Lo sviluppo dei giacimenti di idrocarburi Ombrina Mare si inserisce in un quadro di programmazione della politica energetica italiana, che deve essere coerente con i principi della L. 239/04 (Legge Marzano), la quale si prefigge l’obiettivo della valorizzazione delle risorse nazionali di idrocarburi, mediante la prospezione e l’utilizzo con modalità compatibili con l’ambiente. Tra gli scopi della predetta legge vi è proprio il miglioramento della sostenibilità ambientale dell’energia, anche in termini di uso razionale delle risorse territoriali, di tutela della salute e di rispetto degli impegni assunti a livello internazionale, in particolare in termini di emissioni di gas a effetto serra e di incremento dell’uso delle fonti energetiche rinnovabili.
La salvaguardia ambientale è un criterio contenuto anche nella L. 9 del 9/1/91 (“Norme per l’attuazione del Nuovo Piano Energetico Nazionale”), e la recente Legge n. 99/09 (“Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia”) stabilisce incentivi in materia di energie alternative.
I predetti principi di salvaguardia ambientale devono essere particolarmente osservati nelle zone costiere, le quali, oltre a costituire la parte dell’ambiente marino più direttamente influenzato dalle attività antropiche (pesca professionale e sportiva, stabilimenti balneari, scarichi a mare, ecc.), risultano anche le più ricche e diversificate dal punto di vista biologico, vegetale ed animale, tanto da essere poste al centro di diverse convenzioni internazionali in cui sono state delineate le linee di condotta per la tutela degli ecosistemi (Convenzioni di Barcellona del 1976; Atene del 1980; Montego Bay del 1982; Rio de Janeiro del 1992).
Tali principi non appaiono rispettati in relazione al progetto Ombrina Mare.
Come descritto nel “Quadro di riferimento progettuale” (capitolo 2 del SIA), il piano di sviluppo prevede la coltivazione dell’olio (e del gas ad esso associato) presente nei carbonati terziari e del gas biogenico presente nei sovrastanti livelli del Pliocene, mediante pozzi perforati a partire dall’ubicazione del pozzo Ombrina Mare 2dir, in corrispondenza del quale si dovrebbe installare la piattaforma di produzione denominata “Ombrina Mare A”.
L’area interessata dal progetto ricade nelle acque del mare territoriale ove vi sono aree naturali protette e siti della rete Natura 2000, regolamentati dalle Direttive Comunitarie 92/43/CEE (Direttiva “Habitat”) e 79/409/CEE (Direttiva “Uccelli”). Tra questi vi sono due Siti di Importanza Comunitaria, il “Fosso delle Farfalle” (SIC IT7140106) e la “Lecceta litoranea di Torino di Sangro e foce del fiume Sangro” (SIC IT7140107).
Per quanto riguarda la zona costiera prospiciente gli impianti, ci sono numerose aree sottoposte a tutela, tra cui: i territori costieri per una fascia di trecento metri dalla linea di battigia (art. 142 D. Lgs. 42/04 “Codice dei beni culturali e del paesaggio”; i fiumi e i corsi d’acqua per una fascia di centocinquanta metri da entrambe le sponde (art. 142 cit.); le aree sottoposte a vincolo paesaggistico dichiarate di notevole interesse pubblico (art. 136 D. Lgs. 42/04). In particolare, con D.M. 21/6/85 è stata vincolata l’area di costa (codice del vincolo 130102) denominata “Fascia costiera che va da Francavilla al Mare fino a San Salvo con colline degradanti sul mare”.
Nell’area interessata dal progetto insistono due aree che sono state destinate alla protezione ed allo sviluppo delle risorse acquatiche ed al monitoraggio delle risorse alieutiche, una prospiciente il Comune di Ortona e San Vito Chetino (cod. progetto 02/BA/03/AB – Doc.U.P. Pescara 2000-2006 – Misura 3.1) ed una prospiciente il Comune di Rocca San Giovanni (cod. progetto 02/BA/04/AB – Doc.U.P. Pescara 2000-2006 – Misura 3.1). Nelle predette aree sono state realizzate barriere artificiali su fondali marini mobili (da non confondere con gli sbarramenti frangiflutti per combattere l’erosione) per diversificare l’habitat originario e stimolare effetti positivi a livello biologico ed ecologico, ed in effetti, nel terzo anno di monitoraggio (2008) l’ARTA Abruzzo ha riscontrato buone condizioni delle qualità biologica, del benthos, dei sedimenti e del biota delle predette aree marine. Nelle immediate vicinanze, lungo la costa teatina prospiciente i Comuni di Casalbordino e di Vasto, è stata creata un’area destinata allo sviluppo delle risorse acquatiche delle dimensioni di 5000 m di lunghezza e 1000 m di larghezza, per un totale di 500Ha, compresa tra la batimetria di –15,00 e –22,00 metri, con una serie di strutture idonee a favorire il ripopolamento e l’attecchimento di biocenosi, tuttora in fase di monitoraggio da parte dell’ARTA Abruzzo.
I predetti progetti hanno previsto finanziamenti comunitari, secondo le modalità definite dai regolamenti CE 1260/99, 2792/99 e 1263/99, trasfusi nel Regolamenti del Consiglio n. 1198/06 (“Regolamento del Consiglio relativo al Fondo Europeo per la Pesca”), ed il tutto verrà vanificato dall’attuazione del progetto “Ombrina Mare”.
Innanzi tutto vi saranno perturbazioni dovute alla stessa presenza fisica delle strutture, che si rifletteranno su tutti i livelli biotici, quali plancton, benthon, necton e avifauna, in quanto tali strutture rappresentano elementi di anomalia che creano condizioni di habitat differenti rispetto a quelle originarie, con conseguente sottrazione di habitat alle specie bentoniche.
Anche la generazione di rumore dovuto alla presenza delle strutture si rifletterà sulle specie ittiche. Come noto, l’elevata capacità di propagazione del rumore in mare (cinque volte superiore rispetto alla propagazione in aria) ha determinato un notevole sviluppo delle capacità uditive di molte specie, in particolare dei cetacei, che sono stati oggetto di numerosi avvistamenti nelle aree interessate dal progetto (così come le tartarughe comuni caretta caretta, incluse nella lista rossa dei vertebrati italiani considerati come “specie in pericolo in modo critico”). Dunque, anche i rumori a bassa frequenza e di sensibile entità possono determinare un allontanamento dell’ittiofauna ed un’interferenza con le normali funzioni fisiologiche e comportamentali di alcune specie, come evidenziato nello studio di impatto ambientale.
Lo stesso è a dirsi per quanto riguarda l’aumento dell’illuminazione notturna. Quest’ultima determinerà un incremento dell’attività fotosintetica del fitoplancton negli strati d’acqua più superficiali, e ciò può modificare i bioritmi degli organismi zooplanctonici, presenti normalmente nelle zone buie, potendo diventare – nel lungo periodo – un fattore di stress per gli organismi e causare un decremento della produzione biologica del plancton ed allontanare alcune specie ittiche. Peraltro anche l’avifauna può essere influenzata dall’illuminazione notturna, dato che le migrazioni di uccelli si svolgono – come noto – secondo precise vie aeree, che potrebbero subire deviazioni per effetto delle fonti luminose.
Ma per stimare le possibili perturbazioni dell’intervento progettato sull’ambiente marino, si devono valutare, oltre alla presenza delle strutture e delle navi che immetteranno in mare reflui civili, i seguenti ulteriori fattori: scarico in mare; movimentazione di sedimenti; rilascio di metalli in mare.
Per quanto riguarda gli scarichi in mare, durante le operazioni in piattaforma verrà certamente prodotta una certa quantità di scarichi liquidi e solidi (acque di produzione e di sentina; drenaggi; fanghi e detriti di perforazione) i quali, se non correttamente trattati, potrebbero alterare – come segnalato nello studio di impatto ambientale – la qualità delle acque circostanti l’area delle operazioni.
Gli scarichi di reflui civili provenienti dalla piattaforma e dai mezzi navali determinerà, inoltre, una variazione del grado di trofia delle acque, che può determinare un’eccessiva proliferazione di microalghe, responsabili del fenomeno dell’eutrofizzazione delle acque.
Per quanto riguarda la movimentazione dei sedimenti, lo stesso studio di impatto ambientale segnala che nella fase di installazione e rimozione della piattaforma e del jack-up di perforazione, così come nell’installazione della boa di ancoraggio, la inevitabile mobilitazione di materiale fine dal fondale e la conseguente dispersione in acqua causata dalla penetrazione dei pali di sostegno rappresentano le principali cause di aumento della torpidità delle acque che, se protratto per lungo tempo, può portare ad una diminuzione del quantitativo di ossigeno in acqua, in quanto riduce la capacità di penetrazione della luce e la conseguente attività di fotosintesi del fitoplancton.
Per quanto riguarda il rilascio di metalli in mare, questo riguarda le tracce di piombo presente nei carburanti dei mezzi impiegati nelle varie fasi progettuali ed il rilascio di zinco, alluminio e indio dai sistemi di protezione catodica durante le fasi di perforazione e produzione. Anche il progressivo assottigliamento dello strato metallico per corrosione può causare il rilascio di sostanze in mare. Tali metalli possono accumularsi anche nei sedimenti marini.
Inoltre le perturbazioni legate all’immissione di metalli in mare può estendersi, secondo la catena alimentare, dai più piccoli organismi marini fino ai principali predatori, compresi gli uccelli ittiofagi. Uno dei principali effetti riconducibili al rilascio di metalli è difatti il fenomeno del bioaccumulo, cioè la capacità degli organismi di concentrare sostanze chimiche inquinanti nei tessuti, con conseguenti patologie, tra cui le alterazioni a carico del patrimonio genetico.
Tutti i predetti effetti sono stati contemplati nello studio di impatto ambientale, ma sono stati ingiustamente considerati di entità minima o trascurabile.
A tutto quanto sopra detto, occorre aggiungere che, per quanto riguarda il trattamento, lo stoccaggio ed il trasporto dell’olio, sono previste due alternative progettuali: o un serbatoio galleggiante (FPSO) con capacità di stoccaggio, che sarebbe molto impattante dal punto di vista ambientale, o l’invio dell’olio a terra al Centro Olio di Miglianico. Qui l’olio dovrebbe essere trattato (desolforizzazione) e inviato nell’area di stoccaggio già esistente (a 5 km ad ovest di Ortona), per poi prendere la strada del molo di carico nel porto di Ortona ed essere scaricato su tankers, mentre il gas verrebbe utilizzato per la generazione di energia presso il Centro Olio.
Bisogna però sottolineare che il Centro Olio, il cui progetto è stato bloccato, è stato dimensionato sulla capacità produttiva dei pozzi del campo di Miglianico, e non sull’ipotesi di trattare anche l’olio di Ombrina Mare, e la Sealines dovrebbe inoltre raggiungere la considerevole lunghezza di 25 km, attraversando una zona dove si pratica agricoltura in forma intensiva (vigneti, uliveti, frutteti), con conseguenti danni incalcolabili per l’agricoltura, oltre che per il turismo e la stessa immagine dell’Abruzzo, finora considerata il cuore verde dell’Europa.
La salvaguardia ambientale è un criterio contenuto anche nella L. 9 del 9/1/91 (“Norme per l’attuazione del Nuovo Piano Energetico Nazionale”), e la recente Legge n. 99/09 (“Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia”) stabilisce incentivi in materia di energie alternative.
I predetti principi di salvaguardia ambientale devono essere particolarmente osservati nelle zone costiere, le quali, oltre a costituire la parte dell’ambiente marino più direttamente influenzato dalle attività antropiche (pesca professionale e sportiva, stabilimenti balneari, scarichi a mare, ecc.), risultano anche le più ricche e diversificate dal punto di vista biologico, vegetale ed animale, tanto da essere poste al centro di diverse convenzioni internazionali in cui sono state delineate le linee di condotta per la tutela degli ecosistemi (Convenzioni di Barcellona del 1976; Atene del 1980; Montego Bay del 1982; Rio de Janeiro del 1992).
Tali principi non appaiono rispettati in relazione al progetto Ombrina Mare.
Come descritto nel “Quadro di riferimento progettuale” (capitolo 2 del SIA), il piano di sviluppo prevede la coltivazione dell’olio (e del gas ad esso associato) presente nei carbonati terziari e del gas biogenico presente nei sovrastanti livelli del Pliocene, mediante pozzi perforati a partire dall’ubicazione del pozzo Ombrina Mare 2dir, in corrispondenza del quale si dovrebbe installare la piattaforma di produzione denominata “Ombrina Mare A”.
L’area interessata dal progetto ricade nelle acque del mare territoriale ove vi sono aree naturali protette e siti della rete Natura 2000, regolamentati dalle Direttive Comunitarie 92/43/CEE (Direttiva “Habitat”) e 79/409/CEE (Direttiva “Uccelli”). Tra questi vi sono due Siti di Importanza Comunitaria, il “Fosso delle Farfalle” (SIC IT7140106) e la “Lecceta litoranea di Torino di Sangro e foce del fiume Sangro” (SIC IT7140107).
Per quanto riguarda la zona costiera prospiciente gli impianti, ci sono numerose aree sottoposte a tutela, tra cui: i territori costieri per una fascia di trecento metri dalla linea di battigia (art. 142 D. Lgs. 42/04 “Codice dei beni culturali e del paesaggio”; i fiumi e i corsi d’acqua per una fascia di centocinquanta metri da entrambe le sponde (art. 142 cit.); le aree sottoposte a vincolo paesaggistico dichiarate di notevole interesse pubblico (art. 136 D. Lgs. 42/04). In particolare, con D.M. 21/6/85 è stata vincolata l’area di costa (codice del vincolo 130102) denominata “Fascia costiera che va da Francavilla al Mare fino a San Salvo con colline degradanti sul mare”.
Nell’area interessata dal progetto insistono due aree che sono state destinate alla protezione ed allo sviluppo delle risorse acquatiche ed al monitoraggio delle risorse alieutiche, una prospiciente il Comune di Ortona e San Vito Chetino (cod. progetto 02/BA/03/AB – Doc.U.P. Pescara 2000-2006 – Misura 3.1) ed una prospiciente il Comune di Rocca San Giovanni (cod. progetto 02/BA/04/AB – Doc.U.P. Pescara 2000-2006 – Misura 3.1). Nelle predette aree sono state realizzate barriere artificiali su fondali marini mobili (da non confondere con gli sbarramenti frangiflutti per combattere l’erosione) per diversificare l’habitat originario e stimolare effetti positivi a livello biologico ed ecologico, ed in effetti, nel terzo anno di monitoraggio (2008) l’ARTA Abruzzo ha riscontrato buone condizioni delle qualità biologica, del benthos, dei sedimenti e del biota delle predette aree marine. Nelle immediate vicinanze, lungo la costa teatina prospiciente i Comuni di Casalbordino e di Vasto, è stata creata un’area destinata allo sviluppo delle risorse acquatiche delle dimensioni di 5000 m di lunghezza e 1000 m di larghezza, per un totale di 500Ha, compresa tra la batimetria di –15,00 e –22,00 metri, con una serie di strutture idonee a favorire il ripopolamento e l’attecchimento di biocenosi, tuttora in fase di monitoraggio da parte dell’ARTA Abruzzo.
I predetti progetti hanno previsto finanziamenti comunitari, secondo le modalità definite dai regolamenti CE 1260/99, 2792/99 e 1263/99, trasfusi nel Regolamenti del Consiglio n. 1198/06 (“Regolamento del Consiglio relativo al Fondo Europeo per la Pesca”), ed il tutto verrà vanificato dall’attuazione del progetto “Ombrina Mare”.
Innanzi tutto vi saranno perturbazioni dovute alla stessa presenza fisica delle strutture, che si rifletteranno su tutti i livelli biotici, quali plancton, benthon, necton e avifauna, in quanto tali strutture rappresentano elementi di anomalia che creano condizioni di habitat differenti rispetto a quelle originarie, con conseguente sottrazione di habitat alle specie bentoniche.
Anche la generazione di rumore dovuto alla presenza delle strutture si rifletterà sulle specie ittiche. Come noto, l’elevata capacità di propagazione del rumore in mare (cinque volte superiore rispetto alla propagazione in aria) ha determinato un notevole sviluppo delle capacità uditive di molte specie, in particolare dei cetacei, che sono stati oggetto di numerosi avvistamenti nelle aree interessate dal progetto (così come le tartarughe comuni caretta caretta, incluse nella lista rossa dei vertebrati italiani considerati come “specie in pericolo in modo critico”). Dunque, anche i rumori a bassa frequenza e di sensibile entità possono determinare un allontanamento dell’ittiofauna ed un’interferenza con le normali funzioni fisiologiche e comportamentali di alcune specie, come evidenziato nello studio di impatto ambientale.
Lo stesso è a dirsi per quanto riguarda l’aumento dell’illuminazione notturna. Quest’ultima determinerà un incremento dell’attività fotosintetica del fitoplancton negli strati d’acqua più superficiali, e ciò può modificare i bioritmi degli organismi zooplanctonici, presenti normalmente nelle zone buie, potendo diventare – nel lungo periodo – un fattore di stress per gli organismi e causare un decremento della produzione biologica del plancton ed allontanare alcune specie ittiche. Peraltro anche l’avifauna può essere influenzata dall’illuminazione notturna, dato che le migrazioni di uccelli si svolgono – come noto – secondo precise vie aeree, che potrebbero subire deviazioni per effetto delle fonti luminose.
Ma per stimare le possibili perturbazioni dell’intervento progettato sull’ambiente marino, si devono valutare, oltre alla presenza delle strutture e delle navi che immetteranno in mare reflui civili, i seguenti ulteriori fattori: scarico in mare; movimentazione di sedimenti; rilascio di metalli in mare.
Per quanto riguarda gli scarichi in mare, durante le operazioni in piattaforma verrà certamente prodotta una certa quantità di scarichi liquidi e solidi (acque di produzione e di sentina; drenaggi; fanghi e detriti di perforazione) i quali, se non correttamente trattati, potrebbero alterare – come segnalato nello studio di impatto ambientale – la qualità delle acque circostanti l’area delle operazioni.
Gli scarichi di reflui civili provenienti dalla piattaforma e dai mezzi navali determinerà, inoltre, una variazione del grado di trofia delle acque, che può determinare un’eccessiva proliferazione di microalghe, responsabili del fenomeno dell’eutrofizzazione delle acque.
Per quanto riguarda la movimentazione dei sedimenti, lo stesso studio di impatto ambientale segnala che nella fase di installazione e rimozione della piattaforma e del jack-up di perforazione, così come nell’installazione della boa di ancoraggio, la inevitabile mobilitazione di materiale fine dal fondale e la conseguente dispersione in acqua causata dalla penetrazione dei pali di sostegno rappresentano le principali cause di aumento della torpidità delle acque che, se protratto per lungo tempo, può portare ad una diminuzione del quantitativo di ossigeno in acqua, in quanto riduce la capacità di penetrazione della luce e la conseguente attività di fotosintesi del fitoplancton.
Per quanto riguarda il rilascio di metalli in mare, questo riguarda le tracce di piombo presente nei carburanti dei mezzi impiegati nelle varie fasi progettuali ed il rilascio di zinco, alluminio e indio dai sistemi di protezione catodica durante le fasi di perforazione e produzione. Anche il progressivo assottigliamento dello strato metallico per corrosione può causare il rilascio di sostanze in mare. Tali metalli possono accumularsi anche nei sedimenti marini.
Inoltre le perturbazioni legate all’immissione di metalli in mare può estendersi, secondo la catena alimentare, dai più piccoli organismi marini fino ai principali predatori, compresi gli uccelli ittiofagi. Uno dei principali effetti riconducibili al rilascio di metalli è difatti il fenomeno del bioaccumulo, cioè la capacità degli organismi di concentrare sostanze chimiche inquinanti nei tessuti, con conseguenti patologie, tra cui le alterazioni a carico del patrimonio genetico.
Tutti i predetti effetti sono stati contemplati nello studio di impatto ambientale, ma sono stati ingiustamente considerati di entità minima o trascurabile.
A tutto quanto sopra detto, occorre aggiungere che, per quanto riguarda il trattamento, lo stoccaggio ed il trasporto dell’olio, sono previste due alternative progettuali: o un serbatoio galleggiante (FPSO) con capacità di stoccaggio, che sarebbe molto impattante dal punto di vista ambientale, o l’invio dell’olio a terra al Centro Olio di Miglianico. Qui l’olio dovrebbe essere trattato (desolforizzazione) e inviato nell’area di stoccaggio già esistente (a 5 km ad ovest di Ortona), per poi prendere la strada del molo di carico nel porto di Ortona ed essere scaricato su tankers, mentre il gas verrebbe utilizzato per la generazione di energia presso il Centro Olio.
Bisogna però sottolineare che il Centro Olio, il cui progetto è stato bloccato, è stato dimensionato sulla capacità produttiva dei pozzi del campo di Miglianico, e non sull’ipotesi di trattare anche l’olio di Ombrina Mare, e la Sealines dovrebbe inoltre raggiungere la considerevole lunghezza di 25 km, attraversando una zona dove si pratica agricoltura in forma intensiva (vigneti, uliveti, frutteti), con conseguenti danni incalcolabili per l’agricoltura, oltre che per il turismo e la stessa immagine dell’Abruzzo, finora considerata il cuore verde dell’Europa.