lunedì 18 marzo 2013

Avvelenamento di animali: le responsabilità penali (tratto dal manuale "Strategia contro l'uso del veleno in Italia", LIFE Antidoto)

Ogni anno muoiono migliaia di animali, selvatici e domestici, a causa di avvelenamento. Secondo i dati riportati nel corso di un convegno dal titolo “Il Medico Veterinario nella gestione degli avvelenamenti”, tenutosi a Montesilvano (PE) il 24 settembre 2011, il fenomeno degli avvelenamenti, che coinvolge quasi tutte le regioni italiane, ha causato, tra il 2005 ed il 2009, il decesso di oltre 4.500 animali. Nel solo periodo da gennaio e maggio 2012 si sono contati 282 decessi di animali (soprattutto cani, gatti e animali selvatici) per sospetto avvelenamento e, sulla base di tali dati, forniti dalle maggiori associazioni animaliste, l’eurodeputato Andrea Zanoni ha inoltrato alla Commissione Europea, in data 13 giugno 2012, un’interrogazione per chiedere l’interessamento delle istituzioni a questa problematica, proponendo anche una banca dati europea per valutare l’impatto dell’uso dei bocconi avvelenati in tutti i Paesi membri dell’Unione, alla luce del divieto di esche avvelenate introdotto dalle direttive comunitarie “Habitat” n. 92/43/CEE e “Uccelli” n. 2009/147/CE. In effetti il fenomeno dell’avvelenamento degli animali ha portata europea, come è stato evidenziato nello studio internazionale del 2009 “Animal poisoning Europe” condotto in cinque Paesi membri (Italia, Belgio, Francia, Grecia e Spagna).

Il presente paragrafo è finalizzato ad esaminare gli aspetti giuridici di tale fenomeno, sotto il profilo dell’ordinamento italiano.
In rilievo vengono, innanzitutto, gli articoli 544-bis e 544-ter del Codice Penale, introdotti dalla L. 189/04, che puniscono, rispettivamente, l’uccisione ed il maltrattamento di animali. L’art. 544-bis recita: “Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona la morte di un animale è punito con la reclusione da quattro mesi a due anni”, mentre l’art. 544-ter, in tema di maltrattamento,
prevede che “chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie” è punito con la reclusione da tre mesi a diciotto mesi o con la multa da 5.000 a 30.000 euro. La stessa pena si applica a chiunque somministra agli animali sostanze stupefacenti o vietate ovvero li sottopone a trattamenti che procurano un danno alla salute
degli stessi (come avviene per gli avvelenamenti non letali). L’ultimo comma di tale articolo prevede che la pena sia aumentata della metà se dai predetti fatti deriva la morte dell’animale.
L’introduzione dei predetti articoli (544-bis e 544-ter) nel Codice Penale è stata salutata, e non a torto, come una svolta rispetto al previgente impianto normativo, che faceva rientrare qualsiasi condotta in danno degli animali nell’ipotesi contravvenzionale di cui all’art. 727 c.p., il quale puniva tali condotte con una modesta ammenda, dando all’imputato la facoltà di scegliere se accedere all’oblazione o addirittura tentare di arrivare alla prescrizione del procedimento, molto breve e dunque facilmente raggiungibile. I casi di condanna, pertanto, sono stati davvero pochi, e quasi sempre determinati - per quanto riguarda gli avvelenamenti - dalla mancata opposizione al decreto
penale di condanna. Quest’ultimo strumento giuridico, pur avendo garantito una punizione dei colpevoli, non ha mai avuto una funzione realmente repressiva delle predette condotte, a causa della modestissima entità delle pene pecuniarie comminate.
Sempre nel Codice Penale vi sono altri articoli che vengono in rilievo ai fini della nostra disamina, quali l’art. 638 e 674.
L’art. 638, sotto la rubrica “Uccisione o danneggiamento di animali altrui”, sancisce che chiunque, senza necessità, uccide o rende inservibili o comunque deteriora animali che appartengono ad altri (ed è questo l’elemento caratterizzante di tale previsione normativa), è punito, salvo che il fatto costituisca più grave reato, ed a querela della persona offesa, con la reclusione fino a un
anno o con la multa fino a euro 309. La pena è della reclusione da sei mesi a quattro anni, e si procede d’ufficio, se il fatto è commesso su tre o più capi di bestiame raccolti in gregge o in mandria, ovvero su animali bovini o equini, anche non raccolti in mandria.
L’art. 674, invece, sotto la rubrica “Getto pericoloso di cose”, stabilisce che chiunque getta o versa, in un luogo di pubblico transito o in un luogo privato ma di comune o di altrui uso, cose atte a offendere o imbrattare o molestare persone, ovvero, nei casi non consentiti dalla legge, provoca emissioni di gas, di vapori o di fumo, atti a cagionare tali effetti, è punito con l’arresto fino a un
mese o con l’ammenda fino a euro 206. Ed invero, lasciare esche o bocconi avvelenati costituisce un pericolo non solo per gli animali, ma anche, per esempio, per i bambini che possono mettersi le mani in bocca dopo aver toccato tali prodotti.
E ciò a sottacere il fatto che le esche avvelenate sono pericolose anche per l’ambiente, visto che le sostanze velenose, come ad esempio la metaldeide e soprattutto la stricnina, sostanza che agisce con velocità fulminea e di cui è vietato il commercio, rimangono a lungo nei tessuti delle vittime, potendo determinare anche l’inquinamento del suolo e delle falde acquifere.
Per questo, oltre alle specifiche disposizioni del Testo Unico Ambientale, che non è possibile approfondire in questa sede, può venire in rilievo anche l’art. 440 del Codice Penale, il quale punisce con la reclusione da tre a dieci anni “chiunque corrompe o adultera acque o sostanze destinate all’alimentazione, prima che siano attinte o distribuite per il consumo, rendendole pericolose alla salute pubblica”.
Per tornare allo specifico argomento dell’avvelenamento di animali, vi sono ulteriori norme, non codicistiche, dettate dalla Legge 157/92 (“Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio”, in gergo conosciuta come “Legge sulla caccia”), la quale, all’articolo 21, lettera u), stabilisce che è vietato a chiunque “usare esche o bocconi avvelenati,
vischio o altre sostanze adesive, trappole, reti, tagliole, lacci, archetti o congegni similari”, e dal Testo Unico delle Leggi Sanitarie (Regio Decreto 27 luglio 1934, n. 1265), che all’art. 146 proibisce e punisce la distribuzione di sostanze velenose.
Sull’argomento è intervenuto più volte il Ministero della Salute mediante l’emanazione di ordinanze contingibili e urgenti concernenti norme sul divieto di utilizzo e di detenzione di esche o bocconi avvelenati (cap. 5.2.1). I percorsi formativi sono essenziali al fine di combattere il fenomeno degli avvelenamenti, e ciò vale anche per i soggetti deputati alla vigilanza (il Corpo Forestale dello Stato, le Polizie Municipali e Provinciali, la Polizia di Stato, i Carabinieri, la Guardia di Finanza), che devono essere adeguatamente preparati affinchè si possa giungere all’immediata eliminazione del pericolo ed eventualmente alla punizione dei colpevoli.
La difficoltà di cogliere in flagrante l’autore dell’avvelenamento è un dato di fatto ed è per questo che risultano importanti le statistiche, i censimenti e le mappature di cui si è parlato, perché nelle zone più colpite occorre evidentemente intensificare la sorveglianza.
Ma poi occorre professionalità, lo si ribadisce, e non solo da parte delle forze dell’ordine, ma anche da parte della magistratura inquirente. La L. 189/04 prevede, ad esempio, che i pubblici ministeri possano delegare dei compiti in ordine alla tutela degli animali d’affezione anche alle guardie zoofile, cosa che però avviene raramente.
E, dunque, quando l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale avverte la magistratura a seguito di un caso di avvelenamento accertato, occorre disporre immediatamente delle perizie, eventualmente anche a mezzo di incidenti probatori, affinchè gli esami effettuati abbiano valenza probatoria, e consentano di punire il colpevole, se questo è stato individuato.
Per questo dovrebbero essere organizzati corsi di formazione ed aggiornamento per i soggetti coinvolti nel procedimento, affinchè si prenda conoscenza dell’importanza dell’applicazione delle normative sopra citate, che spesso vengono considerate di scarsissima importanza.
Solo attraverso l’informazione capillare è possibile la creazione di un sistema di prevenzione e controllo, che è indispensabile ai fini della repressione dei reati e della punizione dei colpevoli di tali crimini.

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