sabato 11 marzo 2023

convegno sul Benessere Animale - 10/3/2023 - Villar Perosa (TO)


Gli argomenti che sono stati esposti sono interessantissimi e costituiscono la base scientifica sulla quale basiamo il nostro lavoro di denuncia e di azione in sede processuale per reprimere i maltrattamenti e le condotte che non sono rispettose del benessere animale.

Faccio una piccola digressione, comunque pertinente al tema della tutela del benessere animale, allargando un momento lo sguardo oltre al confine della categoria degli animali familiari.

Purtroppo, sono centinaia di milioni gli animali che ogni anno vivono la loro breve esistenza all’interno di piccole gabbie nelle quali hanno minime possibilità di movimento prima di essere utilizzati per fini alimentari. Anche nel settore degli allevamenti abbiamo norme che sono finalizzate a tutelare il benessere degli animali e in questo caso appare davvero beffardo accostare il termine benessere a quelle che sono le condizioni minime di rispetto di questi animali, che in realtà vivono in una condizione di vero e proprio maltrattamento, che però è consentito dalla legge.

L’art. 19-ter  delle disposizioni di coordinamento del codice penale introdotto dalla L. 189/04 afferma che le disposizioni che sono state introdotte sui reati di uccisione e maltrattamento e detenzione di animali con modalità incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze non si applicano in tutta una serie di casi previsti dalle leggi speciali in materia di caccia, di  pesca,  di  allevamento,  di  trasporto,  di macellazione  degli animali,  di  sperimentazione  scientifica sugli stessi, di attività circense,  di  giardini zoologici, nonchè dalle altre leggi speciali in materia di animali.

Basta che vengano rispettare le norme che impongono delle prescrizioni sulla temperatura degli ambienti e cose di questo tipo che la condizione di vita di questi animali viene tollerata dal nostro ordinamento.


La LNDC da tempo non si occupa solo di animali familiari, ma anche di selvatici (in particolare lupi e orsi) e animali allevati a fa parte della coalizione italiana che ha presentato l’ICE (iniziativa dei cittadini europei) denominata End The Cage Age (Fine dell’era delle gabbie) per eliminare l’uso delle gabbie negli allevamenti intensivi.

In Italia le scrofe allevate ogni anno sono circa mezzo milione. La quasi totalità di questi animali passa metà la propria vita in gabbie, prima “di gestazione”, durante le prime 4 settimane dalla inseminazione, e poi “di allattamento”, dall’ultima settimana prima del parto fino a tutto l’allattamento.

La gabbia impatta gravemente sulla libertà di movimento delle scrofe, che riescono soltanto ad alzarsi e sdraiarsi, e le priva della possibilità di esprimere i loro comportamenti naturali, come quello fare il nido per prepararsi al parto e di accudire i propri piccoli.

Stesso discorso vale per le galline. Poi ci sono i vitelli, il cui isolamento in box individuali impedisce il gioco, che è importante per il loro sviluppo sociale e mentale.

Sono state documentate anche le condizioni dei conigli allevati in Italia per la produzione di carne. Abbiamo visto questi animali, che in libertà sarebbero capaci di compiere salti di oltre quattro metri di lunghezza, ammassati e feriti alla testa e alle zampe per il continuo contatto con le reti metalliche, in gabbie spoglie, priva di qualsivoglia arricchimento ambientale. Abbiamo visto stereotipie causate dal sovraffollamento e fattrici in evidente stato di stress che grattano la porta chiusa del nido perché non possono scegliere liberamente quando interagire con i propri cuccioli, è l’operatore che apre e chiude il nido.

In pratica, una gabbia standard fornisce solo l’1% dello spazio necessario a un gruppo di conigli che, in condizioni naturali, coprirebbe una superficie di almeno 50 m2

In Italia sono allevate circa un milione di coniglie fattrici all’anno in circa 8.000 allevamenti, di cui 1.500 "professionali".

Se alziamo lo sguardo all’intera Europa, ci accorgiamo che pariamo di centinaia di milioni di animali allevati a fini alimentari nell’Unione europea che sono costretti a passare tutta la vita, o una parte significativa di essa, imprigionati in gabbie, a malapena in grado di muoversi e senza poter esprimere molti dei loro comportamenti naturali.

La Commissione Europea, dopo il milione e mezzo di firme raccolte, si è impegnata ad adottare entro il 2027 una legislazione che preveda la graduale eliminazione dell’uso delle gabbie.


Per rafforzare questo percorso, insieme alle altre associazioni abbiamo lanciato una nuova iniziativa: una diretta di 24 ore che riprende la vita di alcuni animali in gabbia, per dare un minimo di idea di che cosa significhi vivere tutta la vita in questo modo. Ne sto parlando adesso perché questo evento inizia proprio adesso, alle 22, e terminerà domani 11/3 sempre alle 22. Lo schermo è diviso in 4 riquadri con le 4 specie riprese in gabbia (scrofe, conigli, vitelli e galline). Nella giornata di domani, durante questa diretta, ci saranno molti interventi che spiegano lo stato dell’arte di questa battaglia epocale verso la fine degli allevamenti in gabbia. 

Riprendendo l’argomento che mi è stato assegnato, e che riguarda la tutela del benessere animale in sede giudiziaria, gli articoli che vengono in rilievo sono due, entrambi introdotti con la L. 189/04, e sono l’art. 544 ter ed il secondo comma dell’art. 727 c.p., nel nuovo testo introdotto dalla riforma.

L’art. 544 ter del c.p. prevede che chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue   caratteristiche etologiche è punito con la reclusione da tre a diciotto mesi o con la multa da 5.000 a 30.000 euro.

La stessa pena si applica a chiunque somministra agli animali sostanze stupefacenti o vietate ovvero li sottopone a trattamenti che procurano un danno alla salute degli stessi.

 La pena è aumentata della metà se dai fatti di cui al primo comma deriva la morte dell'animale.


Ci sono luci ed ombre su questo articolo, che ha sicuramente dato un grande impulso ai procedimenti per i maltrattamenti ma ha anche molti limiti: prevede che ci sia un dolo specifico, cioè si viene puniti solo se si è agito per crudeltà e senza necessità. Non basta aver maltrattato, bisogno averlo fatto volendo incrudelire inutilmente sull’animale. Inoltre si richiede la produzione di lesioni, ovvero la sottoposizione a fatiche o lavori insopportabili per le caratteristiche etologiche dell’animale. E’ un elemento importante il riferimento alle scienze etologiche, ma i magistrati in questi casi puntano la loro attenzione sulla produzione di “lesioni”, cioè di segni visibili della sofferenza dell’animale.

Qui entrano in gioco le perizie che portiamo nei tribunali, finalizzate ad evidenziare che il maltrattamento non è solo quello fisico, ma anche etologico.

In molti casi ci siamo occupati di animali maltrattati, perché picchiati ripetutamente anche davanti agli occhi di vicini di casa denuncianti, e ci siamo dovuti opporre a richieste di archiviazione con le quali i PM chiedevano di chiudere il caso perché non vi era prova di lesioni. In alcuni casi riusciamo ad ottenere delle imputazioni coattive, in altri casi non riusciamo a spuntarla. E’ successo recentemente per il caso del bassotto di Napoli, ripetutamente percosso da un’anziana proprietaria che ha avuto decine di segnalazioni e denunce da parte delle vicine di casa. Il GIP ha disposto l’archiviazione, nonostante la nostra opposizione, perché non vi erano segni di lesioni, come certificato dai veterinari della ASL.

L’art. 727 c.p. prevede che si viene puniti con l’arresto fino ad un anno o con l’ammenda fino a € 10.000 se si detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura, e produttive di gravi sofferenze. Anche in questo caso, la verifica circa lo stato di sofferenza degli animali deve essere effettuato da persone con specifiche competenze.

A Busto Arsizio, nei giorni scorsi, un PM non ha convalidato un sequestro di animali tenuti nel fango in condizioni che sono state documentate da foto e video, sempre sul presupposto che non fossero state riscontrate né lesioni, né lo stato di grave sofferenza degli animali.

Si è verificato in quel caso un contrasto tra le valutazioni di un veterinario libero professionista che era stato nominato come ausiliario dalle guardie zoofile e il veterinario della ASL, che non aveva ravvisato questo stato di sofferenza.

Qui si apre un grande tema, che è per l’appunto quello delle competenze che si devono mettere in campo. Il procuratore della repubblica di Ancone dott. Gubinelli, che sta seguendo il caso dell’allevamento di Trecastelli, dove sono stati sequestrati più di ottocento cani in una struttura autorizzata a tenerne 60, ha redatto delle linee guida in materia di tecniche investigative sui reati in danno degli animali, e ha chiaramente affermato che a volte l’intervento dei veterinari della ASL è persino controproducente (sono sue parole), perché basato su valutazioni meramente apparenti, mentre lo stato di sofferenza degli animali comporta delle valutazioni specifiche.

Da tempo stiamo chiedendo una riforma che, oltre ad inasprire le pene, che allo stato non hanno valenza deterrente, siano finalizzate anche ad istituire corsi specifici che devono essere svolti dalle persone chiamate ad intervenire negli accertamenti che riguardano la verifica di condizioni di benessere degli animali. 

 

sabato 11 febbraio 2023

conferenza stampa "Urban Pets" (Sala della Stampa Estera, 7/2) - Aree cani in città, mappatura italiana. Città virtuose e meno. La necessità dei controlli




Ringrazio gli organizzatori (Progetto Paradiso Italia e GreenMe) per l’invito alla partecipazione a questo evento di cui condividiamo finalità di diffondere una maggiore cultura ecologica al fine di avere delle città davvero a misura di cani e gatti anche attraverso la riqualificazione delle aree verdi. L’ideale sarebbe davvero sfruttare anche piccoli spazi urbani per realizzare delle mini-foreste urbane (urban forests) con piante autoctone a più strati di vegetazione (alberi, arbusti ed erbe) secondo i metodi del botanico giapponese Akira Miyawaki, vincitore del Blue Planet Prize, utili a proteggere la qualità dell’aria e agire come un “hotspot” di biodiversità.

In molti Stati europei si stanno seguendo queste metodiche per rigenerare piccoli spazi pubblici (come i giardini delle scuole e anche le aiuole spartitraffico) o privati. Dovrebbero essere improntate a questi principi anche le aree destinate ai nostri animali, non solo i canili, che dovrebbero essere tutti dei canili-parco ricchi di vegetazione (e siamo molto lontani da questo traguardo), sia le cosiddette “aree cani”, destinate allo svago dei cani di proprietà.

Nei centri urbani queste aree dedicate ai nostri amici a quattro zampe scarseggiano e quelle già esistenti spesso sono prive di adeguata vegetazione e fanno affidamento ai singoli cittadini per la gestione, per cui sono curate nei limiti del possibile.

Una prima mappatura a livello nazionale di queste aree è fornita dal sito Areacani.it, pensato per i proprietari di cani che vogliono conoscere le aree cani più vicine alla loro casa ma anche organizzare al meglio un viaggio in una località italiana con il proprio cane al seguito. Questo è un servizio molto utile, tenuto conto del fatto che sono oltre sette milioni i cani che vivono nelle famiglie italiane. La mappatura finora realizzata conferma il noto dato per cui le città maggiormente virtuose sono collocate nel Nord Italia.

A Torino le aree per il passeggio dei cani ricoprono in totale sul territorio cittadino una superficie di circa 90 chilometri quadrati.



A Milano è previsto che a sorvegliare le aree ci siano le Guardie Ecologiche, che sono incaricate anche di informare, richiamare ed eventualmente sanzionare i proprietari dei cani che non rispettano il Regolamento d’uso degli spazi verdi e il Regolamento per il benessere e la tutela degli animali.

I controlli principalmente sono finalizzati ad evitare che le aree cani siano disseminate di deiezioni non raccolte da proprietari di cani non rispettosi dei regolamenti e questo è un aspetto su cui dover fare una riflessione.


Come sappiamo, spesso ci siamo dovuti confrontare con sindaci che proprio per evitare il problema delle deiezioni avevano emanato ordinanze per impedire ai proprietari di animali di entrare nei parchi, in comuni spesso privi di apposite aree cani, con conseguente grave limitazione di libertà per i proprietari degli animali. Questi provvedimenti sono stati puntualmente impugnati e la giurisprudenza dei Tribunali Amministrativi Regionali che si sono pronunciati sulla questione è unanime nel ritenere che queste ordinanze non solo siano eccessivamente limitative della libertà di circolazione delle persone ma anche contrarie ai principi di adeguatezza e proporzionalità.

Secondo i Tribunali Amministrativi i Comuni, in luogo dell’indiscriminato divieto di accesso dei cani alle aree verdi pubbliche, devono rendere effettive le norme che impongono la corretta gestione del cane, comprese la raccolta delle deiezioni, mediante una efficace azione di controllo e di repressione, nel rispetto del principio di proporzionalità dei mezzi rispetto ai fini perseguiti.

Da questo punto di vista le aree per cani consentono di assicurare la dovuta pulizia, essendo gli stessi proprietari degli animali interessati ad avere aree pulite dove far correre i propri cani in libertà.

Anche gruppi di cittadini possono impegnarsi a prendersi cura di un’area cane, formando un’associazione e adottando l’area con una convenzione, attraverso un progetto che può essere vagliato dall’amministrazione comunale.

Questo concetto merita di essere approfondito perché non si tratta di sostituirsi alle istituzioni. La progettazione delle aree urbane e del verde pubblico negli ultimi decenni in Italia e negli altri Stati europei si è orientata sempre più verso la sperimentazione di forme innovative di gestione, incentivando collaborazioni fra cittadini, imprese e amministrazioni, per lo svolgimento di attività per la cura e rigenerazione dei beni comuni urbani.

Negli ultimi anni si è registrato un vero e proprio cambio di prospettiva nei confronti di beni pubblici urbani, spesso soggetti a degrado e penalizzati dalla carenza di risorse pubbliche. Le norme costituzionali sulla sussidiarietà (Cost. art 118) incentivano la partecipazione attiva dei cittadini alle scelte generali di governo del territorio e cura dei beni urbani. Nel caso di un’area cani, è facilmente comprensibile, come detto, l’interesse della comunità di proprietari a che il parco venga correttamente manutenuto e gestito ed è anche facilmente intuibile l’interesse analogo dell’intero quartiere che ne viene valorizzato.

Ovviamente le istituzioni sono chiamate sempre a svolgere la loro parte, garantendo la presenza di spazi da adibire ad aree cani, dotandole delle necessarie attrezzature e indicandone le norme di gestione, facilitando così anche un comportamento cooperativo dei cittadini.

In tutti i Comuni occorre un cambio di prospettiva urbanistica con la creazione, laddove inesistente, di questi spazi realmente condivisi e funzionali, che sono anche aree di socializzazione che migliorano la vita di tutti e consentono alle amministrazioni di fregiarsi dell’immagine di comuni animal friendly.