Tante sono le questioni,
importantissime, che dovranno essere affrontate dai nuovi parlamentari europei,
a partire dal potenziamento del ruolo politico dell’Unione Europea non solo
sullo scenario internazionale, ma anche come fattore d’integrazione tra i vari
popoli dell’unione. Finora abbiamo assistito ad un grande lavorio di tipo
burocratico e giuridico che ha portato all’elaborazione di alti principi, ma ad
una scarsa azione di tipo politico, visto che finora la partita è stata giocata
tutta sul terreno dell’economia e della finanza, peraltro perseguendo obiettivi
che vanno radicalmente cambiati, perché hanno finito per aggravare una
situazione di crisi dalla quale non siamo affatto usciti.
In uno scenario così drammatico i
punti programmatici elaborati dalle associazioni di protezione animale “per
un’Europa dalla parte del animali” possono sembrare l’ultimo argomento di cui
doversi occupare, ma non intendiamo tornare sul concetto, che riteniamo ormai
scontato, che non esistono priorità nelle battaglie di civiltà che dobbiamo
portare avanti.
Come Responsabile Diritti Animali
della Lega Nazionale per la Difesa del Cane, i punti che ritengo di dover
sottolineare sono quelli relativi all’introduzione in tutta Europa del divieto
di uccisione di animali randagi, con il contestuale sviluppo di un programma
unitario di prevenzione del randagismo, sulla scia delle previsione della legge
italiana 281 del 1991, una delle migliori al mondo, anche se non ha dato i
frutti sperati a causa della sua non corretta applicazione.
Infatti, se si fossero attuate le
pratiche di sterilizzazione ed incentivazione alle adozioni, il problema oggi
sarebbe risolto. Proprio la tendenza a considerare il randagismo come l’ultimo
dei problemi di cui occuparsi ha portato oggi i Comuni ad avere bilanci gravati
enormemente dalle spese per l’alimentazione e la cura degli animali presenti
nei canili, complice anche il business legato alla gestione di questi ultimi.
Prima che il randagismo diventi un problema collettivo (e lo diventerà sempre
più con la costante diminuzione di fondi da destinare alle emergenze sociali,
per cui sarà difficile spiegare che non ci sono soldi per l’assistenza
domiciliare e contestualmente bisogna alimentare gli animali del Comune),
occorre affrontare seriamente il problema del randagismo.
Già ultimamente hanno fatto
notizia le decisioni di alcuni sindaci di non far pagare la TARES per chi
adotta cani nei canili, essendo generalmente più conveniente per le
amministrazioni comunali rinunciare a quell’entrata rispetto al costo di
gestione di un cane. Occorre evitare che si profilino scenari inquietanti che
prevedano, per l’appunto, l’abbattimento degli animali come la soluzione più
semplice al problema, come purtroppo ancora accade in alcuni Paesi membri dell'est europeo.
Nell’UE cose di
questo tipo non si devono mai vedere, e quindi occorrono adeguati programmi di
sterilizzazione e di promozione delle adozioni, ma anche una tracciabilità
europea dei cani tramite microchip, con la contestuale disincentivazione
all’allevamento e alla riproduzione finalizzati alla vendita, combattendo il
traffico di cuccioli e tutti i fenomeni illegali sugli animali da compagnia.
Andrebbe altresì immaginata una
legislazione europea unitaria sugli animali da compagnia, con una codificazione
unitaria che getti le basi per farne persino una materia d’insegnamento universitario
(come accade negli atenei americani dove si insegna Animal law) e per inserire
tale materia nei percorsi educativi delle scuole primarie inferiori, come
accade per i programmi di educazione ambientale. Affinchè arrivi presto il
giorno in cui, con la diffusione di una vera cultura di solidarietà verso ogni
tipo di sofferenza, non sarà più possibile vedere genitori che accompagnano i
propri figli negli zoo, come abbiamo visto in occasione del tragico
smembramento della giraffa dello zoo di Copenaghen, uccisa perché troppo
costosa da mantenere e data in pasto ai leoni davanti agli occhi dei bambini,
tenuti per mano dai loro genitori.
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