mercoledì 20 marzo 2024

Lega del Cane (e non solo): cambiare cultura e leggi per difendere gli animali

 In principio era la “lega del cane”, ovvero la Lega Nazionale per la Difesa del Cane, associazione nata nel 1950 con l’obiettivo di tutelare gli animali familiari, con focus particolare su quello più diffuso, ovvero il cane. Ma dopo decenni di attività ci si è resi conto che le necessità andavano oltre questa mission e il raggio d’azione si è allargato, tanto che anche ufficialmente è stato coniato un nuovo nome: LNDC Animal Protection.

Per parlare della storia della Lega del Cane, ma soprattutto del presente, del futuro e delle tante azioni messe in campo da questa realtà, raggiungo telefonicamente Michele Pezone, responsabile nazionale dei diritti degli animali di LNCD Animal Protection, che si occupa principalmente della parte legale e politica. Per iniziare gli chiedo di scattare una fotografia del contesto italiano in cui opera l’associazione.

LA SITUAZIONE ATTUALE

«Adesso è in corso quello che a livello politico si può considerare il più grande attacco di sempre al sistema di tutela dei diritti animali, per una serie di modifiche e normative che riguardano in particolare la fauna selvatica e che denotano una grande vicinanza dell’attuale Governo alle istanze del mondo della caccia», spiega Michele Pezone.

«Abbiamo avuto modifiche sulla legge 157/92 – che riguarda la protezione della fauna omeoterma – che hanno dato luogo a grandi battaglie politiche e diverse petizioni; sono state avviate procedure d’infrazione a livello europeo, per esempio sull’uso di munizioni al piombo nelle zone umide; ci sono stati piani di contenimento della fauna che consentono di sparare in aree protette e parchi, è stata ampliata molto la possibilità di uccisione della fauna selvatica».

Se da un lato non si può dire che la congiuntura politica sia favorevole a chi si batte per i diritti degli animali – e ovviamente agli animali stessi –, c’è da rilevare che le associazioni e i movimenti animalisti, supportati da larghissime fette di opinione pubblica, stanno aumentando la qualità e la profondità del dibattito. «Abbiamo lanciato una petizione facendo rete con molte altre associazioni, con le quali peraltro collaboriamo abitualmente. Questa è una cosa molto positiva rispetto a decenni fa: oggi esistono gruppi di lavoro tematici, ci sono sinergie e collaborazioni su tanti argomenti».

Uno dei più caldi, come accennato, è quello della caccia, ma la Lega del Cane lavora con altre sigle su altri temi: «Adesso per esempio ci sono le europee e abbiamo aderito alla campagna Vote for Animals. Stiamo incontrando le segreterie di tutti i partiti per mettere sul tavolo di discussione temi più complessi della semplice tutela dell’animale, come una decisa stretta sugli allevamenti intensivi e la riduzione dell’uso delle gabbie, argomenti che incrociano la tutela alimentare e ambientale. La tutela del benessere animale gioca un ruolo importante su cui lavoriamo anche con altre sigle, da Animal Equality a Essere Animali. Alle ultime politiche abbiamo fatto il manifesto “anche gli animali votano” che chiedevamo di sottoscrivere ai vari candidati».

GLI ANIMALI FAMILIARI

Se la situazione degli animali selvatici e di quelli del comparto zootecnico non è rosea – per usare un eufemismo –, anche sugli animali familiari c’è tanta strada da fare ancora e manca una efficace tutela politica. «Dal punto di vista legislativo non possiamo dire di essere l’ultimo paese in Europa ma non siamo neanche fra i primi, abbiamo standard molto bassi», riflette Michele Pezone. «Ad esempio, è vero che ci sono campagne in corso contro i circhi con animali, ma essi possono ancora attendare nelle nostre città».

Una delle grandi carenze dell’impianto giuridico italiano è la mancanza di pene severe: «C’è in discussione una proposta di legge, per cui abbiamo fatto anche audizioni in commissione di giustizia, sull’inasprimento delle pene per reati contro gli animali, oggi molto blande. Mancano strumenti normativi ad hoc per punire il sequestro di animali e mancano pure strutture adeguate per accogliere animali vittime di maltrattamenti, che a volte non vengono sequestrati perché non si sa dove collocarli».

La stessa normativa che abbiamo sulla tutela del randagismo va adeguata, poiché oltre a essere poche, le strutture esistenti non hanno sufficienti risorse per la gestione degli animali. «È urgente una riforma per migliorare la legge 281/91 sulla prevenzione del randagismo, che se da un lato è stata innovativa introducendo migliorie importanti come ad esempio la tracciabilità, dall’altro risale a più di trent’anni fa e va aggiornata, così come va implementato il concetto della convivenza responsabile con gli animali, poiché molti studi rivelano come la maggior parte dei cani che finiscono in canile provenga da casi di cattiva gestione in famiglia».

Secondo il responsabile della LNDC Animal Protection, nel codice penale servono norme più severe e che regolino meglio i meccanismi della custodia dal punto di vista sia legislativo che logistico, ma «servono anche norme più precise sui centri si recupero della fauna selvatica e sui santuari. Stiamo portando avanti anche una battaglia sulla peste suina, poiché i provvedimenti atti a contrastarla non fanno distinzione fra impianti zootecnici e santuari e questo è assurdo».

Il miglioramento delle leggi a disposizione va di pari passo con un cambiamento culturale e uno dei problemi strutturali principali è proprio che le leggi attuali sono spesso vecchie, concepite in un’epoca in cui la sensibilità era completamente diversa. «I riferimenti contenuti nel codice civile risalgono al 1942, appartengono a un periodo storico molto diverso in cui gli animali venivano trattati come oggetti – si veda ad esempio gli articoli che regolano la loro assegnazione in caso di separazione fra coniugi. L’animale viene visto come una proprietà. A livello penale fortunatamente ci sono riferimenti anche alle caratteristiche etologiche».

OPINIONE PUBBLICA VS INTERESSI POLITICI ED ECONOMICI

Come detto, c’è un profondo scollamento fra la politica e l’opinione pubblica – come del resto avviene anche rispetto a molte altre tematiche. «Non si può dire che sia il momento politico migliore – osserva Michele –, c’è scarsa sensibilità su temi come fauna selvatica e allevamenti. Oggi sono in corso battaglie epocali: faccio l’esempio dell’uso della carne coltivata, perché i metodi dell’industria della carne oggi hanno superato il limite dell’immaginabile».

«Per evitare la logica del conflitto – aggiunge – noi stiamo cercando di trovare una chiave di volta, un punto di contatto con l’attuale Governo, per esempio sul discorso del Made in italy e della produzione di qualità, visto che l’attuale modello di produzione alimentare industriale ha gravi ripercussioni sull’ambiente e sul benessere animale e non si può certo dire che sia di qualità».

Per fortuna la sensibilità dell’opinione pubblica invece è molto alta e non rispecchia assolutamente il segno dei provvedimenti legislativi che seguono gli interessi di pochi a discapito delle esigenze che vengono dalla maggior parte dei cittadini: «Noi vediamo grande partecipazione popolare quando ci sono manifestazioni a tutela degli animali, una testimonianza lampante è stata la massiccia mobilitazione che ha seguito il caso di Cuori Liberi, per cui sono scese in piazza decine di migliaia di persone».

«Bisogna lavorare sull’aspetto culturale e fare sì che si traduca anche sul piano normativo», osserva in conclusione il responsabile nazionale dei diritti degli animali. «Per quanto ci siano diverse leggi regionali recenti significative, bisogna investire molto in prevenzione, miglioramento e incentivazione delle adozioni. Ma soprattutto bisogna lavorare tanto per migliorare il rapporto con il mondo animale».

Scritto da: FRANCESCO BEVILACQUA - su Italiachecambia.org

https://www.italiachecambia.org/2024/03/lega-del-cane-leggi-animali/#


giovedì 8 febbraio 2024

Estratto delle osservazioni alle proposte di legge C. 30 Brambilla, C. 468 Dori, C. depositate in Commissione Giustizia - Camera

La LNDC Animal Protection condivide in ogni sua parte la proposta di legge C30 a prima firma dell’on. Brambilla, in quanto recepisce perfettamente quelle che sono le richieste che le associazioni di protezione animali da anni stanno formulando al fine di avere una reale tutela in sede penale degli animali, a partire dalla modifica della stessa rubrica del Titolo IX bis del Libro II del codice penale, che deve finalmente essere intitolato ai delitti contro gli animali e non ai delitti contro il sentimento umano nei confronti degli stessi, in tal modo avviando un effettivo percorso teso al riconoscimento di una forma di soggettività agli animali che devono essere oggetto di tutela diretta e non mediata da parte del nostro ordinamento.

E’ assolutamente condivisibile l’inasprimento delle pene, estese anche alle condotte colpose e anche ad ulteriori ipotesi sinora non ricomprese dalle previsioni penali, come la semplice partecipazione alle feste popolari che comportano sevizie agli animali o ai combattimenti clandestini. Sono parimenti condivisibili gli adeguamenti apportati per rendere omogenee e razionali le disposizioni normative sull’uccisione ed il maltrattamento con le fattispecie che riguardano animali di proprietà oppure la fauna selvatica protetta, mediante la soppressione del primo comma dell’art. 638 e dell’art. 727 bis del codice penale e l’introduzione dell’art. 452 sexies c.p. E’ attesa con ansia la riforma della disciplina della custodia giudiziaria degli animali con la possibilità di cessione definitiva nelle more del giudizio e la pdl C. 30 va esattamente in questa direzione. E’ opportuna inoltre la prevista istituzione di centri di accoglienza di animali vittime del reato, in quanto accade spesso che la carenza di questa strutture determini di fatto l’impossibilità di eseguire sequestri oppure determina che gli animali vengono trasferiti in posti dove la loro condizione di vita non migliora sensibilmente rispetto a quella precedente. 

La proposta di legge C. 468 a firma dell’onorevole Dori costituisce una valida integrazione della proposta di legge dell’onorevole Brambilla, in quanto tutte le disposizioni che si intendono modificare con questa pdl non solo non confliggono con quelle di cui alla pdl 30 ma vanno nella direzione di contrastare e prevenire efficacemente la violenza soprattutto minorile sugli animali e l’escalation di condotte violente, anche con il passaggio dalla violenza sugli animali a quella sulle persone, e in Italia si riscontrano fenomeni sempre più preoccupanti in questo senso, come testimoniato dalla cronaca anche recente.

giovedì 1 febbraio 2024

UCCISIONE DI AMARENA – CARENZE DEL SISTEMA SANZIONATORIO E NUOVE PROSPETTIVE PER OTTENERE PENE ADEGUATE - pubblicato su Terre dell'Orso n. 17 - dicembre 23

L’uccisione dell’orsa Amarena è stata un crimine gravissimo non solo perché ha tolto la vita ad un animale particolarmente tutelato a livello comunitario, ma anche perché ha colpito al cuore l’intera Regione Abruzzo, che ama questi animali, simbolo della Regione stessa, ed in particolare amava questa mamma orsa. A differenza del clima di ostilità verso gli orsi che si coglie in Trentino da parte delle Amministrazioni e di buona parte della popolazione locale, le comunità abruzzesi fuori e dentro ai parchi hanno sempre dimostrato di voler convivere con gli orsi, seppure non siano mancati in passato atti di bracconaggio e comportamenti poco lungimiranti da parte di alcune amministrazioni in ordine alla tutela degli habitat degli orsi e all’adozione delle cautele da adottare per evitare problemi di confidenza (ricordiamo la lettera del presidente dell’associazione Salviamo l’Orso Stefano Orlandini al Sindaco di Roccaraso per chiedere di gestire diversamente la raccolta della spazzatura che attira questi animali a proposito delle incursioni di Juan Carrito, figlio di Amarena, anche lui poi morto tragicamente lungo la strada statale 17 all'altezza di Castel di Sangro).

Tra gli episodi più gravi del recente passato vi è l’uccisione dell’orso di Pettorano sul Gizio nel 2014, che l’associazione Salviamo l’Orso ha seguito sin dall’inizio e la cui vicenda giudiziaria si è conclusa con la condanna al risarcimento del danno in capo all’autore di questo crimine. Quest’ultimo si era difeso in giudizio sostenendo di aver dovuto sparare per difendersi dall’aggressione dell’orso, colto in flagranza mentre stava predando il suo pollaio. In primo grado il Giudice del Tribunale di Sulmona aveva creduto a questa tesi difensiva, che è stata poi sconfessata in appello grazie al riesame della consulenza balistica, che ha acclarato che non vi era stata alcuna legittima difesa, ma piuttosto una deliberata uccisione dell’orso colpito da dietro mentre si stava allontanando dal pollaio.

In quel caso non vi è stata una condanna penale in quanto il giudizio di appello è stato promosso dalle parti civili e l’appello del Pubblico Ministero per motivi processuali è stato dichiarato inammissibile. Tuttavia, si è trattato di un verdetto storico perché per la prima volta vi è stata una condanna in un processo indiziario per l’uccisione di un animale basata su prove di tipo scientifico e l’associazione Salviamo l’Orso ha poi perseguito l’autore del crimine con un’azione esecutiva civile che continua tuttora a dare i suoi frutti.

Confidiamo che anche nel processo che dovrà aprirsi per la morte di Amarena le indagini scientifiche possano consentire di ricostruire esattamente la dinamica dell’uccisione, anche perché le indagini autoptiche e quelle balistiche sono state affidate agli stessi periti che avevano lavorato sul caso di Pettorano con indubbia competenza.

Ciò che difetta, purtroppo, è un adeguato sistema sanzionatorio. Il reato che probabilmente sarà contestato all’esito delle indagini è quello di cui all’art. 544 bis c.p., che prevede la pena fino a due anni di reclusione per l’uccisione di animali. Sono molti gli strumenti processuali che rendono difficilmente scontabile in concreto una pena così blanda. Peraltro, il codice penale contiene una specifica norma per l’uccisione di un esemplare di specie di fauna selvatica protetta (come l’orso) che prevede una pena massima addirittura inferiore a quella sopra menzionata e cioè la pena fino a sei mesi di arresto. E’ importante che si acceleri l’iter dei disegni di legge che prevedono un generale inasprimento delle pene per l’uccisione degli animali e l’aggravamento delle pene nel caso si tratti di fauna particolarmente protetta. Sul punto vi è anche una proposta formalizzata dall’onorevole Pagano per elevare la pena per l’uccisione di esemplari di orso marsicano fino a due anni di arresto oltre all’ammenda fino a 10.000 euro, presentata proprio a seguito della vicenda dell’orsa Amarena, che andrebbe rivista nell’ambito di un generale inasprimento del sistema sanzionatorio.

L’associazione Salviamo l’Orso, che ha sporto denuncia insieme alle altre maggiori associazioni nazionali di protezione animale per l’uccisione di Amarena, ha recentemente depositato delle memorie con le quali, per ottenere una risposta sanzionatoria adeguata, ha chiesto al PM di Avezzano Maurizio Maria Cerrato di voler ravvisare in questo terribile crimine anche gli estremi del furto venatorio, contestabile nei casi di abbattimento di fauna selvatica commessi da persona non munita di licenza di caccia,  nonché gli estremi del reato di cui all’articolo 452 bis c.p., che punisce con la reclusione da due a sei anni e con la multa da euro 10.000 a euro 100.000 quelle condotte abusive di “compromissione” o “deterioramento” significativi e misurabili di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna.

Ed invero, la scomparsa dell’orsa Amarena, oltre a mettere in pericolo la vita dei suoi giovani cuccioli, privati della loro madre con gravi rischi per la loro stessa sopravvivenza, ha causato la perdita di una delle femmine più prolifiche della storia recente della popolazione di orso marsicano.

Il Rapporto orso marsicano del 2022 riferisce che qualsiasi variazione nel numero di femmine che si riproducono ogni anno può influire drasticamente sull’andamento della popolazione. Nel Rapporto si legge inoltre che “(..) il tasso riproduttivo delle femmine di orso bruno marsicano, ossia il numero medio di piccoli che una madre riesce ad allevare ogni anno, è pari soltanto a 0.18, uno tra i più bassi noti in Europa e non solo”. Se la sopravvivenza media delle femmine o i tassi riproduttivi non aumenteranno nel futuro, è possibile, pertanto, che questa popolazione rimarrà estremamente ridotta e addirittura a rischio di estinzione. E’ evidente, pertanto, il danno ambientale conseguente all’uccisione di Amarena.

L’associazione Salvamo l’Orso, unitamente alle altre associazioni costituitesi come persone offese, si è insomma attivata per sostenere che l’uccisione di Amarena abbia integrato una pluralità di fattispecie penalmente rilevanti, coinvolgendo altrettanti beni giuridici lesi dalla condotta: il sentimento per gli animali, il patrimonio dello Stato e l’ambiente inteso nella sua accezione unitaria. E se è vero che è dovere delle collettività e delle loro amministrazioni non danneggiare il bene ambientale, ma anzi tutelarlo e promuoverne la valorizzazione, con l’uccisione di Amarena emerge con tutta evidenza che deve sussistere un analogo dovere anche in capo ai singoli i quali, in caso di violazione del dovere di tutela dell’ambiente e degli animali che vi fanno parte, devono finalmente essere destinatari di pene severe e proporzionate alla gravità del fatto commesso.

sabato 11 marzo 2023

convegno sul Benessere Animale - 10/3/2023 - Villar Perosa (TO)


Gli argomenti che sono stati esposti sono interessantissimi e costituiscono la base scientifica sulla quale basiamo il nostro lavoro di denuncia e di azione in sede processuale per reprimere i maltrattamenti e le condotte che non sono rispettose del benessere animale.

Faccio una piccola digressione, comunque pertinente al tema della tutela del benessere animale, allargando un momento lo sguardo oltre al confine della categoria degli animali familiari.

Purtroppo, sono centinaia di milioni gli animali che ogni anno vivono la loro breve esistenza all’interno di piccole gabbie nelle quali hanno minime possibilità di movimento prima di essere utilizzati per fini alimentari. Anche nel settore degli allevamenti abbiamo norme che sono finalizzate a tutelare il benessere degli animali e in questo caso appare davvero beffardo accostare il termine benessere a quelle che sono le condizioni minime di rispetto di questi animali, che in realtà vivono in una condizione di vero e proprio maltrattamento, che però è consentito dalla legge.

L’art. 19-ter  delle disposizioni di coordinamento del codice penale introdotto dalla L. 189/04 afferma che le disposizioni che sono state introdotte sui reati di uccisione e maltrattamento e detenzione di animali con modalità incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze non si applicano in tutta una serie di casi previsti dalle leggi speciali in materia di caccia, di  pesca,  di  allevamento,  di  trasporto,  di macellazione  degli animali,  di  sperimentazione  scientifica sugli stessi, di attività circense,  di  giardini zoologici, nonchè dalle altre leggi speciali in materia di animali.

Basta che vengano rispettare le norme che impongono delle prescrizioni sulla temperatura degli ambienti e cose di questo tipo che la condizione di vita di questi animali viene tollerata dal nostro ordinamento.


La LNDC da tempo non si occupa solo di animali familiari, ma anche di selvatici (in particolare lupi e orsi) e animali allevati a fa parte della coalizione italiana che ha presentato l’ICE (iniziativa dei cittadini europei) denominata End The Cage Age (Fine dell’era delle gabbie) per eliminare l’uso delle gabbie negli allevamenti intensivi.

In Italia le scrofe allevate ogni anno sono circa mezzo milione. La quasi totalità di questi animali passa metà la propria vita in gabbie, prima “di gestazione”, durante le prime 4 settimane dalla inseminazione, e poi “di allattamento”, dall’ultima settimana prima del parto fino a tutto l’allattamento.

La gabbia impatta gravemente sulla libertà di movimento delle scrofe, che riescono soltanto ad alzarsi e sdraiarsi, e le priva della possibilità di esprimere i loro comportamenti naturali, come quello fare il nido per prepararsi al parto e di accudire i propri piccoli.

Stesso discorso vale per le galline. Poi ci sono i vitelli, il cui isolamento in box individuali impedisce il gioco, che è importante per il loro sviluppo sociale e mentale.

Sono state documentate anche le condizioni dei conigli allevati in Italia per la produzione di carne. Abbiamo visto questi animali, che in libertà sarebbero capaci di compiere salti di oltre quattro metri di lunghezza, ammassati e feriti alla testa e alle zampe per il continuo contatto con le reti metalliche, in gabbie spoglie, priva di qualsivoglia arricchimento ambientale. Abbiamo visto stereotipie causate dal sovraffollamento e fattrici in evidente stato di stress che grattano la porta chiusa del nido perché non possono scegliere liberamente quando interagire con i propri cuccioli, è l’operatore che apre e chiude il nido.

In pratica, una gabbia standard fornisce solo l’1% dello spazio necessario a un gruppo di conigli che, in condizioni naturali, coprirebbe una superficie di almeno 50 m2

In Italia sono allevate circa un milione di coniglie fattrici all’anno in circa 8.000 allevamenti, di cui 1.500 "professionali".

Se alziamo lo sguardo all’intera Europa, ci accorgiamo che pariamo di centinaia di milioni di animali allevati a fini alimentari nell’Unione europea che sono costretti a passare tutta la vita, o una parte significativa di essa, imprigionati in gabbie, a malapena in grado di muoversi e senza poter esprimere molti dei loro comportamenti naturali.

La Commissione Europea, dopo il milione e mezzo di firme raccolte, si è impegnata ad adottare entro il 2027 una legislazione che preveda la graduale eliminazione dell’uso delle gabbie.


Per rafforzare questo percorso, insieme alle altre associazioni abbiamo lanciato una nuova iniziativa: una diretta di 24 ore che riprende la vita di alcuni animali in gabbia, per dare un minimo di idea di che cosa significhi vivere tutta la vita in questo modo. Ne sto parlando adesso perché questo evento inizia proprio adesso, alle 22, e terminerà domani 11/3 sempre alle 22. Lo schermo è diviso in 4 riquadri con le 4 specie riprese in gabbia (scrofe, conigli, vitelli e galline). Nella giornata di domani, durante questa diretta, ci saranno molti interventi che spiegano lo stato dell’arte di questa battaglia epocale verso la fine degli allevamenti in gabbia. 

Riprendendo l’argomento che mi è stato assegnato, e che riguarda la tutela del benessere animale in sede giudiziaria, gli articoli che vengono in rilievo sono due, entrambi introdotti con la L. 189/04, e sono l’art. 544 ter ed il secondo comma dell’art. 727 c.p., nel nuovo testo introdotto dalla riforma.

L’art. 544 ter del c.p. prevede che chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue   caratteristiche etologiche è punito con la reclusione da tre a diciotto mesi o con la multa da 5.000 a 30.000 euro.

La stessa pena si applica a chiunque somministra agli animali sostanze stupefacenti o vietate ovvero li sottopone a trattamenti che procurano un danno alla salute degli stessi.

 La pena è aumentata della metà se dai fatti di cui al primo comma deriva la morte dell'animale.


Ci sono luci ed ombre su questo articolo, che ha sicuramente dato un grande impulso ai procedimenti per i maltrattamenti ma ha anche molti limiti: prevede che ci sia un dolo specifico, cioè si viene puniti solo se si è agito per crudeltà e senza necessità. Non basta aver maltrattato, bisogno averlo fatto volendo incrudelire inutilmente sull’animale. Inoltre si richiede la produzione di lesioni, ovvero la sottoposizione a fatiche o lavori insopportabili per le caratteristiche etologiche dell’animale. E’ un elemento importante il riferimento alle scienze etologiche, ma i magistrati in questi casi puntano la loro attenzione sulla produzione di “lesioni”, cioè di segni visibili della sofferenza dell’animale.

Qui entrano in gioco le perizie che portiamo nei tribunali, finalizzate ad evidenziare che il maltrattamento non è solo quello fisico, ma anche etologico.

In molti casi ci siamo occupati di animali maltrattati, perché picchiati ripetutamente anche davanti agli occhi di vicini di casa denuncianti, e ci siamo dovuti opporre a richieste di archiviazione con le quali i PM chiedevano di chiudere il caso perché non vi era prova di lesioni. In alcuni casi riusciamo ad ottenere delle imputazioni coattive, in altri casi non riusciamo a spuntarla. E’ successo recentemente per il caso del bassotto di Napoli, ripetutamente percosso da un’anziana proprietaria che ha avuto decine di segnalazioni e denunce da parte delle vicine di casa. Il GIP ha disposto l’archiviazione, nonostante la nostra opposizione, perché non vi erano segni di lesioni, come certificato dai veterinari della ASL.

L’art. 727 c.p. prevede che si viene puniti con l’arresto fino ad un anno o con l’ammenda fino a € 10.000 se si detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura, e produttive di gravi sofferenze. Anche in questo caso, la verifica circa lo stato di sofferenza degli animali deve essere effettuato da persone con specifiche competenze.

A Busto Arsizio, nei giorni scorsi, un PM non ha convalidato un sequestro di animali tenuti nel fango in condizioni che sono state documentate da foto e video, sempre sul presupposto che non fossero state riscontrate né lesioni, né lo stato di grave sofferenza degli animali.

Si è verificato in quel caso un contrasto tra le valutazioni di un veterinario libero professionista che era stato nominato come ausiliario dalle guardie zoofile e il veterinario della ASL, che non aveva ravvisato questo stato di sofferenza.

Qui si apre un grande tema, che è per l’appunto quello delle competenze che si devono mettere in campo. Il procuratore della repubblica di Ancone dott. Gubinelli, che sta seguendo il caso dell’allevamento di Trecastelli, dove sono stati sequestrati più di ottocento cani in una struttura autorizzata a tenerne 60, ha redatto delle linee guida in materia di tecniche investigative sui reati in danno degli animali, e ha chiaramente affermato che a volte l’intervento dei veterinari della ASL è persino controproducente (sono sue parole), perché basato su valutazioni meramente apparenti, mentre lo stato di sofferenza degli animali comporta delle valutazioni specifiche.

Da tempo stiamo chiedendo una riforma che, oltre ad inasprire le pene, che allo stato non hanno valenza deterrente, siano finalizzate anche ad istituire corsi specifici che devono essere svolti dalle persone chiamate ad intervenire negli accertamenti che riguardano la verifica di condizioni di benessere degli animali. 

 

sabato 11 febbraio 2023

conferenza stampa "Urban Pets" (Sala della Stampa Estera, 7/2) - Aree cani in città, mappatura italiana. Città virtuose e meno. La necessità dei controlli




Ringrazio gli organizzatori (Progetto Paradiso Italia e GreenMe) per l’invito alla partecipazione a questo evento di cui condividiamo finalità di diffondere una maggiore cultura ecologica al fine di avere delle città davvero a misura di cani e gatti anche attraverso la riqualificazione delle aree verdi. L’ideale sarebbe davvero sfruttare anche piccoli spazi urbani per realizzare delle mini-foreste urbane (urban forests) con piante autoctone a più strati di vegetazione (alberi, arbusti ed erbe) secondo i metodi del botanico giapponese Akira Miyawaki, vincitore del Blue Planet Prize, utili a proteggere la qualità dell’aria e agire come un “hotspot” di biodiversità.

In molti Stati europei si stanno seguendo queste metodiche per rigenerare piccoli spazi pubblici (come i giardini delle scuole e anche le aiuole spartitraffico) o privati. Dovrebbero essere improntate a questi principi anche le aree destinate ai nostri animali, non solo i canili, che dovrebbero essere tutti dei canili-parco ricchi di vegetazione (e siamo molto lontani da questo traguardo), sia le cosiddette “aree cani”, destinate allo svago dei cani di proprietà.

Nei centri urbani queste aree dedicate ai nostri amici a quattro zampe scarseggiano e quelle già esistenti spesso sono prive di adeguata vegetazione e fanno affidamento ai singoli cittadini per la gestione, per cui sono curate nei limiti del possibile.

Una prima mappatura a livello nazionale di queste aree è fornita dal sito Areacani.it, pensato per i proprietari di cani che vogliono conoscere le aree cani più vicine alla loro casa ma anche organizzare al meglio un viaggio in una località italiana con il proprio cane al seguito. Questo è un servizio molto utile, tenuto conto del fatto che sono oltre sette milioni i cani che vivono nelle famiglie italiane. La mappatura finora realizzata conferma il noto dato per cui le città maggiormente virtuose sono collocate nel Nord Italia.

A Torino le aree per il passeggio dei cani ricoprono in totale sul territorio cittadino una superficie di circa 90 chilometri quadrati.



A Milano è previsto che a sorvegliare le aree ci siano le Guardie Ecologiche, che sono incaricate anche di informare, richiamare ed eventualmente sanzionare i proprietari dei cani che non rispettano il Regolamento d’uso degli spazi verdi e il Regolamento per il benessere e la tutela degli animali.

I controlli principalmente sono finalizzati ad evitare che le aree cani siano disseminate di deiezioni non raccolte da proprietari di cani non rispettosi dei regolamenti e questo è un aspetto su cui dover fare una riflessione.


Come sappiamo, spesso ci siamo dovuti confrontare con sindaci che proprio per evitare il problema delle deiezioni avevano emanato ordinanze per impedire ai proprietari di animali di entrare nei parchi, in comuni spesso privi di apposite aree cani, con conseguente grave limitazione di libertà per i proprietari degli animali. Questi provvedimenti sono stati puntualmente impugnati e la giurisprudenza dei Tribunali Amministrativi Regionali che si sono pronunciati sulla questione è unanime nel ritenere che queste ordinanze non solo siano eccessivamente limitative della libertà di circolazione delle persone ma anche contrarie ai principi di adeguatezza e proporzionalità.

Secondo i Tribunali Amministrativi i Comuni, in luogo dell’indiscriminato divieto di accesso dei cani alle aree verdi pubbliche, devono rendere effettive le norme che impongono la corretta gestione del cane, comprese la raccolta delle deiezioni, mediante una efficace azione di controllo e di repressione, nel rispetto del principio di proporzionalità dei mezzi rispetto ai fini perseguiti.

Da questo punto di vista le aree per cani consentono di assicurare la dovuta pulizia, essendo gli stessi proprietari degli animali interessati ad avere aree pulite dove far correre i propri cani in libertà.

Anche gruppi di cittadini possono impegnarsi a prendersi cura di un’area cane, formando un’associazione e adottando l’area con una convenzione, attraverso un progetto che può essere vagliato dall’amministrazione comunale.

Questo concetto merita di essere approfondito perché non si tratta di sostituirsi alle istituzioni. La progettazione delle aree urbane e del verde pubblico negli ultimi decenni in Italia e negli altri Stati europei si è orientata sempre più verso la sperimentazione di forme innovative di gestione, incentivando collaborazioni fra cittadini, imprese e amministrazioni, per lo svolgimento di attività per la cura e rigenerazione dei beni comuni urbani.

Negli ultimi anni si è registrato un vero e proprio cambio di prospettiva nei confronti di beni pubblici urbani, spesso soggetti a degrado e penalizzati dalla carenza di risorse pubbliche. Le norme costituzionali sulla sussidiarietà (Cost. art 118) incentivano la partecipazione attiva dei cittadini alle scelte generali di governo del territorio e cura dei beni urbani. Nel caso di un’area cani, è facilmente comprensibile, come detto, l’interesse della comunità di proprietari a che il parco venga correttamente manutenuto e gestito ed è anche facilmente intuibile l’interesse analogo dell’intero quartiere che ne viene valorizzato.

Ovviamente le istituzioni sono chiamate sempre a svolgere la loro parte, garantendo la presenza di spazi da adibire ad aree cani, dotandole delle necessarie attrezzature e indicandone le norme di gestione, facilitando così anche un comportamento cooperativo dei cittadini.

In tutti i Comuni occorre un cambio di prospettiva urbanistica con la creazione, laddove inesistente, di questi spazi realmente condivisi e funzionali, che sono anche aree di socializzazione che migliorano la vita di tutti e consentono alle amministrazioni di fregiarsi dell’immagine di comuni animal friendly.