domenica 1 giugno 2014

Congresso Nazionale LNDC 17/18 maggio 2014 - Rimini

Il mio intervento in questo importante congresso, che si presenta davvero come uno dei più importanti appuntamenti italiani per la divulgazione di una cultura di attenzione al mondo degli animali, è incentrato sulle cause penali che vedono impegnata la LNDC, da sola o insieme ad altre associazioni protezioniste, per ottenere la condanna degli autori si condotte di uccisioni e maltrattamenti di animali.
Varie sono le azioni che abbiamo in corso, a partire dal processo Green Hill che sta per essere celebrato davanti al Tribunale di Brescia. Abbiamo partecipato alle operazioni di affido dei 2600 cani sequestrati, che hanno dimostrato le incredibili potenzialità delle associazioni protezioniste, quando si uniscono per collaborare.
A proposito di sperimentazione, ricordo che abbiamo dato il nostro contributo anche nel faticoso lavoro parlamentare di recepimento della direttiva europea sulla sperimentazione con normative più restrittive, tra le quali, per l’appunto, quelle che vietano che ci possano più essere in Italia allevamenti di animali da destinare alla sperimentazione.
Abbiamo poi provveduto a denunciare fatti di violenza gratuita nei confronti dei cani, come il caso del cane legato ad una macchina e trascinato da due pastori sardi, convinti che il cane meritasse una punizione di questo tipo, fino alla morte, per avere aggredito alcune pecore, oppure il caso, avvenuto in provincia di Caserta, del cane buttato dal quinto piano di un condominio perché il suo proprietario si era innervosito. In alcuni casi, di fronte agli episodi di maltrattamenti da parte di privati, abbiamo ottenuto la custodia giudiziaria dei cani, che sono stati da noi affidati alle cure di persone selezionate e sempre sotto la supervisione della LNDC, nominata custode, com’è avvenuto nel caso di due boxer a Pescara.
Ma la parte più importante la stiamo svolgendo intervenendo attivamente, anche di concerto con la task force ministeriale a tutela degli animali, in alcuni canili nei quali la situazione degli animali era così drammatica da attirare l’attenzione della stampa nazionale.
Si tratta di azioni giudiziarie che si inseriscono perfettamente nelle finalità della campagna “Il Diritto di Vivere”, che abbiamo lanciato quest’anno in occasione della giornata nazionale per i diritti animali, quando abbiamo voluto sensibilizzare l’opinione pubblica contro la vergognosa piaga dei canili lager, battaglia che da sempre è tra le priorità della nostra associazione.
Ciò che abbiamo riscontrato è che le vigenti normative, a partire dalla legge 281 del 1991, sono spesso disapplicate se non addirittura ignorate anche da parte di chi dovrebbe farle applicare.
La LNDC ha chiesto in molte occasioni, anche con apposite diffide, che i Comuni si occupassero con maggiore attenzione del risanamento dei canili esistenti, troppo spesso fatiscenti e inadeguati a ospitare centinaia di animali, oltre che della costruzione di nuovi rifugi, e dessero puntuale attuazione ai piani di controllo delle nascite di cani e di gatti; che i Servizi Veterinari dell’A.S.L. ponessero in essere verifiche rigorose sulla rispondenza dei canili alle normative vigenti e sulle condizioni di detenzione dei cani.
La mappa del degrado dei canili lager attraversa tutta l'Italia. Al Sud la situazione è peggiore, ma ogni regione ha i suoi “scheletri”. Purtroppo, qualsiasi mercato illecito è possibile se viene gestito senza controlli. Una storia che è sotto gli occhi di tutti ma che in pochi vedono e che pure dovrebbe riguardare ogni cittadino, se non altro per lo sperpero di denaro pubblico che vi sta dietro. Una storia dove gli attori sono tanti: amministratori comunali, forze dell’ordine, veterinari Asl. E, a volte, anche criminalità organizzata. Ma è una storia di cui si parla poco perché il silenzio conviene a tutti. A chi non deve impegnarsi a risolvere il problema e a chi, su questo problema, continua a lucrare.
Tra gli illeciti più frequenti riscontrati dalla LNDC e dalle forze dell’ordine vi sono: il sovraffollamento, la carenza di cibo e acqua, l'assenza di prevenzione delle nascite tramite sterilizzazione, la fatiscenza delle strutture, le carenze igienico sanitarie, l'elevata mortalità dei cani, le soppressioni mascherate da eutanasie (che in alcuni casi hanno portato alla condanna dei veterinari della ASL), i maltrattamenti, le scarse o nulle adozioni, i decessi non denunciati.
I comuni, invece di creare canili municipali, stipulano convenzioni con società private e, fatto l'accordo, nessuno di fatto controlla. L’affare conviene se si lavora su numeri considerevoli e alcune delle condizioni prevalenti per assicurarsi l’appalto sono l’economicità del servizio e il ribasso a base d’asta, criterio che abbiamo impugnato con dei ricorsi al TAR tuttora pendenti.
A Trani siamo custodi dei cani posti sotto sequestro in una di queste strutture convenzionate con molti comuni; a Teramo stiamo seguendo un processo contro funzionari dell’Asl imputati, tra le varie cose, di non aver controllato le condizioni di detenzione di animali che si assumono essere stati maltrattati all’interno di strutture neppure autorizzate, ma alle quali i Comuni si rivolgevano per gestire il problema del randagismo.
Ripensare il sistema dei canili vuol dire riflettere con serena e spietata autocritica sui risultati pratici creati da una legislazione nazionale rimasta in buona parte solo sulla carta.
Siamo stati presenti come LNDC a Roma, nella sede italiana del parlamento europeo, per formulare le richieste delle associazioni protezioniste ai nuovi parlamentari europei, e anche in tale occasione abbiamo sottolineato che, se si fossero attuate le pratiche di sterilizzazione ed incentivazione alle adozioni, il problema del randagismo oggi sarebbe risolto. Proprio la tendenza a considerare il randagismo come l’ultimo dei problemi di cui occuparsi ha portato oggi i Comuni ad avere bilanci gravati enormemente dalle spese per l’alimentazione e la cura degli animali presenti nei canili, complice anche il business legato alla gestione di questi ultimi. Prima che il randagismo diventi un problema collettivo (e lo diventerà sempre più con la costante diminuzione di fondi da destinare alle emergenze sociali, per cui sarà difficile spiegare che non ci sono soldi per l’assistenza domiciliare e contestualmente bisogna alimentare gli animali del Comune), occorre affrontare seriamente il problema del randagismo.
Già ultimamente hanno fatto notizia le decisioni di alcuni sindaci di non far pagare la TARES per chi adotta cani nei canili, essendo generalmente più conveniente per le amministrazioni comunali rinunciare a quell’entrata rispetto al costo di gestione di un cane. Occorre evitare che si profilino scenari inquietanti che prevedano, per l’appunto, l’abbattimento degli animali come la soluzione più semplice al problema, come purtroppo ancora accade in alcuni Paesi membri dell'est europeo.

E’ arrivato il momento di creare, anche attraverso le battaglie giudiziarie, una nuova cultura di solidarietà verso i nostri amici animali. Si tratta di combattere un sistema che ha tutto l'interesse a mantenere gli animali nei canili, collocati lontano dalle città, in luoghi spesso maleodoranti e che non attraggono visitatori, mentre dobbiamo favorire la nascita di canili-parco, in cui si lavora veramente per consentire le adozioni degli animali, superando questo ventennio di sprechi e di sofferenze che nessuno vuole vedere in questo angolo buio della società italiana. 

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