Il mio intervento in questo importante congresso, che si
presenta davvero come uno dei più importanti appuntamenti italiani per la
divulgazione di una cultura di attenzione al mondo degli animali, è incentrato
sulle cause penali che vedono impegnata la LNDC, da sola o insieme ad altre
associazioni protezioniste, per ottenere la condanna degli autori si condotte
di uccisioni e maltrattamenti di animali.
Varie sono le azioni che abbiamo in corso, a partire dal
processo Green Hill che sta per essere celebrato davanti al Tribunale di
Brescia. Abbiamo partecipato alle operazioni di affido dei 2600 cani
sequestrati, che hanno dimostrato le incredibili potenzialità delle
associazioni protezioniste, quando si uniscono per collaborare.
A proposito di sperimentazione, ricordo che abbiamo dato il
nostro contributo anche nel faticoso lavoro parlamentare di recepimento della
direttiva europea sulla sperimentazione con normative più restrittive, tra le
quali, per l’appunto, quelle che vietano che ci possano più essere in Italia
allevamenti di animali da destinare alla sperimentazione.
Abbiamo poi provveduto a denunciare fatti di violenza
gratuita nei confronti dei cani, come il caso del cane legato ad una macchina e
trascinato da due pastori sardi, convinti che il cane meritasse una punizione
di questo tipo, fino alla morte, per avere aggredito alcune pecore, oppure il
caso, avvenuto in provincia di
Caserta , del cane buttato dal quinto piano di un condominio
perché il suo proprietario si era innervosito. In alcuni casi, di fronte agli
episodi di maltrattamenti da parte di privati, abbiamo ottenuto la custodia
giudiziaria dei cani, che sono stati da noi affidati alle cure di persone
selezionate e sempre sotto la supervisione della LNDC, nominata custode, com’è
avvenuto nel caso di due boxer a Pescara.
Ma la parte più importante la stiamo svolgendo intervenendo
attivamente, anche di concerto con la task force ministeriale a tutela degli
animali, in alcuni canili nei quali la situazione degli animali era così
drammatica da attirare l’attenzione della stampa nazionale.
Si tratta di azioni giudiziarie che si inseriscono
perfettamente nelle finalità della campagna “Il Diritto di Vivere”, che abbiamo
lanciato quest’anno in occasione della giornata nazionale per i diritti
animali, quando abbiamo voluto sensibilizzare l’opinione pubblica contro la
vergognosa piaga dei canili lager, battaglia che da sempre è tra le priorità
della nostra associazione.
Ciò che abbiamo riscontrato è che le vigenti normative, a
partire dalla legge 281 del 1991, sono spesso disapplicate se non addirittura
ignorate anche da parte di chi dovrebbe farle applicare.
La LNDC ha chiesto in molte occasioni, anche con apposite
diffide, che i Comuni si occupassero con maggiore attenzione del risanamento
dei canili esistenti, troppo spesso fatiscenti e inadeguati a ospitare
centinaia di animali, oltre che della costruzione di nuovi rifugi, e dessero
puntuale attuazione ai piani di controllo delle nascite di cani e di gatti; che
i Servizi Veterinari dell’A.S.L. ponessero in essere verifiche rigorose sulla
rispondenza dei canili alle normative vigenti e sulle condizioni di detenzione
dei cani.
La mappa del degrado dei canili lager attraversa tutta
l'Italia. Al Sud la situazione è peggiore, ma ogni regione ha i suoi
“scheletri”. Purtroppo, qualsiasi mercato illecito è possibile se viene gestito
senza controlli. Una storia che è sotto gli occhi di tutti ma che in pochi
vedono e che pure dovrebbe riguardare ogni cittadino, se non altro per lo
sperpero di denaro pubblico che vi sta dietro. Una storia dove gli attori sono
tanti: amministratori comunali, forze dell’ordine, veterinari Asl. E, a volte,
anche criminalità organizzata. Ma è una storia di cui si parla poco perché il
silenzio conviene a tutti. A chi non deve impegnarsi a risolvere il problema e
a chi, su questo problema, continua a lucrare.
Tra gli illeciti più
frequenti riscontrati dalla LNDC e dalle forze dell’ordine vi sono: il
sovraffollamento, la carenza di cibo e acqua, l'assenza di prevenzione delle
nascite tramite sterilizzazione, la fatiscenza delle strutture, le carenze
igienico sanitarie, l'elevata mortalità dei cani, le soppressioni mascherate da
eutanasie (che in alcuni casi hanno portato alla condanna dei veterinari della
ASL), i maltrattamenti, le scarse o nulle adozioni, i decessi non denunciati.
I comuni, invece di creare canili municipali, stipulano
convenzioni con società private e, fatto l'accordo, nessuno di fatto controlla.
L’affare conviene se si lavora su numeri considerevoli e alcune delle
condizioni prevalenti per assicurarsi l’appalto sono l’economicità del servizio
e il ribasso a base d’asta, criterio che abbiamo impugnato con dei ricorsi al
TAR tuttora pendenti.
A Trani siamo custodi dei cani posti sotto sequestro in una
di queste strutture convenzionate con molti comuni; a Teramo stiamo seguendo un
processo contro funzionari dell’Asl imputati, tra le varie cose, di non aver
controllato le condizioni di detenzione di animali che si assumono essere stati
maltrattati all’interno di strutture neppure autorizzate, ma alle quali i
Comuni si rivolgevano per gestire il problema del randagismo.
Ripensare il sistema dei canili vuol dire riflettere con
serena e spietata autocritica sui risultati pratici creati da una legislazione
nazionale rimasta in buona parte solo sulla carta.
Siamo stati presenti come LNDC a Roma, nella sede italiana
del parlamento europeo, per formulare le richieste delle associazioni
protezioniste ai nuovi parlamentari europei, e anche in tale occasione abbiamo
sottolineato che, se si fossero attuate le pratiche di sterilizzazione ed
incentivazione alle adozioni, il problema del randagismo oggi sarebbe risolto.
Proprio la tendenza a considerare il randagismo come l’ultimo dei problemi di
cui occuparsi ha portato oggi i Comuni ad avere bilanci gravati enormemente
dalle spese per l’alimentazione e la cura degli animali presenti nei canili,
complice anche il business legato alla gestione di questi ultimi. Prima che il
randagismo diventi un problema collettivo (e lo diventerà sempre più con la
costante diminuzione di fondi da destinare alle emergenze sociali, per cui sarà
difficile spiegare che non ci sono soldi per l’assistenza domiciliare e
contestualmente bisogna alimentare gli animali del Comune), occorre affrontare
seriamente il problema del randagismo.
Già ultimamente hanno fatto notizia le decisioni di alcuni
sindaci di non far pagare la TARES per chi adotta cani nei canili, essendo
generalmente più conveniente per le amministrazioni comunali rinunciare a
quell’entrata rispetto al costo di gestione di un cane. Occorre evitare che si
profilino scenari inquietanti che prevedano, per l’appunto, l’abbattimento
degli animali come la soluzione più semplice al problema, come purtroppo ancora
accade in alcuni Paesi membri dell'est europeo.
E’ arrivato il momento di creare, anche attraverso le
battaglie giudiziarie, una nuova cultura di solidarietà verso i nostri amici
animali. Si tratta di combattere un sistema che ha tutto l'interesse a mantenere
gli animali nei canili, collocati lontano dalle città, in luoghi spesso
maleodoranti e che non attraggono visitatori, mentre dobbiamo favorire la
nascita di canili-parco, in cui si lavora veramente per consentire le adozioni
degli animali, superando questo ventennio di sprechi e di sofferenze che
nessuno vuole vedere in questo angolo buio della società italiana.
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