domenica 27 dicembre 2015

Future Fest a Pescara - Raccontare il futuro. Il futuro della fantascienza o il futuro nella fantascienza?

La fantascienza, come noto, ha come tema fondamentale l'impatto di una scienza o una tecnologia – reale o immaginaria – sulla società e sull'individuo.
La prima fantascienza aveva una forte base avventurosa ed era caratterizzata dalla "meraviglia" per i progressi della scienza (si pensi ai romanzi di Jules Verne), ma dagli anni quaranta cominciò a occuparsi più delle ripercussioni del progresso scientifico che non delle ipotetiche conquiste della scienza in sé stesse (è l’epoca della “Golden Age” della fantascienza, l’epoca di Isaac Asimove e Ray Bradbury).
Dopo la fine della seconda guerra mondiale e lo scoppio della bomba atomica l’approccio alla fantascienza divenne più angosciato (iniziano a uscire i romanzi di Philip K. Dick), e nel Regno Unito è il momento della New Wave e della fantascienza sociologica (si pensi ai romanzi di James G. Ballard), e poi del cyberpunk (si pensi al “Neuromante” di Gibson).
Da contraltare a questa fantascienza c’è la science fantasy di Guerre stellari di George Lucas che riporta in auge i temi della space opera degli anni quaranta.
Ma penso che scrivere di fantascienza non ha senso se non per portare nella letteratura temi di forte impatto sociale, che nella nostra epoca sono soprattutto, a mio giudizio, quelli legati alle tematiche ambientali. Uno dei primi ad aver affrontato questo tipo di temi è stato Frank Herbert nel ciclo di Dune (che ha molto influenzato lo stesso Lucas, per stessa ammissione di quest’ultimo), in cui viene immaginato un complesso sistema ecologico del pianeta Dune (chiamato Arrakis dai Fremen, la sua popolazione autoctona), divenuto un mondo desertico, quasi completamente privo di acqua (bene preziosissimo), e dunque con scenari che anticipano temi che oggi sono di grande attualità. Temi ambientali sono trattati anche da Francesco Verso nel suo romanzo “Livido”, in cui l'azione si svolge nei sobborghi di una città imprecisata, circondata dalla “palta”, cioè da cumuli di immondizia che invadono la periferia della megalopoli, e che ricordano il “kipple” di Philip Dick.

La fantascienza si intreccia anche con temi animalisti, e la cosa mi intriga molto. La fantascienza, soprattutto quella cinematografica, narra spesso come l’uomo possa resistere, quasi sempre vittoriosamente, alle minacce che vengono dall'animalità o dalla macchinalità (entità che spesso vengono proiettate sulle figure dell’alieno, ossia ciò che è “altro” rispetto all’umano). Ma la fantascienza ci racconta anche come l’uomo sia strutturalmente affine all’animale (si pensi alle influenze dell’evoluzionismo darwiniano) o alla macchina (si pensi agli studi di Turing che portano all’elaborazione dell’intelligenza artificiale “forte”).
Vi è dunque un nesso inestricabile (anzi, un’ibridazione) tra umanità, animalità e macchinalità, e l’apertura della fantascienza all’animalità e alla macchinalità ci spinge a criticare i presupposti cartesiani della nostra cultura, secondo cui la “res cogitans”, cioè l’intelligenza umana, è marcatamente distinta da tutto il resto (“res extensa”). Senza contaminazione con l’alterità non ci sarebbe alcuna evoluzione. L’errore dell’umanesimo è stato proprio quello di aver considerato l’alterità con disprezzo. L’evoluzione è un processo di interazione e ibridativo con il non umano.
Un esempio di questo filone letterario può essere considerato “Cuore di cane” di Michail  Bulgakov, che narra la storia della trasformazione chirurgica di un cane in un uomo. Si tratta di una satira sul nuovo regime sovietico, che cercava di forgiare la società ex novo, ma anche di un romanzo fantascientifico sui limiti delle scienze mediche (si pensi agli xenotrapianti).
Perché la fantascienza deve essere in grado di predire e ammonire, deve essere letteratura speculativa e sociale, non semplice ricerca della predizione azzeccata e della meraviglia.





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