Molte sono le emergenze
ambientali nella nostra Regione. Proprio in questi ultimi giorni le
associazioni ambientaliste hanno lanciato l’allarme per il piano di stoccaggio del
gas a Poggiofiorito, per cui è stato sollecitato e poi deciso, da parte della
nostra Provincia, un ricorso al TAR contro il progetto della Gas Plus srl finalizzato
a perforare il sottosuolo per ricavare due nuovi serbatoi sotterranei, oltre all’ammodernamento
dell’impianto già utilizzato per l’estrazione da parte della Snam-Eni dalla
fine degli anni Sessanta, sul presupposto che vi siano rischi di scosse sismiche
in una zona già precaria dal punto di vista idrogeologico.
Altro enorme rischio ambientale è
dato dalla recente approvazione del progetto relativo alla realizzazione di tre
nuovi pozzi petroliferi davanti alla costa vastese da parte del Comitato VIA
nazionale, che il 6 giugno ha espresso parere positivo sul progetto di
ampliamento di “Rospo Mare” da parte della Edison spa, concessione attiva da
diversi anni. Si tratta di un progetto presentato nel 2009, da realizzarsi a
11,5 miglia dalla costa tra Vasto e San Salvo, che è andato avanti nonostante
l'introduzione, con il Decreto Prestigiacomo del 2010, del divieto di estrazione
nelle 12 miglia, grazie al famoso Decreto Passera del 2012, con il quale i
procedimenti in corso sono stati "salvati". La stessa cosa è avvenuta
con il progetto “Ombrina Mare”. Guarda caso, gli uffici ministeriali non hanno
chiuso i procedimenti quando era entrato in vigore il decreto Prestigiacomo, e poco
dopo è arrivato provvidenzialmente il decreto Passera, votato in modo
bipartisan, che ha sistemato la questione.
L’assessore regionale
all’ambiente Mario Mazzocca ci ha assicurato che l’Abruzzo non sarà trasformato
in un distretto minerario, e che la Regione ha presentato una mole di
osservazioni sull’incompatibilità ambientale e sulle incongruenze tecniche del
progetto. Non ci resta che sperare bene, dunque.
Anche l’amministrazione comunale
di San Vito Chietino ha depositato al Ministero dell'Ambiente le osservazioni
utili a contrastare l'installazione dell'impianto Ombrina Mare, che prevede -
lo rammentiamo - non solo la costruzione di una piattaforma, ma anche una rete
di oleodotti, a meno di 9 chilometri dalla costa, che ovviamente andrebbero a
deturpare uno dei punti più belli del costituendo Parco Nazionale della Costa
dei Trabocchi.
Nel frattempo la Petroceltic
Italia, società controllata dall’irlandese Petroceltic International, ha
presentato al ministero dell’Ambiente l’aggiornamento dello studio di impatto
ambientale richiesto per il riavvio della procedura di Via per il pozzo
esplorativo a mare Elsa 2, situato a circa 7 chilometri al lago della costa tra
Francavilla e Ortona, progetto già bocciato nel 2011 dal VIA nazionale ed ora
riproposto, dopo appena tre anni dalla predetta bocciatura, probabilmente visto
l’atteggiamento di favore per le trivellazioni del nostro Governo nazionale.
Anche sul fronte delle bonifiche
dei siti inquinati, l’attuale Governo si pone in continuità con quello
precedente sotto il profilo dello snellimento delle procedure, a discapito del
risultato finale, tanto che il recente Decreto "competitività"
prevede evidenti semplificazioni delle bonifiche, insieme a norme che vanno
dagli impianti fotovoltaici ai dragaggi, nonostante la Corte Costituzionale
abbia dichiarato incostituzionali, già nel 2012, i cosiddetti provvedimenti
"omnibus".
Già il Governo Monti aveva
declassato 18 Sin (Siti di Interesse Nazionale, così classificati per il loro
altissimo inquinamento e la loro enorme pericolosità) portando il totale in
tutta Italia da 57 a 39. Tra i siti declassati da Monti ci furono persino la
“Terra dei Fuochi” e la “Valle del Sacco”, ma in quest’ultimo caso la Regione
Lazio e il Comune di Ceccano hanno promosso un ricorso contro il declassamento,
pienamente accolto dal Tar Lazio, che ha chiarito che non solo è stato
sbagliato declassificare alcuni siti, ma addirittura ne andavamo individuati
altri.
Tra i siti declassificati c’è
anche quello che riguarda il nostro fiume Alento, che quindi vede svanire la
possibilità di una bonifica sottoposta a controlli ministeriali.
Occorre ricordare, proprio in
relazione alla vicenda del porto, che il relativo progetto, come noto, era
stato sottoposto alla procedura di Valutazione di Impatto Ambientale, con esito
positivo, ed anche la conferenza di servizi sul progetto definitivo si era
parimenti conclusa con esito positivo. Solo successivamente, proprio con l’intervento
del Ministero dell’Ambiente sollecitato dalle associazioni ambientaliste, venne
segnalato che il piano di caratterizzazione dell’area da destinare all’approdo
per piccola pesca e turismo era carente di informazioni basilari quali la
corretta estensione del sito e l’elenco degli analiti da ricercare.
Con una successiva nota, il
predetto Ministero ha riferita al Comune di Francavilla che la Regione Abruzzo
aveva trasmesso i dati definitivi delle attività di caratterizzazione svolte
dall’ARTA, che avevano riguardato le aree pubbliche o a destinazione agricola
ricomprese nel perimetro del SIN, e che le predette indagini avevano
evidenziato un quadro di contaminazione che investiva il suolo e il sottosuolo
(diossine in alcune trincee), le acque superficiali e sotterranee, sedimenti
marini e fluviali, e pertanto chiedeva l’adozione delle idonee misure di
sicurezza. Successivamente, le autorizzazioni già concesse per la realizzazione
dell’approdo piccola pesca e turistico vennero sospese.
Restano ancora prive di risposta
le domande che allora ponemmo all’attenzione dell’opinione pubblica, e cioè:
com’è stato possibile che nessuno si fosse accorto che occorrevano delle
autorizzazioni ministeriali per eseguire l’opera? Com’è stato possibile che la
procedura per la VIA si fosse conclusa con esito positivo?
C’è poi il capitolo che riguarda
l’impegno di spesa. Inizialmente il progetto del porto era basato su un project
financing: il privato, oltre ad accollarsi la gestione del porto, avrebbe
dovuto avere la possibilità di costruire edifici con un accordo di programma. Il
progetto iniziale era assurdamente mastodontico, ma il Servizio Urbanistico
Provinciale ha fatto presente che il progetto, che prevedeva la costruzione
della foresteria, non era fattibile per l’assetto idrogeografico dei siti (praticamente
per le stesse motivazioni esposte del comitato antiporto).
Noi continuiamo a sostenere che quell’area,
vista la situazione che si è verificata, debba essere destinata ad accogliere
un piccolo approdo, ma rigorosamente ispirato a criteri di sostenibilità
ambientale, in quanto l’opera, così come progettata, presenta costi che superano
di gran lunga i benefici.
Infatti, qualora fossero
sbloccate le autorizzazioni (cosa ora più semplice con il passaggio dell’area
da SIN a SIR), occorrerebbe vedere quanto verrebbero a costare i ripascimenti
necessari per evitare l’erosione della costa a sud, che ha già dato enormi
problemi, tanto che ultimamente la Regione Abruzzo ha stanziato centomila euro
per il ripascimento.
In tutte le città dove sono stati
realizzati porti su fondali sabbiosi, si sono verificati fenomeni di erosione
delle coste, oltre a problemi di insabbiamento del porti stessi (si veda il
caso di Pescara).
La valutazione favorevole, ora
sospesa, che era stata data dal Servizio Valutazioni Ambientali della Regione
Abruzzo prevedeva infatti che dovesse essere comunque effettuato “un
ripascimento, con cadenza annuale, da effettuarsi a cura e spese del Comune di
Francavilla al Mare, per il tratto di arenile di circa 600 metri a partire
dalla banchina sud verso il pontile e per un volume non inferiore a 30.000
metri cubi totali, in modo da mantenere l’attuale posizione della linea di
battigia”. I costi che abbiamo sviluppato secondo i prezziari regionali ci
danno una spesa di circa 400.000 euro annui. Ce lo possiamo permettere?
Una proposta alternativa potrebbe
prevedere la parziale modifica del progetto e l’installazione di pontoni
galleggianti nella parte che si protende verso il mare, strutture modulari già
sperimentate in molte città di mare, che oltre ad essere più economiche sono
meno impattanti perché vengono solo ancorate sul fondo, consentendo il flusso
della sabbia, con conseguente importante riduzione dei fenomeni di erosione.
Ad ogni modo, attediamo tutti con
ansia una sistemazione definitiva di questa vicenda che contemperi l’esigenza
di portare a termine i lavori con la bonifica e la salvaguardia del fiume
Alento.
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