La mia amica Lucilla ha pubblicato
una simpatica foto sulla mia pagina Facebook, che ritrae un muro con la
scritta: “Salva una pianta, mangia un vegano”.
Pur non sentendomi direttamente
chiamato in causa, visto che sono un semplice vegetariano (mangio cioè – a
differenza dei vegani - anche uova, latte e formaggi), ho pensato di
approfittare di questa giornata nevosa per aderire all’invito rivoltomi dal
direttore di Abruzzo Independent, Marco Manzo, e scrivere su questo bel
quotidiano on line alcune riflessioni sulla mia scelta alimentare, che pratico
all’incirca da quattro anni.
Ci siamo conosciuti in piscina,
Marco ed io, e lui mi ha ascoltato mentre stavo confidando ad un amico di non
essere ingrassato durante le vacanze di natale, visto che, ai pranzi e alle
cene comandate, le portate dirette a me (e a mia moglie, anche lei vegetariana)
erano ben inferiori rispetto a quelle totali, composte prevalentemente da carne
e pesce. Così, mentre si asciugava i capelli nello spogliatoio, Marco mi ha
detto: - Perché non scrivi qualcosa sulla tua vita da vegetariano?
La foto di Lucilla fa parte di
questa vita, che è - contrariamente a
quanto si possa pensare – una bella vita, priva di sensazioni di rinuncia. Però
le apprensioni di mia madre, che continuamente mi chiede di farmi le analisi
del sangue, e l’ironia degli amici, sintetizzate nella battuta del mio amico
Mino: “La scelta vegetariana è perdente” (detta mentre coi denti sfilava gli
arrosticini dallo stecchino) mi invogliano a dire la mia, dopo quattro anni di
vegetarismo.
E’ bene chiarire subito una cosa,
a scanso di equivoci: lungi da me l’idea di fare proselitismi. Non ho alcuna
avversione nei confronti di chi mangia carne (e pesce, anch’esso fatto di
carne), anche perché io stesso per la maggior parte della mia vita ho avuto
un’alimentazione onnivora, e non penso che quattro anni fa ero una persona
malvagia. Penso di poter dire, però, di avere fatto dei passi in avanti verso
un miglioramento del mio livello di vita, soprattutto sotto l’aspetto morale e
spirituale. Perché è di questo che stiamo parlando: non di una scelta
alimentare, ma di una scelta di vita.
Basta fare una rapida ricerca su
internet, e si scopre che possono essere molte le ragioni del vegetarianesimo:
si va da quelle etiche, a quelle salutistiche fino a quelle ambientalistiche.
Si legge ormai dovunque che le
diete vegetariane determinano una minore esposizione a tumori, diabete,
malattie dell’apparato cardiovascolare. Chi approfondisce queste tematiche
scopre anche che le diete a base di carne comportano enormi sprechi di risorse
necessarie per mantenere gli allevamenti intensivi, con distruzioni di foreste
e terreni fertili per foraggiare gli animali, soprattutto nel terzo mondo.
Io non so se queste stime e
questi studi siano attendibili. Posso dire che non sono queste le ragioni che
mi hanno portato a fare la mia scelta, ma quelle altre, sicuramente più antiche
e profonde, che rimandano, come detto, a principi morali e spirituali.
E’ abbastanza noto che molti
movimenti spirituali e religiosi, soprattutto orientali (induismo, giainismo,
buddismo, taoismo), sono di tradizione vegetariana. Meno noto è che anche nel
mondo occidentale vi sono stati gruppi di individui convinti del valore del
vegetarismo. Nell’antica Grecia vi erano molti vegetariani (il più famoso di
questi fu certamente Pitagora). Anche il cristianesimo, secondo gli studi più
attendibili, alle origini faceva del vegetarianesimo uno dei fondamenti della
sua dottrina. Il quinto comandamento infatti dice “non uccidere”, concetto più
ampio del “non uccidere gli esseri umani”. E per quanto riguarda il Nuovo
Testamento, c’è da dire che, secondo un “Vangelo secondo Giovanni” tramandato
dagli Esseni e dalle Chiese cristiane d’Oriente, Cristo ha insegnato l’assoluta
non violenza anche nei confronti degli animali. I primi cristiani, dunque,
erano probabilmente vegetariani, ma le cose cambiarono quando il Cristianesimo
divenne la religione ufficiale dell’Impero Romano. Come noto, durante il
Concilio di Nicea, molti documenti cristiani originali vennero alterati, e tra
le varie cose venne eliminato ogni riferimento al non mangiare carne, pratica
non congeniale all’imperatore Costantino. Tuttavia, anche in seguito, gran
parte dei santi cristiani furono vegetariani (tra tutti, voglio ricordare San
Francesco, che predicò l’amore per tutte le creature viventi). E nel 1990 Papa
Giovanni Paolo II, proprio commentando la Bibbia, ha affermato: “Non solo
nell’uomo, ma anche negli animali c’è un soffio divino”. Da tale considerazione
dovrebbe scaturire il generale divieto di uccidere gli animali, oltre che il
pungolo per una riflessione più attenta sulle nostre scelte di vita.
Tutte le religioni e tutti i
movimenti spirituali, d’oriente e d’occidente, tendono infatti verso lo stesso
concetto di non violenza, declinato in forme diverse.
La non violenza non è la mera
astensione dall’uso della forza bruta, ma è un modo di vivere cercando di
sottrarsi a quella legge materiale che ci porta istintivamente alla nostra
affermazione sul prossimo. Dove il prossimo deve essere inteso non solo come il
prossimo “umano”, ma come tutti gli esseri capaci di soffrire. E’ questo il
principio gandhiano della ahimsa, che
lo stesso Mahatma Gandhi traduce spesso con la parola “amore”, e che poi è lo
stesso amore che viene predicato nel cristianesimo e che vale nei confronti di
tutti gli esseri viventi, indipendentemente dalla specie cui appartengono.
Dunque, se uno ha o sviluppa questa visione delle cose, non può che essere
vegetariano. Ecco, allora, che la rinuncia alla carne diventa gioiosa, e
nessuna battuta sulla “scelta vegetariana perdente” potrà scalfire il desiderio
di sentirsi in pace con il mondo.
Rimane però l’obiezione, perfida,
contenuta nella simpatica scritta “Salva una pianta, mangia un vegano”. Perché,
a fronte di chi vuole salvare gli animali, ci può essere anche chi vuole
salvare le piante, nutrendosi solo di carne, pesce, latte, uova, formaggi e
frutta!
Potrei rispondere,
semplicisticamente, che le piante non hanno un sistema nervoso e la loro
uccisione non comporta la stessa sofferenza che si infligge agli animali. Ma
voglio aggiungere qualcosa in più: e cioè, che la non-violenza è un concetto-limite,
a cui si tende senza mai
raggiungerla. Visto che devo nutrirmi, elimino la sofferenza
maggiore data dall’uccisione degli animali, riducendo (ma non eliminando) il
mio inevitabile impatto sul mondo. Sarebbe certamente più coerente con un
modello di vita non-violento nutrirsi solo di frutta e semi (qualcuno lo fa),
ma – a parte le implicazioni per la salute derivanti da una dieta così
squilibrata – una tale scelta mi pare davvero estrema. Invece la scelta
vegetariana, se ben equilibrata, non opera alcuna restrizione sui
macronutrienti di cui il nostro organismo ha bisogno, e può essere
gustosissima, come testimoniano le foto dei piatti che mi cucina mia moglie,
che ha un seguitissimo blog di cucina vegetariana (www.cucchiaiopieno.com). E ora, per
favore, smettetela di compatirmi perché non mangio più gli arrosticini!
(pubblicato nella rubrica Lifestyle di abruzzoindependent.it)
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