a diciotto mesi o con la multa da 5.000 a 30.000 euro.

La stessa pena si applica a chiunque somministra agli animali sostanze stupefacenti o vietate ovvero li sottopone a trattamenti che procurano un danno alla salute degli stessi.

 La pena è aumentata della metà se dai fatti di cui al primo comma deriva la morte dell'animale.


Ci sono luci ed ombre su questo articolo, che ha sicuramente dato un grande impulso ai procedimenti per i maltrattamenti ma ha anche molti limiti: prevede che ci sia un dolo specifico, cioè si viene puniti solo se si è agito per crudeltà e senza necessità. Non basta aver maltrattato, bisogno averlo fatto volendo incrudelire inutilmente sull’animale. Inoltre si richiede la produzione di lesioni, ovvero la sottoposizione a fatiche o lavori insopportabili per le caratteristiche etologiche dell’animale. E’ un elemento importante il riferimento alle scienze etologiche, ma i magistrati in questi casi puntano la loro attenzione sulla produzione di “lesioni”, cioè di segni visibili della sofferenza dell’animale.

Qui entrano in gioco le perizie che portiamo nei tribunali, finalizzate ad evidenziare che il maltrattamento non è solo quello fisico, ma anche etologico.

In molti casi ci siamo occupati di animali maltrattati, perché picchiati ripetutamente anche davanti agli occhi di vicini di casa denuncianti, e ci siamo dovuti opporre a richieste di archiviazione con le quali i PM chiedevano di chiudere il caso perché non vi era prova di lesioni. In alcuni casi riusciamo ad ottenere delle imputazioni coattive, in altri casi non riusciamo a spuntarla. E’ successo recentemente per il caso del bassotto di Napoli, ripetutamente percosso da un’anziana proprietaria che ha avuto decine di segnalazioni e denunce da parte delle vicine di casa. Il GIP ha disposto l’archiviazione, nonostante la nostra opposizione, perché non vi erano segni di lesioni, come certificato dai veterinari della ASL.

L’art. 727 c.p. prevede che si viene puniti con l’arresto fino ad un anno o con l’ammenda fino a € 10.000 se si detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura, e produttive di gravi sofferenze. Anche in questo caso, la verifica circa lo stato di sofferenza degli animali deve essere effettuato da persone con specifiche competenze.

A Busto Arsizio, nei giorni scorsi, un PM non ha convalidato un sequestro di animali tenuti nel fango in condizioni che sono state documentate da foto e video, sempre sul presupposto che non fossero state riscontrate né lesioni, né lo stato di grave sofferenza degli animali.

Si è verificato in quel caso un contrasto tra le valutazioni di un veterinario libero professionista che era stato nominato come ausiliario dalle guardie zoofile e il veterinario della ASL, che non aveva ravvisato questo stato di sofferenza.

Qui si apre un grande tema, che è per l’appunto quello delle competenze che si devono mettere in campo. Il procuratore della repubblica di Ancone dott. Gubinelli, che sta seguendo il caso dell’allevamento di Trecastelli, dove sono stati sequestrati più di ottocento cani in una struttura autorizzata a tenerne 60, ha redatto delle linee guida in materia di tecniche investigative sui reati in danno degli animali, e ha chiaramente affermato che a volte l’intervento dei veterinari della ASL è persino controproducente (sono sue parole), perché basato su valutazioni meramente apparenti, mentre lo stato di sofferenza degli animali comporta delle valutazioni specifiche.

Da tempo stiamo chiedendo una riforma che, oltre ad inasprire le pene, che allo stato non hanno valenza deterrente, siano finalizzate anche ad istituire corsi specifici che devono essere svolti dalle persone chiamate ad intervenire negli accertamenti che riguardano la verifica di condizioni di benessere degli animali. 

 

sabato 11 febbraio 2023

conferenza stampa "Urban Pets" (Sala della Stampa Estera, 7/2) - Aree cani in città, mappatura italiana. Città virtuose e meno. La necessità dei controlli




Ringrazio gli organizzatori (Progetto Paradiso Italia e GreenMe) per l’invito alla partecipazione a questo evento di cui condividiamo finalità di diffondere una maggiore cultura ecologica al fine di avere delle città davvero a misura di cani e gatti anche attraverso la riqualificazione delle aree verdi. L’ideale sarebbe davvero sfruttare anche piccoli spazi urbani per realizzare delle mini-foreste urbane (urban forests) con piante autoctone a più strati di vegetazione (alberi, arbusti ed erbe) secondo i metodi del botanico giapponese Akira Miyawaki, vincitore del Blue Planet Prize, utili a proteggere la qualità dell’aria e agire come un “hotspot” di biodiversità.

In molti Stati europei si stanno seguendo queste metodiche per rigenerare piccoli spazi pubblici (come i giardini delle scuole e anche le aiuole spartitraffico) o privati. Dovrebbero essere improntate a questi principi anche le aree destinate ai nostri animali, non solo i canili, che dovrebbero essere tutti dei canili-parco ricchi di vegetazione (e siamo molto lontani da questo traguardo), sia le cosiddette “aree cani”, destinate allo svago dei cani di proprietà.

Nei centri urbani queste aree dedicate ai nostri amici a quattro zampe scarseggiano e quelle già esistenti spesso sono prive di adeguata vegetazione e fanno affidamento ai singoli cittadini per la gestione, per cui sono curate nei limiti del possibile.

Una prima mappatura a livello nazionale di queste aree è fornita dal sito Areacani.it, pensato per i proprietari di cani che vogliono conoscere le aree cani più vicine alla loro casa ma anche organizzare al meglio un viaggio in una località italiana con il proprio cane al seguito. Questo è un servizio molto utile, tenuto conto del fatto che sono oltre sette milioni i cani che vivono nelle famiglie italiane. La mappatura finora realizzata conferma il noto dato per cui le città maggiormente virtuose sono collocate nel Nord Italia.

A Torino le aree per il passeggio dei cani ricoprono in totale sul territorio cittadino una superficie di circa 90 chilometri quadrati.



A Milano è previsto che a sorvegliare le aree ci siano le Guardie Ecologiche, che sono incaricate anche di informare, richiamare ed eventualmente sanzionare i proprietari dei cani che non rispettano il Regolamento d’uso degli spazi verdi e il Regolamento per il benessere e la tutela degli animali.

I controlli principalmente sono finalizzati ad evitare che le aree cani siano disseminate di deiezioni non raccolte da proprietari di cani non rispettosi dei regolamenti e questo è un aspetto su cui dover fare una riflessione.


Come sappiamo, spesso ci siamo dovuti confrontare con sindaci che proprio per evitare il problema delle deiezioni avevano emanato ordinanze per impedire ai proprietari di animali di entrare nei parchi, in comuni spesso privi di apposite aree cani, con conseguente grave limitazione di libertà per i proprietari degli animali. Questi provvedimenti sono stati puntualmente impugnati e la giurisprudenza dei Tribunali Amministrativi Regionali che si sono pronunciati sulla questione è unanime nel ritenere che queste ordinanze non solo siano eccessivamente limitative della libertà di circolazione delle persone ma anche contrarie ai principi di adeguatezza e proporzionalità.

Secondo i Tribunali Amministrativi i Comuni, in luogo dell’indiscriminato divieto di accesso dei cani alle aree verdi pubbliche, devono rendere effettive le norme che impongono la corretta gestione del cane, comprese la raccolta delle deiezioni, mediante una efficace azione di controllo e di repressione, nel rispetto del principio di proporzionalità dei mezzi rispetto ai fini perseguiti.

Da questo punto di vista le aree per cani consentono di assicurare la dovuta pulizia, essendo gli stessi proprietari degli animali interessati ad avere aree pulite dove far correre i propri cani in libertà.

Anche gruppi di cittadini possono impegnarsi a prendersi cura di un’area cane, formando un’associazione e adottando l’area con una convenzione, attraverso un progetto che può essere vagliato dall’amministrazione comunale.

Questo concetto merita di essere approfondito perché non si tratta di sostituirsi alle istituzioni. La progettazione delle aree urbane e del verde pubblico negli ultimi decenni in Italia e negli altri Stati europei si è orientata sempre più verso la sperimentazione di forme innovative di gestione, incentivando collaborazioni fra cittadini, imprese e amministrazioni, per lo svolgimento di attività per la cura e rigenerazione dei beni comuni urbani.

Negli ultimi anni si è registrato un vero e proprio cambio di prospettiva nei confronti di beni pubblici urbani, spesso soggetti a degrado e penalizzati dalla carenza di risorse pubbliche. Le norme costituzionali sulla sussidiarietà (Cost. art 118) incentivano la partecipazione attiva dei cittadini alle scelte generali di governo del territorio e cura dei beni urbani. Nel caso di un’area cani, è facilmente comprensibile, come detto, l’interesse della comunità di proprietari a che il parco venga correttamente manutenuto e gestito ed è anche facilmente intuibile l’interesse analogo dell’intero quartiere che ne viene valorizzato.

Ovviamente le istituzioni sono chiamate sempre a svolgere la loro parte, garantendo la presenza di spazi da adibire ad aree cani, dotandole delle necessarie attrezzature e indicandone le norme di gestione, facilitando così anche un comportamento cooperativo dei cittadini.

In tutti i Comuni occorre un cambio di prospettiva urbanistica con la creazione, laddove inesistente, di questi spazi realmente condivisi e funzionali, che sono anche aree di socializzazione che migliorano la vita di tutti e consentono alle amministrazioni di fregiarsi dell’immagine di comuni animal friendly.

 

giovedì 9 giugno 2022

Animali nella Costituzione, Frattini: "Siamo molto indietro"

I diritti degli animali, alla luce della recente riforma costituzionale sono stati al centro di un convegno promosso dal Consiglio di Stato.

“La riforma costituzionale che ha riconosciuto tutela degli animali quale valore primario del nostro ordinamento è norma di grande civiltà giuridica”. Così il Presidente del Consiglio di Stato Franco Frattini aprendo il convegno sui Diritti degli animali organizzato ieri dal Consiglio di Stato dopo la recente riforma degli articoli 9 e 41 della Costituzione.

Il convegno ha promosso un confronto tra giuristi ed esperti, con la partecipazione di parlamentari- l'On Michela Vittoria Brambilla e la senatrice Loredana De Petris- che sono stati fra i promotori della riforma degli articoli costituzionali oggetto del confronto. “La riforma dell’articolo 9 della Costituzione ha un alto valore simbolico- ha dichiarato Gianpiero Paolo Cirillo, Presidente di Sezione del Consiglio di Stato-Ora tocca al legislatore risolvere il problema della soggettività degli animali”.


Ai microfoni del GR1, il Presidente Frattini ha parlato di come attuare i principi costituzionali: "Lo scenario - ha detto-è che in alcuni casi, penso alla normativa di protezione penale, siamo molto indietro. Abbiamo delle pene irrisorie che non fanno paura a nessun malintenzionato. Abbiamo normative che consentono degli allevamenti intensivi che si risolvono in sofferenze terribili per gli animali allevati e in rischi per la salute dell’alimentazione di coloro che mangeranno quella carne. Quindi ci vogliono norme primarie statali, non diverse da regione a regione, con cui queste cose siano espressamente punite. Questo vuol dire attuare un articolo della Costituzione- ha spiegato il Presidente del Consiglio di Stato.

Quanto al fenomeno delle ecomafie, " sono business sulla pelle degli animali- ha aggiunto Frattini. "I combattimenti tra cani, le corse notturne di cavalli per le strade di Palermo, le terribili terre dei fuochi. La mafia ha scoperto che anche il settore ambiente/animali è un business e questo richiede di raddoppiare la severità delle nostre azioni"- ha concluso.

domenica 28 marzo 2021

Tutela degli animali e Costituzione italiana. Ne parliamo con l’avvocato Michele Pezone della LNDC – Animal Protection

Articolo di Alessia Colaianni, tratto dal sito caniledimonopoli.org

Con l’insediamento di Mario Draghi come nuovo Presidente del Consiglio e la creazione di un Ministero della Transizione Ecologica, con a capo Roberto Cingolani, è stata evidente la volontà di porre maggiore attenzione ai temi ambientali. Alla luce di queste nuove condizioni, lo scorso febbraio, la Federazione Italiana Associazioni Diritti Animali e Ambiente, di cui fa parte la Lega Nazionale per la Difesa del Cane insieme a molte altre organizzazioni non governative, ha proposto l’inserimento nella Costituzione italiana della tutela degli animali, della biodiversità e degli ecosistemi. Di cosa si tratta e cosa cambierebbe a livello di diritto? Lo abbiamo chiesto all’avvocato Michele Pezone, il responsabile nazionale dei diritti degli animali per la Lega Nazionale per la Difesa del Cane – Animal Protection.

La proposta della Federazione Italiana Associazioni Diritti Animali e Ambiente

“Noi abbiamo formulato questa richiesta – spiega l’avvocato Pezone – circa un mese fa, insieme alle altre maggiori associazioni di protezione degli animali, con una lettera che abbiamo indirizzato non solo al Presidente del Consiglio, Mario Draghi, ma anche al Ministro della Transizione Ecologica, Roberto Cingolani. Abbiamo chiesto l’inserimento in Costituzione della tutela degli animali, degli ecosistemi e della biodiversità. È una modifica costituzionale che sicuramente costituirebbe un passaggio rilevante per garantire la protezione di tutte le forme di vita presenti in natura. Abbiamo proceduto in questo modo in considerazione dell’impegno che ha assunto Draghi, in sede di fiducia al Senato, di inserire il principio dello sviluppo sostenibile nella Costituzione. Lo stesso Presidente del Consiglio ha sottolineato che si tratta di uno strumento fondamentale per preservare il Pianeta e le future generazioni”.

Gli animali e la legge italiana

Gli animali sono già presenti nella legge italiana, nel diritto amministrativo, civile e penale. “In realtà il nostro ordinamento è un po’ disorganico da questo punto di vista. – racconta Pezone – Io spesso mi trovo ad affermare che mi piacerebbe anche una codificazione unica che regolamenti il nostro modo di rapportarci agli altri animali. Per il diritto penale, per esempio, la qualità di esseri senzienti è ormai stata recepita, cosa che invece non è avvenuta nel codice civile, dove gli animali sono ancora delle cose, delle res, seguendo l’antica tradizione romanistica. Questo ci dà già contezza di come sarebbe importante una riforma anche a livello costituzionale, perché ci sarebbe tutto un altro modo di approcciarsi alla questione dei diritti degli animali. Oggi abbiamo un appiglio normativo a cui spesso facciamo riferimento: l’articolo 13 del Trattato di Lisbona, che richiama gli Stati membri dell’Unione Europea alla tutela degli animali in quanto esseri senzienti”. Questa mancanza di organicità nella giurisprudenza italiana sottolinea ancora di più la rilevanza di una riforma costituzionale come quelle che sono già state attuate in Germania e Svizzera. Ora questo obiettivo sembra a portata di mano.

Un futuro a misura di essere vivente

Cosa ha impedito sino a ora una riforma di questo tipo, l’inserimento della tutela degli animali, della biodiversità e degli ecosistemi nella Costituzione italiana? Ci sono state delle difficoltà politiche e resistenze alimentate dal timore che, settori come l’allevamento o la ricerca biomedica, potessero essere danneggiati da nuovi provvedimenti. Abbiamo quindi chiesto a Michele Pezone cosa pensa di chi ha posizioni contrarie alla proposta avanzata dalla Federazione Italiana Associazioni Diritti Animali e Ambiente: “Si tratta sempre di bilanciare dei principi che spesso entrano in conflitto: nel mondo giuridico, come in altri, si cerca di trovare un equilibrio anche tra esigenze contrapposte. In fin dei conti lo stesso concetto di sviluppo sostenibile presuppone che ci siano istanze ambientali che possano entrare in conflitto con quelle dell’economia, con quelle del lavoro. È necessario trovare dei punti di equilibrio. Una riforma costituzionale come questa consentirebbe di alzare il livello di attenzione, quell’asticella relativa al livello di tutela degli animali. Certo, ciò porterebbe a dover rivalutare tutta una serie di attività che oggi vengono praticate, ma sarebbe un’attività benefica. In questo nuovo bilanciamento non è detto che i settori che abbiamo nominato debbano essere completamente esclusi”. Pezone ha proseguito: “Con principi costituzionali che sanciscono la tutela degli animali come esseri senzienti, i controlli e le normative che sono finalizzate ad assicurarne il benessere subirebbero una rielaborazione, un impulso verso condizioni di vita dignitose che oggi non sono sempre assicurate”.

Un cambio di prospettiva

Nella proposta di riforma costituzionale si parla anche di biodiversità ed ecosistemi, un aspetto fondamentale considerando la situazione che stiamo vivendo: l’epidemia di coronavirus ci ha mostrato quanto siamo interconnessi con gli altri esseri viventi. A tal proposito l’avvocato commenta: “Quando si fa riferimento agli altri animali si utilizzano sistemi normativi che non tengono veramente conto di quella che è la loro soggettività, di quella che è anche la nostra interconnessione con loro. Per questo motivo è importante, nella tutela costituzionale, parlare di ecosistemi e di biodiversità. Ci sono tante specie che sono in via d’estinzione, la stessa pandemia ha dato contezza di quanto siamo legati con il resto del mondo animale. Abbiamo bisogno di un cambio di prospettiva, ci dovremmo rendere conto che le norme umane sono un sottoinsieme di quelle che riguardano la tutela dell’ambiente e della vita degli animali sul Pianeta. Dovremmo ristabilire un ordine di priorità, ma per questo discorso i tempi non sono ancora maturi”.

L’intervista è stata redatta e abbreviata per questioni di fruibilità e chiarezza. Potete ascoltarla integralmente cliccando sul seguente link che vi porterà al podcast “Animal café – Chiacchiere e animali al bar” condotto da Alessia Colaianni, nostra volontaria e responsabile dei contenuti del blog del nostro sito.



domenica 28 febbraio 2021

intervento al webinar "Non è un Paese per orsi" organizzato da Assemblea Antispecista e Centro Sociale Bruno (24/2/21) - "Il punto sulle ultime sentenze e ricorsi"

Limitando l’analisi agli ultimi provvedimenti della giustizia amministrativa, non possiamo che partire proprio dalla sentenza del Consiglio di Stato su M49 (sentenza n. 571/2021), che ho seguito personalmente insieme all’avvocato Paolo Letrari di Rovereto per conto della LNDC Animal Protection.

Il motivo principale del nostro ricorso era che la PAT aveva agito per le “vie brevi”, cioè quelle dell’ordinanza contingibile e urgente, senza optare per la procedura ordinaria (di cui al combinato disposto dell’art. 19, l. n. 157 del 1992 e dell’art. 11, d.P.R. n. 357 del 1997) e senza che vi fosse un pericolo attuale ed imminente per la pubblica incolumità, che era il solo presupposto che poteva legittimare questa procedura d’urgenza.

Qui è bene essere molto chiari sul punto, perché è fondamentale per capire i termini della questione giuridica.

Nel nostro ordinamento, anche prima dell’adozione della “direttiva habitat” 92/43/CEE e del suo regolamento di attuazione (il d.P.R. n. 357 del 1997), era stata introdotta la disciplina di tutela delle specie protette e del prelievo venatorio con la l. 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), che all’art. 1 annovera la fauna selvatica nel patrimonio indisponibile dello Stato e, all’art. 2, per alcune specie, tra le quali l’orso e il lupo, prevede un particolare regime di protezione.

Alla disciplina statale di tutela delle specie protette contenuta nella l. n. 157 del 1992 si è poi sovrapposto il regolamento attuativo della “direttiva habitat”, di cui al d.P.R. n. 357 del 1997; tale normativa prevede una protezione rigorosa per l’orso e il lupo e attribuisce il potere di autorizzare la deroga al divieto di cattura o uccisione delle specie protette al solo Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentiti per quanto di competenza il Ministro per le politiche agricole e l’Ispra “a condizione che non esista un’altra soluzione valida e che la deroga non pregiudichi il mantenimento, in uno stato di conservazione soddisfacente, delle popolazioni della specie interessata nella sua area di distribuzione naturale […]” (art. 11, comma 1).