Io ringrazio per l’invito a fare parte di una squadra di scrittori,
invito che ho accettato volentieri anche se ho evidentemente usurpato il posto
a qualcun altro, non essendo io uno scrittore, ma piuttosto uno “scrivente”, visto
che dedico la maggior parte del mio tempo alla predisposizione di atti legali
oppure ad interventi su temi ambientali o sui diritti degli animali, che molto
mi appassionano ma che forse hanno poco di letterario.
Sarei dunque più a
mio agio a illustrare la legge sul femminicidio, o a parlare dei problemi della violenza di genere alla
luce della Convenzione di Istanbul, piuttosto che a insinuarmi nel tema del
rapporto tra donne e letterature di genere.
Anche perchè questo è un rapporto assai difficile da
inquadrare, e non risultano granchè di
aiuto gli studi fatti.
Fino a non molto tempo fa, infatti, poche volte il punto di
vista femminile ha trovato ingresso nella letteratura.
Medea, l'eroina
della tragedia di Euripide (431 a.C.), poi ripresa da Seneca, che, per amore di Giasone, aveva accettato di
abbandonare la sua terra e la sua famiglia per accompagnarlo in varie
peregrinazioni, ed era poi divenuta autrice di delitti e malefatte, si
lamentava per l'impossibilità per le donne di cantare i propri sentimenti.
In realtà, a ben vedere, a cantare i propri
sentimenti c’era già stata, nella Grecia del settimo secolo avanti Cristo, la
poetessa Saffo, che alcuni studiosi hanno voluto vedere come una femminista ante litteram, mentre invece, secondo
molti studiosi, aderiva anch’essa a canoni letterari maschili.
La letteratura
femminile, cioè di costruzione identitaria ed emancipativa per le donne, si può
dire che comincia in epoca moderna, con Virginia Woolf, autrice peraltro di un
celebre saggio dedicato proprio al rapporto tra donne e letteratura (Una
stanza tutta per sé, 1929), in cui vengono evidenziati i limiti imposti alla creatività femminile dalla
dipendenza economica e morale dall’uomo.
Mi piace osservare, però, che è nel secolo dei «lumi», che tante volte – come avvocato che si occupa di diritti degli animali – cito come il periodo in cui iniziano a prendere corpo le istanze animaliste – che le donne, attraverso i tanti sconvolgimenti sociali e politici che lo contraddistinguono, emergono da una condizioni di subalternità e si affermano come pensatrici e autrici di quel nuovo genere letterario che dall’inizio dell’ottocento si va imponendo, e cioè il romanzo.
Mi piace osservare, però, che è nel secolo dei «lumi», che tante volte – come avvocato che si occupa di diritti degli animali – cito come il periodo in cui iniziano a prendere corpo le istanze animaliste – che le donne, attraverso i tanti sconvolgimenti sociali e politici che lo contraddistinguono, emergono da una condizioni di subalternità e si affermano come pensatrici e autrici di quel nuovo genere letterario che dall’inizio dell’ottocento si va imponendo, e cioè il romanzo.
Jane Austen, ad
esempio, oltre a dedicarsi alla cucina, sapeva ritrarre in modo ironico, quasi
dickensiano, i personaggi notabili della seconda metà del XVIII secolo, con le
loro frivolezze tra balli, pettegolezzi e fallite scalate sociali.
Emily Brönte, nota
ai suoi contemporanei come il romanziere Ellis Bell, oltre a occuparsi delle
incombenze familiari, ha scritto un capolavoro come Cime Tempestose, in cui la
nobile protagonista Kathrine viene consumata fino alla morte dalla passione
adulterina per uno zingaro.
Tutto questo mentre oltreoceano fiorisce la
poesia di Emily Dickinson (1830-1886),
voce fondamentale della lirica americana e mondiale.
Ecco dunque, che tra la fine
del settecento e gli inizi dell’ottocento, oltre ad una critica all’antropocentrismo,
cioè alla visione del mondo che mette il genere umano al centro dell’universo,
si delinea anche una forte critica a quell’androcentrismo secondo cui il
maschio è la misura di tutte le cose, e si prende consapevolezza del fatto che
i vecchi modelli si superano con una nuova cultura, che prende forma anche e
soprattutto nella letteratura.
La
letteratura “al femminile” ha poi trovato tanti riconoscimenti, anche nei premi
Nobel, da quello conferito alla svedese Selma Lagerlöf nel
1909, seguito nel 1926 da quello a Grazia Deledda, fino ad arrivare a quelli
recenti conferiti, nel 1991, alla scrittrice sudafricana Nadine Gordimer, nel
1993 a quella afroamericana, nel 2007 alla scrittrice britannica Doris Lessing,
scomparsa alcuni giorni fa, che nella
sua lunga vita ha scritto romanzi di tutti i tipi, dal genere politico a quello
di fantascienza.
Nella
letteratura “femminile” si può e cogliere il nesso fra le donne e il mondo, ma avere
uno sguardo “di genere” sulla letteratura non significa limitarsi a leggere
opere di donne. Anche molti scrittori maschietti sono riusciti ad andare oltre le
dicotomie di genere e a rendere universale l’ottica femminile. Anche
nella canzone d’autore, che io inserisco nella letteratura, ce ne sono esempi. “Quello
che le donne non dicono”, brano reso celebre da Fiorella Mannoia e scritto
invece da Enrico Ruggeri, a parte qualche stereotipo, rende l’idea di come il
mondo può essere visto con gli occhi di una donna.
La prospettiva di genere deve fare proprio questo, evitando il rischio di diventare un’eco letteraria delle problematiche femministe. La letteratura “al femminile” è quella capace di indagare tematiche complesse – quali la maternità, la sessualità, le aspettative sociali – come trasposizione letteraria di un punto di osservazione legato all’essere donna, portatrice di intelletto, di sensibilità e di vita.
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