Sono particolarmente felice di
poter presentare qui a Pescara Leonardo Caffo, che non solo è il più
promettente filosofo che abbiamo nel panorama nazionale e internazionale, ma è
anche un instancabile attivista nei movimenti per i diritti degli animali, e
ideatore di un nuovo approccio a queste tematiche, riassunto nel libro che oggi
presentiamo dall’emblematico titolo: “Il
maiale non fa la rivoluzione – manifesto per un antispecismo debole”.
Il taglio di questa conversazione
con Leonardo sarà, giocoforza, un po’ filosofico, ma cercheremo tutti noi di
comprendere meglio il significato di quest’espressione, “antispecismo debole”, che condensa il pensiero innovativo di
Leonardo Caffo sulla cosiddetta “questione animale”.
Mi prendo il compito di fare,
indegnamente, una piccolo excursus
sul ragionamento che è stato portato avanti, in questi decenni, da alcuni
pensatori, per arrivare, poi, a parlare, con Leonardo, del suo “antispecismo
debole”.
I nomi, che chi si occupa di tali
questioni ha sempre sentito citare, sono quelli di Peter Singer e Tom Regan. Il
primo è un filosofo australiano, autore del celebre testo “Liberazione
animale”, che fa leva sulla capacità degli animali di soffrire per farne
discendere il nostro dovere di sottrarli da ogni forma di inflizione del
dolore. Il secondo è un filosofo statunitense, che ha concentrato la sua
attenzione sul fatto che ogni animale non solo può provare dolore, ma è
“soggetto di una vita”, la quale ha valore di per sé, e su questo approccio di
tipo giusnaturalista ha fondato la sua etica di rispetto per tutti gli animali
in quanto esseri senzienti.
Leonardo Caffo,
sorprendentemente, considera che anche questo atteggiamento morale sia
tacciabile di “specismo” (termine con cui si indica la discriminazione che si
opera nei confronti di appartenenti a specie diverse, così come il razzismo è
la discriminazione nei confronti di chi appartiene ad una altra razza). Ed
infatti – osserva il filosofo - finiamo
per voler salvare gli animali non umani solo perché simili a noi, in quanto
capaci di soffrire o perché li avvertiamo, come noi, “soggetti di una vita”.
Ma Caffo distingue tra uno
specismo naturale, del tutto giustificabile in quanto si tratta di una normale
propensione che ognuno ha nei confronti dei membri della propria specie, da uno
innaturale, che è un vero meccanismo di oppressione, di cui può essere un
esempio un allevamento intensivo.
In opposizione ad ogni tipo di
specismo, l’antispecismo “debole” che propone Caffo postula un atteggiamento di
totale altruismo, che comporta addirittura la rinuncia ad una parte della
natura umana. Se è davvero “oltre la specie” – afferma il filosofo - l’antispecismo deve accettare solo argomenti
diretti a salvare gli animali, anche se potrebbero portare problemi alla
società umana. Dice Caffo, testualmente, che la lotta non deve essere “per l’uomo o anche per l’uomo”, ma “solo e soltanto per gli animali non umani”,
in quanto “il volto di un maiale lacrimante prima della gogna, vale – da solo –
più di tutti i sogni dell’umanità che conquista (distruggendoli) mari, monti e
pianeti”.
Si tratta, dunque, di un
approccio che prescinde dai benefici che l’uomo può ricavare dall’attivismo
antispecista. Anzi, secondo Caffo, l’antispecismo non può in alcun modo avere
alleati politici che facciano dell’umano l’unico obiettivo di salvezza, come
alcuni antispecismi “moderati” di tipo morale e politico.
Essendo un amante della
decostruzione tipica della filosofia postumanista, mi sento di muovere
un’obiezione a Leonardo Caffo, in quanto la sua impostazione – a mio avviso –
non esce fuori dal perimetro dello specismo di cui taccia le posizioni di
Singer o Regan, per il semplice motivo che questo specismo, di tipo naturale
secondo la definizione dello stesso Caffo, è inevitabile. Siamo noi uomini a costruire
i concetti di cui stiamo parlando, e vorrei sapere, a questo punto, chi ci dà
il diritto di fare una rivoluzione al posto del maiale.
Caffo, però, compie un ulteriore
balzo in avanti, rispetto alle posizioni di Singer e Regan, sempre – a mio
avviso - in direzione specista (stando al suo schema): io tutelo l’animale non
perché lo ritengo capace di soffrire come me (posizione di Peter Singer); non
perché lo ritengo soggetto di una vita degna di essere vissuta, come la mia stessa
vita (posizione di Tom Regan); ma perché mi metto al suo posto, e guardo il
mondo con i suoi occhi, fino ad annullare persino me stesso.
In questo modo, però, compio
un’attività propria della mia specie umana al suo massimo stadio di evoluzione
culturale. Infatti, così agendo, non faccio altro che cercare di applicare, al
livello più estremo possibile, il principio di non violenza, che è anch’esso di
tipo etico e persino religioso, e che appartiene alla natura morale (o spirituale)
della specie umana.
La differenza tra uomo e animale
secondo la filosofia classica ha la sua struttura – come ricorda lo stesso
Caffo nel suo libro - nell’opposizione
natura/cultura: il farsi dell’uomo è negazione dell’animale (“fatti non foste a viver come bruti ma per
seguir virtute e canoscenza”).
Il tendere verso comportamenti
etici (preferendo persino, come concetto limite, la morte nostra rispetto a
quella altrui) significa rispondere ad una inclinazione umana che ci allontana
dalle leggi di natura (quella materiale) per spingerci verso il rispetto di
leggi positive, morali o spirituali che sono il prodotto della nostra
evoluzione culturale (l’evoluzionismo è anche questo, e non è fuori dalla
natura, in quanto quest’ultima – ad avviso mio, che sono spinoziano - comprende
tutto).
Io penso che allora il giusto
approccio all’antispecismo, che voglia spingersi oltre gli schemi di Singer e
Regan, debba prendere le mosse dalla valorizzazione del nostro essere, innanzi
tutto, appartenenti al regno animale. Il ribaltamento della prospettiva è dato
dal fatto che io non ho più bisogno di argomentare che il maiale ha la mia
stessa capacità di soffrire, né che ha una vita che come la mia è degna di essere
vissuta, perché parto già dal presupposto che apparteniamo allo stesso regno
animale. Ovviamente sono in grado di sviluppare questo discorso perché, a
differenza del maiale, posso strutturare un ragionamento razionale, che non
pretendo di fare al posto suo. Questa è una prerogativa dell’uomo che, seguendo
una sua inclinazione a perseguire idee di bene e giustizia, si dota di leggi
positive per evitare che quelle di natura determinino la sopraffazione del più
forte ai danni del più debole.
Applicando questo schema, ritengo
possibile – seppur con qualche forzatura – parificare le leggi che tutelano gli
animali a quelle che, nel diritto romano, costituivano lo ius gentium, cioè l'insieme di regole che aveva la sua fonte nella naturalis ratio e che veniva osservato
in eguale misura tra tutti i popoli, e che si contrapponeva concettualmente
allo ius civile, quale diritto
proprio di ciascuna civitas. Allo
stesso modo, potrebbe contrapporsi un “diritto animale”, che riguarda tutti gli
animali, noi compresi, a quello “umano”, proprio della nostra specie, che è
composto dalle norme, in materia civile, penale, amministrativa, che già
abbiamo.
Stabiliamo, dunque, che nell’ambito
del “diritto animale” vi sia il principio che ogni vita va tutelata. Tale norma
riguarderebbe anche noi, come gli altri animali. Ma non applicherei questo
principio agli altri animali perché “loro sono come me”, ma perché loro appartengono,
come me, al regno animale. Ovviamente, come in tutte le leggi positive, si
dovrà trovare un bilanciamento tra opposte esigenze, che possono comportare la
compressione di un diritto, a seconda della sensibilità sociale in un dato
periodo storico, ma non devo dimenticare, nel legiferare, di appartenere al
regno animale, che devo tutelare massimamente.
Caffo nel suo libro ritiene che
sia una incongruenza il fatto che il nostro codice penale punisca l’uccisione
di animali senza giustificato motivo e allo stesso tempo consenta l’uccisione
degli animali nei mattatoi. Sarà la crescente sensibilità umana su questi temi
a ridurre sempre più i margini della possibilità di uccidere lecitamente degli
esseri viventi per i più svariati scopi, e a tendere sempre più verso i
comportamenti non violenti, che in ultima analisi sono quelli che Leonardo
Caffo intende promuovere con questa bella pubblicazione, che invito tutti a
leggere.
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