Gli argomenti che sono stati esposti sono interessantissimi e costituiscono la base scientifica sulla quale basiamo il nostro lavoro di denuncia e di azione in sede processuale per reprimere i maltrattamenti e le condotte che non sono rispettose del benessere animale.
Faccio una
piccola digressione, comunque pertinente al tema della tutela del benessere
animale, allargando un momento lo sguardo oltre al confine della categoria
degli animali familiari.
Purtroppo,
sono centinaia di milioni gli animali che ogni anno vivono la loro breve
esistenza all’interno di piccole gabbie nelle quali hanno minime possibilità di
movimento prima di essere utilizzati per fini alimentari. Anche nel settore
degli allevamenti abbiamo norme che sono finalizzate a tutelare il benessere
degli animali e in questo caso appare davvero beffardo accostare il
termine benessere a quelle che sono le condizioni minime di rispetto di questi
animali, che in realtà vivono in una condizione di vero e proprio
maltrattamento, che però è consentito dalla legge.
L’art. 19-ter delle disposizioni di coordinamento del
codice penale introdotto dalla L. 189/04 afferma che le disposizioni che sono
state introdotte sui reati di uccisione e maltrattamento e detenzione di
animali con modalità incompatibili con la loro natura e produttive di gravi
sofferenze non si applicano in tutta una serie di casi previsti dalle leggi
speciali in materia di caccia, di
pesca, di allevamento, di trasporto, di macellazione degli animali, di
sperimentazione scientifica sugli
stessi, di attività circense, di giardini zoologici, nonchè dalle altre
leggi speciali in materia di animali.
Basta che
vengano rispettare le norme che impongono delle prescrizioni sulla temperatura
degli ambienti e cose di questo tipo che la condizione di vita di questi
animali viene tollerata dal nostro ordinamento.
La LNDC da tempo non si occupa solo di animali familiari, ma anche di selvatici (in particolare lupi e orsi) e animali allevati a fa parte della coalizione italiana che ha presentato l’ICE (iniziativa dei cittadini europei) denominata End The Cage Age (Fine dell’era delle gabbie) per eliminare l’uso delle gabbie negli allevamenti intensivi.
In Italia le
scrofe allevate ogni anno sono circa mezzo milione. La quasi totalità di
questi animali passa metà la propria vita in gabbie, prima “di gestazione”,
durante le prime 4 settimane dalla inseminazione, e poi “di allattamento”,
dall’ultima settimana prima del parto fino a tutto l’allattamento.
La gabbia
impatta gravemente sulla libertà di movimento delle scrofe, che riescono
soltanto ad alzarsi e sdraiarsi, e le priva della possibilità di esprimere i
loro comportamenti naturali, come quello fare il nido per prepararsi al
parto e di accudire i propri piccoli.
Stesso discorso vale per le galline. Poi ci sono i vitelli, il cui isolamento in box
individuali impedisce il gioco, che è importante per il loro sviluppo sociale e
mentale.
Sono state
documentate anche le condizioni dei conigli allevati in Italia per la
produzione di carne. Abbiamo visto questi animali, che in libertà sarebbero
capaci di compiere salti di oltre quattro metri di lunghezza, ammassati
e feriti alla testa e alle zampe per il continuo contatto con le reti
metalliche, in gabbie spoglie, priva di qualsivoglia arricchimento ambientale.
Abbiamo visto stereotipie causate dal sovraffollamento e fattrici in evidente
stato di stress che grattano la porta chiusa del nido perché non possono
scegliere liberamente quando interagire con i propri cuccioli, è l’operatore
che apre e chiude il nido.
In pratica,
una gabbia standard fornisce solo l’1% dello spazio necessario a un
gruppo di conigli che, in condizioni naturali, coprirebbe una superficie di
almeno 50 m2
In Italia
sono allevate circa un milione di coniglie fattrici all’anno in circa
8.000 allevamenti, di cui 1.500 "professionali".
Se alziamo
lo sguardo all’intera Europa, ci accorgiamo che pariamo di centinaia di milioni
di animali allevati a fini alimentari nell’Unione europea che sono costretti a
passare tutta la vita, o una parte significativa di essa, imprigionati in
gabbie, a malapena in grado di muoversi e senza poter esprimere molti dei loro
comportamenti naturali.
La Commissione Europea, dopo il milione e mezzo di firme raccolte, si è impegnata ad adottare entro il 2027 una legislazione che preveda la graduale eliminazione dell’uso delle gabbie.
Per rafforzare questo percorso, insieme alle altre associazioni abbiamo lanciato una nuova iniziativa: una diretta di 24 ore che riprende la vita di alcuni animali in gabbia, per dare un minimo di idea di che cosa significhi vivere tutta la vita in questo modo. Ne sto parlando adesso perché questo evento inizia proprio adesso, alle 22, e terminerà domani 11/3 sempre alle 22. Lo schermo è diviso in 4 riquadri con le 4 specie riprese in gabbia (scrofe, conigli, vitelli e galline). Nella giornata di domani, durante questa diretta, ci saranno molti interventi che spiegano lo stato dell’arte di questa battaglia epocale verso la fine degli allevamenti in gabbia.
Riprendendo l’argomento che mi è stato assegnato, e che riguarda la tutela del benessere animale in sede giudiziaria, gli articoli che vengono in rilievo sono due, entrambi introdotti con la L. 189/04, e sono l’art. 544 ter ed il secondo comma dell’art. 727 c.p., nel nuovo testo introdotto dalla riforma.
L’art. 544
ter del c.p. prevede che chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione
ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a
lavori insopportabili per le sue
caratteristiche etologiche è punito con la reclusione da tre a diciotto
mesi o con la multa da 5.000 a 30.000 euro.
La stessa
pena si applica a chiunque somministra agli animali sostanze stupefacenti o
vietate ovvero li sottopone a trattamenti che procurano un danno alla salute
degli stessi.
La pena è aumentata della metà se dai fatti di
cui al primo comma deriva la morte dell'animale.
Ci sono luci ed ombre su questo articolo, che ha sicuramente dato un grande impulso ai procedimenti per i maltrattamenti ma ha anche molti limiti: prevede che ci sia un dolo specifico, cioè si viene puniti solo se si è agito per crudeltà e senza necessità. Non basta aver maltrattato, bisogno averlo fatto volendo incrudelire inutilmente sull’animale. Inoltre si richiede la produzione di lesioni, ovvero la sottoposizione a fatiche o lavori insopportabili per le caratteristiche etologiche dell’animale. E’ un elemento importante il riferimento alle scienze etologiche, ma i magistrati in questi casi puntano la loro attenzione sulla produzione di “lesioni”, cioè di segni visibili della sofferenza dell’animale.
Qui entrano
in gioco le perizie che portiamo nei tribunali, finalizzate ad evidenziare
che il maltrattamento non è solo quello fisico, ma anche etologico.
In molti
casi ci siamo occupati di animali maltrattati, perché picchiati ripetutamente
anche davanti agli occhi di vicini di casa denuncianti, e ci siamo dovuti
opporre a richieste di archiviazione con le quali i PM chiedevano di chiudere
il caso perché non vi era prova di lesioni. In alcuni casi riusciamo ad
ottenere delle imputazioni coattive, in altri casi non riusciamo a spuntarla.
E’ successo recentemente per il caso del bassotto di Napoli,
ripetutamente percosso da un’anziana proprietaria che ha avuto decine di
segnalazioni e denunce da parte delle vicine di casa. Il GIP ha disposto
l’archiviazione, nonostante la nostra opposizione, perché non vi erano segni
di lesioni, come certificato dai veterinari della ASL.
L’art.
727 c.p. prevede che si viene puniti con l’arresto fino ad un anno o con
l’ammenda fino a € 10.000 se si detiene animali in condizioni incompatibili
con la loro natura, e produttive di gravi sofferenze. Anche in questo caso, la
verifica circa lo stato di sofferenza degli animali deve essere effettuato da
persone con specifiche competenze.
A Busto
Arsizio, nei giorni
scorsi, un PM non ha convalidato un sequestro di animali tenuti nel fango in condizioni
che sono state documentate da foto e video, sempre sul presupposto che non
fossero state riscontrate né lesioni, né lo stato di grave sofferenza degli
animali.
Si è
verificato in quel caso un contrasto tra le valutazioni di un veterinario
libero professionista che era stato nominato come ausiliario dalle guardie
zoofile e il veterinario della ASL, che non aveva ravvisato questo stato di
sofferenza.
Qui si apre
un grande tema, che è per l’appunto quello delle competenze che si devono
mettere in campo. Il procuratore della repubblica di Ancone dott. Gubinelli,
che sta seguendo il caso dell’allevamento di Trecastelli, dove sono stati
sequestrati più di ottocento cani in una struttura autorizzata a tenerne 60, ha
redatto delle linee guida in materia di tecniche investigative sui reati in
danno degli animali, e ha chiaramente affermato che a volte l’intervento dei
veterinari della ASL è persino controproducente (sono sue parole), perché
basato su valutazioni meramente apparenti, mentre lo stato di sofferenza degli
animali comporta delle valutazioni specifiche.
Da tempo
stiamo chiedendo una riforma che, oltre ad inasprire le pene, che allo stato
non hanno valenza deterrente, siano finalizzate anche ad istituire corsi
specifici che devono essere svolti dalle persone chiamate ad intervenire negli
accertamenti che riguardano la verifica di condizioni di benessere degli
animali.
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