Vorrei innanzi tutto
ringraziare gli organizzatori di questo convegno, ed in particolare
l’assessore Di Nicola e la responsabile
della locale sezione della LAV, Antonella Agostini, per l’invito caloroso che
mi hanno rivolto, e questo è un ringraziamento di cuore, e non di rito. Allo
stesso modo ringrazio Carla e Ciro Troiano per la loro grande disponibilità,
perché, per consentirmi di partecipare, hanno modificato la data
originariamente prevista per l’incontro.
In questo modo, queste persone
mi hanno consentito di realizzare uno dei sogni della mia vita: stare insieme
all’avv. Vincenzo Di
Girolamo al tavolo dei relatori in un convegno in cui si
parla di diritti degli animali. Dovete sapere che da tanti anni, ormai un
decennio intero, io sono affettuosamente bersagliato dal mio amico Vincenzo per
il mio smodato interesse verso le tematiche che riguardano i diritti degli
animali, e per me non sapete che soddisfazione è tenerlo qui accanto questa
sera.
In realtà molta acqua è passata
da quando questi argomenti erano considerati completamente marginali, ed anche
il fatto che siamo qui a parlare di zoomafia, o che a Grosseto il nostro amico
veterinario Rosario Fico
abbia istituito presso la ASL il primo dipartimento di medicina veterinaria
forense, una specie di RIS per i crimini contro gli animali, la dice lunga su
quanta strada sia stata fatta dalle prime sentenze che, quando era ancora
vigente la vecchia ipotesi contravvenzionale del 727 del codice penale,
riconoscevano negli animali la qualità di “esseri senzienti”, cioè capaci di
provare gioia e dolore, e pertanto meritevoli di tutela da parte del nostro
ordinamento, concetti ormai scontati.
Le istanze degli ambientalisti
e degli animalisti hanno dunque trovato sempre maggiore accoglimento non solo
nell’opinione pubblica, ma anche, conseguentemente, nella giurisprudenza e
nelle leggi degli ordinamenti più evoluti. Non escludo che un giorno i diritti
degli animali possano divenire oggetto di un’autonoma materia di insegnamento
universitario, come già accade in molte università americane, compresa la famosa Harvard ,
dove si insegna Animal law (la cultura anglosassone, forse per la sua
pragmaticità, è sempre stata all’avanguardia sui temi dei diritti animali. La
prima legge sull’argomento è inglese, del 1822, e sempre in Inghilterra è stato
emanato nel 1911 il Protection of Animal Act). Infatti i problemi che si
vengono a creare nel rapporto tra uomo e animali sono sempre più complessi, e
coinvolgono tutti i settori del diritto, sia quello amministrativo (si pensi al
regolamento di polizia veterinaria, all’anagrafe canina, alla gestione dei
canili ecc.), sia quello civile (responsabilità per danni cagionati dagli
animali e agli animali, problemi condominiali),e sia, per l’appunto, quello penale, come
risulta dal rapporto zoomafia di Ciro Troiano, e qui arriviamo al tema che mi è
stato assegnato, e su cui torno tra un attimo, solo per concludere il ragionamento
che sto facendo.
Forse il paragone apparirà
ardito agli esperti di diritto, ma in fondo si sta verificando la stessa
situazione che negli anni quaranta del secolo scorso ha portato un nostro
insigne giurista, Antonio Scialoja, ad avvertire l’esigenza, di fronte
all’intensificarsi dei traffici commerciali, aerei e marittimi, di riunire
degli istituti giuridici frammentati in diversi settori del diritto in un'unica
nuova branca, che ha preso il nome di diritto della navigazione, fino ad allora
inesistente. Allo stesso modo ci potrà essere un diritto dei rapporti con gli
altri animali, e in una cornice di questo tipo lo stesso rapporto zoomafia
acquisirebbe una dignità che merita di avere e che non ancora ha pienamente.
La zoo mafia, a ben vedere, è una sottocategoria
di una altro fenomeno affine e purtroppo molto sviluppato, cioè l'ecomafia,
termine coniato per la prima volta nel 1994 da Legambiente per indicare le
attività criminali che colpiscono il settore dell'ambiente, come il controllo
della lavorazione dei rifiuti, e che è caratterizzato specificamente dall'uso
di animali per attività economico-criminali, come per le corse clandestine dei
cavalli, i combattimenti e il giro di denaro relativo alle scommesse, la
macellazione clandestina.
I reati zoomafiosi hanno caratteristiche
specifiche, dati dalla serialità, la ferocia, il collegamento col territorio e
le associazioni animaliste hanno lottato molto, anche per questo motivo, per
avere una normativa adeguata a fronteggiare un simile fenomeno, stante
l'inadeguatezza della previsione di cui all'art. 727 c.p.
Il reato di maltrattamenti era
previsto anche nel nostro codice Zanardelli del 1889 (art. 491). Poi, dopo una
lunga vigenza dell’ipotesi contravvenzionale di cui all’art. 727 del codice
Rocco, siamo arrivati finalmente alla riforma, a lungo attesa, arrivata con la
L. 189/04, che ha introdotto nel nostro codice quattro reati sotto il titolo
“dei delitti contro il sentimento di pietà verso gli animali”. Dunque delitti,
non più contravvenzioni, puniti con pena detentiva, recentemente anche
aumentata, anche se, non essendo riconosciuta una soggettività giuridica agli
animali, né avendo questi una tutela di rango costituzionale: non si protegge
la vita dell’animale, si protegge il nostro sentimento di pietà di fronte alle
loro sofferenze.
Tuttavia possiamo ritenere che i predetti reati siano plurioffensivi, perché
ledono sia il nostro sentimento di pietà, sia gli animali stessi. Infatti queste norme scattano, al
di fuori dei casi di non punibilità per tutta una serie di condotte ritenute
lecite (caccia, circhi, sperimentazione scientifica, macellazione, ecc.), nei
confronti di tutti gli animali, anche quelli per cui si potrebbe ritenere che
non vi siano sentimenti di pietà, com’è avvenuto nel caso di ristoratori
condannati per aver mantenuto crostacei vivi sul ghiaccio o nel caso di soggetti che
maltrattano animali non d’affezione ma da reddito, come mucche e galline.
Dunque la nuova normativa protegge gli animali direttamente più di quanto non
sembrerebbe dalla lettura del titolo.
La prima di queste quattro nuove figure di reato (art. 544 bis) è
addirittura formulata in modo da ricalcare addirittura la
formulazione dell’art. 575 che punisce l’omicidio, tanto che alcuni
commentatori, all’indomani dell’emanazione di questa nuova norma, hanno
ribattezzato questa figura delittuosa, con un neologismo, “animalicidio”.
L’art. 544 bis recita testualmente: “Chiunque,
per crudeltà o senza necessità, cagiona la morte di un animale, è punito con la
reclusione da quattro mesi a due anni”. Si tratta di una norma che colma un
vuoto che esisteva nel nostro ordinamento, che puniva solo il maltrattamento e
prevedeva un aggravamento, sempre sanzionato con un’ammenda anche se un po’ più
elevata, se a seguito di gravi sofferenze l’animale moriva.
L’uso del verbo “cagionare”, come nel caso di omicidio,
rende il reato a forma libera, per cui questo può essere posto in essere sia con
condotta attiva che omissiva, purché dolosa, anche nella forma del dolo
eventuale, mentre non trova spazio nel nostro ordinamento la forma colposa.
E’ evidente che la soglia della
punibilità è molto arretrata, e una condotta che costituisce un illecito se
compiuta nei confronti di un essere umano, come l’uccisione colposa, non ancora
trova ingresso nel nostro ordinamento se riferita ad un animale. Stesso
discorso per l’omissione di soccorso a
seguito di un incidente stradale, che non trova lo stesso trattamento per
l’omesso soccorso ad un umano, ma già il fatto che ora vi sia una sanzione
amministrativa per l’omesso soccorso all’animale investito, e che sia stato
regolamentato il servizio di soccorso, con apposite ambulanze, dà contezza di
quanti progressi si stiano facendo.
Peraltro la Cassazione ha
stabilito che l'automobilista che, dopo aver accidentalmente investito un
animale domestico, ometta, senza giustificazione alcuna, di soccorrere la
bestiola impedendo altresì ad altre persone di prestare all'animale le dovute
cure, può essere chiamato a rispondere del reato di cui all'art. 544 bis c.p.
in caso di morte dell'animale investito. È, infatti, riconducibile alla
fattispecie criminosa "de qua" ogni condotta, non solo commissiva ma
anche omissiva, che, per crudeltà o senza necessità, cagioni la morte di un
animale (Cassazione penale, sez. III, 09/06/2011, n. 29543).
L’art. 544 ter afferma che “chiunque, per crudeltà o senza necessità,
cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a
comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche
ecologiche è punito con la reclusione da tre a diciotto mesi o con la multa da 5.000 a 30.000 euro. La
stessa pena si applica a chiunque somministra agli animali sostanze
stupefacenti o vietate ovvero li sottopone a trattamenti che procurano un danno
alla salute degli stessi.. La pena è aumentata della metà se dai fatti di cui
al primo comma deriva la morte dell'animale”.
La fattispecie di
maltrattamento di animali configura dunque un delitto a dolo specifico ove le
condotte lesive dell'integrità dell'animale siano tenute per crudeltà e a dolo
generico quando siano tenute senza necessità, come per l’animalicidio.
La Cassazione, con riferimento
a tale articolo, ha confermato la condanna per maltrattamento di animali nei
confronti del proprietario di tre cani legati con una catena troppo corta a
mezzi in disuso, senza protezione ed in ambiente contaminato dalla presenza di
rifiuti che provocano lesioni agli arti e su altre parti del corpo, non
trovando applicazione nella specie l'esimente dello stato di necessità ex art.
54 c.p., non integrando tale ipotesi la presenza di temporanee menomazioni,
tali da impedirgli con facilità i movimenti (Cassazione penale, sez. III,
09/06/2011, n. 26368).
L’art. 544 quater dice che, “salvo che il fatto costituisca più grave
reato, chiunque organizza o promuove spettacoli o manifestazioni che comportino
sevizie o strazio per gli animali è punito con la reclusione da quattro mesi a
due anni e con la multa da 3.000
a 15.000 euro.. La pena è aumentata da un terzo alla
metà se i fatti di cui al primo comma sono commessi in relazione all'esercizio
di scommesse clandestine o al fine di trarne profitto per sé od altri ovvero se
ne deriva la morte dell'animale”.
Anche in questo caso, il nuovo
delitto si configura come reato a dolo specifico, nel caso in cui la condotta
lesiva dell'integrità e della vita dell'animale - che può consistere sia in un
comportamento commissivo come omissivo - sia tenuta per crudeltà, e a dolo
generico quando essa è tenuta, come nel caso in esame, senza necessità.
La Corte di Cassazione ha
affermato che, in tema di maltrattamento di animali, la configurabilità del
reato previsto a carico di chi organizzi spettacoli o manifestazioni che
comportino strazio o sevizie per gli animali ovvero vi partecipi non è esclusa
dal fatto che trattasi di manifestazione folcloristica di carattere religioso,
risalente a tempo immemorabile. (Nella specie, in applicazione di tale
principio, la Corre ha ritenuto che correttamente fosse stata affermata la
penale responsabilità degli imputati in ordine al reato di cui all'art. 727
comma 4 c.p., nel testo allora vigente e poi in parte trasfuso nell'art. 544
quater comma 1 c.p., relativamente alla tradizionale corsa dei carri tenutasi
nel comune di Ururi, nella quale, secondo l'accusa, i buoi che trainavano i
carri venivano impiegati in modo incompatibile con la loro natura, in quanto
costretti e spronati ad una corsa sfrenata mediante l'utilizzo di pungoli e
bastoni acuminati). (Cassazione penale, sez. III, 22/06/2004, n. 37878)
L’art. 544 quinques c.p.
stabilisce che “Chiunque promuove, organizza
o dirige combattimenti o competizioni non autorizzate tra animali che possono
metterne in pericolo l'integrità fisica è punito con la reclusione da uno a tre
anni e con la multa da 50.000
a 160.000 euro.
La
pena è aumentata da un terzo alla metà:
1)
se le predette attività sono compiute in concorso con minorenni o da persone
armate;
2)
se le predette attività sono promosse utilizzando videoriproduzioni o materiale
di qualsiasi tipo contenente scene o immagini dei combattimenti o delle
competizioni;
3)
se il colpevole cura la ripresa o la registrazione in qualsiasi forma dei
combattimenti o delle competizioni.
Chiunque,
fuori dei casi di concorso nel reato, allevando o addestrando animali li
destina sotto qualsiasi forma e anche per il tramite di terzi alla loro
partecipazione ai combattimenti di cui al primo comma è punito con la
reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 5.000 a 30.000 euro. La
stessa pena si applica anche ai proprietari o ai detentori degli animali
impiegati nei combattimenti e nelle competizioni di cui al primo comma, se
consenzienti.
Chiunque,
anche se non presente sul luogo del reato, fuori dei casi di concorso nel
medesimo, organizza o effettua scommesse sui combattimenti e sulle competizioni
di cui al primo comma è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con
la multa da 5.000 a
30.000 euro”.
E’ opportuno prendere in
considerazione, ai fini della nostra disamina, i combattimenti tra cani, evidenziando innanzi tutto come la pericolosità o
aggressività di questi animali non dipenda dalla razza, come viene
ingiustamente ritenuto dall’opinione comune. Purtroppo i cani impiegati nei combattimenti,
tipico reato zoomagioso, sono addestrati e aizzati all’aggressività con metodi
assolutamente crudeli (digiuni, bastonate, elettroshock, doping).
L’art. 727, nella sua attuale
formulazione, stabilisce che chiunque abbandona animali domestici o che abbiano
acquisito abitudini della cattività è punito con l'arresto fino ad un anno o
con l'ammenda da 1.000 a
10.000 euro.
La giurisprudenza ha chiarito che il
proprietario che abbia affidato il cane ad un canile privato, che si sia
contrattualmente obbligato alla sua cura e custodia, risponde del reato
previsto dall'art. 727 cod. pen. nel caso di sospensione dei pagamenti o di
mancato ritiro dell'animale, qualora sia concretamente prevedibile (per
l'inaffidabilità o per la mancanza di professionalità della struttura
affidataria) che l'inadempimento possa determinare l'abbandono del cane da
parte del canile. (Cassazione penale, sez. III, 10/01/2012, n. 133)
La L. 189/04, all’art. 2, ha anche stabilito che è
vietato utilizzare cani (Canis lupus familiaris) e gatti (felis silvestris) per
la produzione o il confezionamento di pelli, pellicce, capi di abbigliamento e
articoli di pelletteria costituiti od ottenuti, in tutto o in parte, dalle
pelli o dalle pellicce dei medesimi, nonché commercializzare o introdurre le
stesse nel territorio nazionale (2).
La violazione delle disposizioni di cui al
comma 1 è punita con l'arresto da tre mesi ad un anno o con l'ammenda da 5.000 a 100.000 euro.
Inoltre “chiunque produce, commercializza, esporta o introduce nel territorio
nazionale qualunque prodotto derivato dalla foca, in violazione dell'articolo 3
del regolamento (CE) n. 1007/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del
16 settembre 2009, e' punito con l'arresto da tre mesi a un anno o con
l'ammenda da 5.000 a
100.000 euro”
La Legge 201/2010, che ha aggravato le
pene previste dalla L. 189/04, ha stabilito, in tema di traffico illecito di
animali da compagnia, che “chiunque, al
fine di procurare a sè o ad altri un profitto, reiteratamente o tramite attività organizzate, introduce nel
territorio nazionale animali da compagnia privi di sistemi per
l'identificazione individuale e delle
necessarie certificazioni sanitarie e non muniti, ove richiesto, di passaporto
individuale, è punito con la reclusione da tre mesi a un anno e con la multa da
euro 3.000 a
euro 15.000” .
Questa pena si applica inoltre a chiunque, al fine di procurare a sè o ad
altri un profitto, trasporta, cede o riceve a qualunque titolo animali da
compagnia introdotti nel territorio nazionale in violazione di quanto sopra
detto.
La pena è aumentata se gli animali di cui
al comma 1 hanno un'età accertata inferiore a dodici settimane o se provengono
da zone sottoposte a misure restrittive di polizia veterinaria adottate per contrastare
la diffusione di malattie trasmissibili proprie della specie.
Con l'introduzione di queste nuove
fattispecie di reato si è realizzata non solo una svolta nell'approccio di
politica criminale finora adottato nei riguardi di questo fenomeno, ma
soprattutto si sono forniti concreti strumenti operativi alle forze dell'ordine,
si è dato pieno riconoscimento anche all’attività delle guardie zoofile, che
collaborano con le forze di polizia giudiziaria, e si è stabilito che gli
animali sequestrati e poi confiscati a seguito di sentenza di condanna o di
patteggiamento vengano affidati alle associazioni protezioniste (individuate
con decreto del Ministero della Salute), che dovrebbero essere anche
destinatarie delle sanzioni pecuniarie. Peraltro si è anche stabilita l'integrazione
dei programmi didattici delle scuole e degli istituti di ogni ordine e grado,
ai fini di una effettiva educazione degli alunni in materia di etologia
comportamentale degli animali e del loro rispetto.
Tutte queste misure ci fanno ben sperare che questo fenomeno, come gli altri di cui vi ha parlato il dott. Ciro Troiano, possano essere un giorno definitivamente debellati.
Tutte queste misure ci fanno ben sperare che questo fenomeno, come gli altri di cui vi ha parlato il dott. Ciro Troiano, possano essere un giorno definitivamente debellati.
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