Ogni
anno muoiono migliaia di animali, selvatici e domestici, a causa di avvelenamento.
Secondo i dati riportati nel corso di un convegno dal titolo “Il Medico
Veterinario nella gestione degli avvelenamenti”, tenutosi a Montesilvano (PE)
il 24 settembre 2011, il fenomeno degli avvelenamenti, che coinvolge quasi
tutte le regioni italiane, ha causato, tra il 2005 ed il 2009, il
decesso di oltre 4.500 animali. Nel solo periodo da gennaio e maggio 2012 si
sono contati 282 decessi di animali (soprattutto cani, gatti e animali selvatici)
per sospetto avvelenamento e, sulla base di tali dati, forniti dalle maggiori
associazioni animaliste, l’eurodeputato Andrea Zanoni ha inoltrato alla
Commissione Europea, in data 13 giugno 2012, un’interrogazione per chiedere l’interessamento
delle istituzioni a questa problematica, proponendo anche una banca dati
europea per valutare l’impatto dell’uso dei bocconi avvelenati in tutti i Paesi
membri dell’Unione, alla luce del divieto di esche avvelenate introdotto dalle
direttive comunitarie “Habitat” n. 92/43/CEE e “Uccelli” n. 2009/147/CE. In
effetti il fenomeno dell’avvelenamento degli animali ha portata europea, come è
stato evidenziato nello studio internazionale del 2009 “Animal poisoning Europe”
condotto in cinque Paesi membri (Italia, Belgio, Francia, Grecia e Spagna).
Il
presente paragrafo è finalizzato ad esaminare gli aspetti giuridici di tale fenomeno,
sotto il profilo dell’ordinamento italiano.
In
rilievo vengono, innanzitutto, gli articoli 544-bis e 544-ter del Codice
Penale, introdotti dalla L. 189/04, che puniscono, rispettivamente, l’uccisione
ed il maltrattamento di animali. L’art. 544-bis recita: “Chiunque, per crudeltà
o senza necessità, cagiona la morte di un animale è punito con la reclusione da
quattro mesi a due anni”, mentre l’art. 544-ter, in tema di maltrattamento,
prevede
che “chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un
animale ovvero lo sottopone a sevizie” è punito con la reclusione da tre mesi a
diciotto mesi o con la multa da 5.000 a 30.000 euro. La stessa pena si applica
a chiunque somministra agli animali sostanze stupefacenti o vietate ovvero li
sottopone a trattamenti che procurano un danno alla salute
degli
stessi (come avviene per gli avvelenamenti non letali). L’ultimo comma di tale
articolo prevede che la pena sia aumentata della metà se dai predetti fatti deriva
la morte dell’animale.
L’introduzione
dei predetti articoli (544-bis e 544-ter) nel Codice Penale è stata salutata, e
non a torto, come una svolta rispetto al previgente impianto normativo, che
faceva rientrare qualsiasi condotta in danno degli animali nell’ipotesi contravvenzionale
di cui all’art. 727 c.p., il quale puniva tali condotte con una modesta
ammenda, dando all’imputato la facoltà di scegliere se accedere all’oblazione o
addirittura tentare di arrivare alla prescrizione del procedimento, molto breve
e dunque facilmente raggiungibile. I casi di condanna, pertanto, sono stati
davvero pochi, e quasi sempre determinati - per quanto riguarda gli
avvelenamenti - dalla mancata opposizione al decreto
penale
di condanna. Quest’ultimo strumento giuridico, pur avendo garantito una
punizione dei colpevoli, non ha mai avuto una funzione realmente repressiva delle
predette condotte, a causa della modestissima entità delle pene pecuniarie
comminate.
Sempre
nel Codice Penale vi sono altri articoli che vengono in rilievo ai fini della
nostra disamina, quali l’art. 638 e 674.
L’art.
638, sotto la rubrica “Uccisione o danneggiamento di animali altrui”, sancisce
che chiunque, senza necessità, uccide o rende inservibili o comunque deteriora
animali che appartengono ad altri (ed è questo l’elemento caratterizzante di
tale previsione normativa), è punito, salvo che il fatto costituisca più grave
reato, ed a querela della persona offesa, con la reclusione fino a un
anno
o con la multa fino a euro 309. La pena è della reclusione da sei mesi a quattro
anni, e si procede d’ufficio, se il fatto è commesso su tre o più capi di bestiame
raccolti in gregge o in mandria, ovvero su animali bovini o equini, anche non
raccolti in mandria.
L’art.
674, invece, sotto la rubrica “Getto pericoloso di cose”, stabilisce che chiunque
getta o versa, in un luogo di pubblico transito o in un luogo privato ma di
comune o di altrui uso, cose atte a offendere o imbrattare o molestare persone,
ovvero, nei casi non consentiti dalla legge, provoca emissioni di gas, di
vapori o di fumo, atti a cagionare tali effetti, è punito con l’arresto fino a
un
mese
o con l’ammenda fino a euro 206. Ed invero, lasciare esche o bocconi avvelenati
costituisce un pericolo non solo per gli animali, ma anche, per esempio, per i
bambini che possono mettersi le mani in bocca dopo aver toccato tali prodotti.
E
ciò a sottacere il fatto che le esche avvelenate sono pericolose anche per l’ambiente,
visto che le sostanze velenose, come ad esempio la metaldeide e soprattutto la
stricnina, sostanza che agisce con velocità fulminea e di cui è vietato il
commercio, rimangono a lungo nei tessuti delle vittime, potendo determinare
anche l’inquinamento del suolo e delle falde acquifere.
Per
questo, oltre alle specifiche disposizioni del Testo Unico Ambientale, che non
è possibile approfondire in questa sede, può venire in rilievo anche l’art. 440
del Codice Penale, il quale punisce con la reclusione da tre a dieci anni “chiunque
corrompe o adultera acque o sostanze destinate all’alimentazione, prima che
siano attinte o distribuite per il consumo, rendendole pericolose alla salute
pubblica”.
Per
tornare allo specifico argomento dell’avvelenamento di animali, vi sono ulteriori
norme, non codicistiche, dettate dalla Legge 157/92 (“Norme per la protezione
della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio”, in gergo
conosciuta come “Legge sulla caccia”), la quale, all’articolo 21, lettera u),
stabilisce che è vietato a chiunque “usare esche o bocconi avvelenati,
vischio
o altre sostanze adesive, trappole, reti, tagliole, lacci, archetti o congegni
similari”, e dal Testo Unico delle Leggi Sanitarie (Regio Decreto 27 luglio
1934, n. 1265), che all’art. 146 proibisce e punisce la distribuzione di sostanze
velenose.
Sull’argomento
è intervenuto più volte il Ministero della Salute mediante l’emanazione di
ordinanze contingibili e urgenti concernenti norme sul divieto di utilizzo e di
detenzione di esche o bocconi avvelenati (cap. 5.2.1). I percorsi formativi
sono essenziali al fine di combattere il fenomeno degli avvelenamenti, e ciò
vale anche per i soggetti deputati alla vigilanza (il Corpo Forestale dello
Stato, le Polizie Municipali e Provinciali, la Polizia di Stato, i Carabinieri,
la Guardia di Finanza), che devono essere adeguatamente preparati affinchè si
possa giungere all’immediata eliminazione del pericolo ed eventualmente alla
punizione dei colpevoli.
La
difficoltà di cogliere in flagrante l’autore dell’avvelenamento è un dato di fatto
ed è per questo che risultano importanti le statistiche, i censimenti e le mappature
di cui si è parlato, perché nelle zone più colpite occorre evidentemente intensificare
la sorveglianza.
Ma
poi occorre professionalità, lo si ribadisce, e non solo da parte delle forze dell’ordine,
ma anche da parte della magistratura inquirente. La L. 189/04 prevede, ad
esempio, che i pubblici ministeri possano delegare dei compiti in ordine alla
tutela degli animali d’affezione anche alle guardie zoofile, cosa che però
avviene raramente.
E,
dunque, quando l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale avverte la magistratura a
seguito di un caso di avvelenamento accertato, occorre disporre immediatamente delle
perizie, eventualmente anche a mezzo di incidenti probatori, affinchè gli esami
effettuati abbiano valenza probatoria, e consentano di punire il colpevole, se
questo è stato individuato.
Per
questo dovrebbero essere organizzati corsi di formazione ed aggiornamento per i
soggetti coinvolti nel procedimento, affinchè si prenda conoscenza dell’importanza
dell’applicazione delle normative sopra citate, che spesso vengono considerate
di scarsissima importanza.
Solo
attraverso l’informazione capillare è possibile la creazione di un sistema di
prevenzione e controllo, che è indispensabile ai fini della repressione dei reati
e della punizione dei colpevoli di tali crimini.
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