Chiunque divida la propria casa con degli animali è ben consapevole del profondo rapporto che si instaura con loro: diventano compagni di vita, in una relazione basata sull’amore e sulla fiducia reciproca.
Tuttavia, purtroppo, questa fiducia viene a volte tradita da chi è capace di compiere l’insano gesto di abbandonarli.
Stime ufficiali sugli abbandoni non esistono, ma il dato si aggira attorno ai 100.000 abbandoni l’anno, e il fenomeno non è affatto in declino.
Volendo utilizzare dei dati ufficiali, possiamo prendere in considerazione quelli del Ministero della Salute secondo cui, nel 2015, sono transitati nei canili sanitari di tutta Italia oltre 100 mila cani. I canili sanitari sono strutture di prima accoglienza dove transitano i cani appena accalappiati per essere sottoposti a sterilizzazione e alle necessarie profilassi, prima di essere inviati in un rifugio in attesa di adozione. La maggior parte di questi 100.000 cani (ma molti altri non vengono rintracciati) sono stati abbandonati. Spesso si tratta di intere cucciolate indesiderate, non di rado lasciate proprio davanti ai canili. Molte altre volte sono cani che non si vogliono più tenere per svariati motivi, come il fatto che ostacolano la pianificazione di una vacanza, nonostante oggi ci siano molte facilitazioni per viaggiare in treno, in aereo, in nave, e per portare i cani in albergo o in spiaggia, proprio a seguito di iniziative politiche “animal friendly” per evitare gli abbandoni.
Nei mesi di giugno - luglio - agosto vi è il massimo picco di abbandoni: si stima ammontino –in tutta Italia- a circa 60.000 nei tre mesi. Ciò equivale a 20.000 al mese, circa 650 cani abbandonati al giorno.
Ricordiamo, peraltro, che l’abbandono è un reato punito con l’arresto fino a un anno o con una ammenda fino a 10.000 euro.
Registriamo, poi, ancora oggi, tanti atti crudeltà nei confronti degli animali, nonostante la L. 189/2004 abbia introdotto delle pene detentive per queste condotte, certamente ancora troppo blande.
L'uccisione di animali è un reato previsto dall'art. 544-bis del codice penale ai sensi del quale chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona la morte di un animale è punito con la reclusione da 4 mesi a 2 anni
Il maltrattamento di animali è un reato previsto dall'art. 544-ter del codice penale ai sensi del quale chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche è punito con la reclusione da 3 mesi a 18 mesi o con la multa da 5 000 euro a 30 000 euro.
Ciononostante, dai dati raccolti presso il Corpo Forestale dello Stato si evince come negli ultimi due decenni siano stati sottoposti a sequestro giudiziario oltre 30.000 animali di varie specie, sia di affezione che selvatiche, tra queste ultime in particolare uccelli e rettili, in quanto vittime di maltrattamento.
Tanti sono i casi che come LNDC stiamo seguendo in tutta Italia, con apposite denunce e costituzioni in giudizio, relativi proprio a episodi di uccisione o maltrattamento di animali. Tra questi, il più recente è quello relativo alla nota vicenda del cane chiamato Angelo, brutalmente ucciso da quattro ragazzi che si sono divertiti a torturarlo e poi a impiccarlo, filmando e postando su facebook la loro turpe azione. Il Giudice del Tribunale di Paola li ha condannati alla pena massima (due anni di reclusione) dopo aver respinto la richiesta di sospensione del processo che alcuni imputati avevano avanzato per beneficiare della c.d. “messa alla prova”, un istituto giuridico finalizzato a deflazionare il carico dei tribunali sgravandoli dei c.d. processi minori. Il Tribunale di Nuoro, nel caso – parimenti molto noto - di un cane colpevole di aver aggredito la pecora di un pastore e per punizione da quest’ultimo legato dietro alla sua auto e trascinato fino alla morte, ha ammesso l’imputato alla messa alla prova, nonostante la nostra opposizione. In un altro caso davanti al Tribunale di Livorno relativo alla nota vicenda del cane Snoopy, ucciso mentre era sul balcone di casa con un colpo di carabina sparato da un signore che si stava peraltro divertendo a sparare anche ai piccioni, in cui siamo parimenti costituiti come parte civile, siamo in attesa di sapere quale sarà la decisione del giudice sempre in relazione alla richiesta di “messa alla prova” avanzata dall’imputato. Da tempo stiamo chiedendo che dall’applicazione di questo istituto giuridico siano esclusi i reati contro gli animali, che arrecano particolare riprovazione sociale.
Poi ci sono i tanti casi di canili sottoposti a sequestro che fino al giorno prima dei provvedimenti cautelari della magistratura erano in regola con le certificazioni da parte del servizio veterinario della ASL. Questo è un problema di cui ci dobbiamo occupare, perché molto spesso denunciamo i gestori di queste attività (allevamenti, canili, ecc.) per il reato di maltrattamento, ma trascuriamo di considerare che una buona quota di responsabilità è di chi consente che tali strutture operino con certificazioni superficiali.
Abbiamo un’ottima legge per la gestione del randagismo, la L. 281/91, ma i principi ispiratori di questa legge non hanno trovato sufficiente attuazione pratica. Rimane carente la costruzione di canili sanitari da parte delle amministrazioni locali, sono scarsi o assenti i programmi di prevenzione delle nascite, così come sono scarse le campagne di adozione e le iniziative di promozione di un corretto rapporto uomo/animale.
E negli anni c’è dunque chi ha fatto della detenzione a vita dei randagi un vero e proprio affare. Nonostante la Legge 281/91 indichi nelle associazioni di protezione animali i soggetti prioritari cui concedere le convenzioni per la gestione dei canili, in tutta Italia sono sorte strutture esclusivamente private, nelle quali gli animali devono fare numero e sopravvivere il più a lungo possibile.
Ammassati in gabbie anguste, in strutture fatiscenti, con un’altissima natalità che sopperisce all’altrettanto altissima mortalità: questi sono i canili lager. Aggiudicandosi la gestione dei randagi, i responsabili di “rifugi/canili” privati possono contare su un contributo che va da 2 a 7 Euro al giorno per ogni cane e il totale può giungere a cifre elevatissime.
I rapporti zoomafie della Lav-Lega antivivisezione sostengono che il randagismo frutti un giro di 500 milioni di euro l'anno. Si tratta di una stima per difetto, considerando che secondo le attuali stime vi sono circa 150.000 cani nei rifugi in attesa di adozione, per cui la predetta somma si otterrebbe contando una diaria di un euro al giorno per ogni cane, ma in realtà è molto di più.
Di sicuro non c'è Comune italiano che non attinga alle proprie casse per la gestione, di solito indiretta, dei propri animali vaganti. I Comuni rimangono responsabili degli animali, anche quando trasferiti in un'altra regione. Sono pertanto obbligati a provvedere a regolari controlli, sia per verificare le condizioni di mantenimento e il rispetto delle condizioni previste dal capitolato d'appalto, che per sincerarsi dell'effettiva esistenza in vita degli animali all'interno delle strutture onde evitare di continuare a pagare con soldi pubblici le rette di mantenimento. Il problema del randagismo dunque non coinvolge solo la sfera emotiva di attenzione e amore verso il cane, ma è un problema sociale che se gestito meglio può liberare molte risorse da dedicare al sociale.
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