domenica 3 febbraio 2013

Convegno sulla zoomafia - Montesilvano, 30/01/2013


Vorrei innanzi tutto ringraziare gli organizzatori di questo convegno, ed in particolare l’assessore  Di Nicola e la responsabile della locale sezione della LAV, Antonella Agostini, per l’invito caloroso che mi hanno rivolto, e questo è un ringraziamento di cuore, e non di rito. Allo stesso modo ringrazio Carla e Ciro Troiano per la loro grande disponibilità, perché, per consentirmi di partecipare, hanno modificato la data originariamente prevista per l’incontro.
In questo modo, queste persone mi hanno consentito di realizzare uno dei sogni della mia vita: stare insieme all’avv. Vincenzo Di Girolamo al tavolo dei relatori in un convegno in cui si parla di diritti degli animali. Dovete sapere che da tanti anni, ormai un decennio intero, io sono affettuosamente bersagliato dal mio amico Vincenzo per il mio smodato interesse verso le tematiche che riguardano i diritti degli animali, e per me non sapete che soddisfazione è tenerlo qui accanto questa sera.
In realtà molta acqua è passata da quando questi argomenti erano considerati completamente marginali, ed anche il fatto che siamo qui a parlare di zoomafia, o che a Grosseto il nostro amico veterinario Rosario Fico abbia istituito presso la ASL il primo dipartimento di medicina veterinaria forense, una specie di RIS per i crimini contro gli animali, la dice lunga su quanta strada sia stata fatta dalle prime sentenze che, quando era ancora vigente la vecchia ipotesi contravvenzionale del 727 del codice penale, riconoscevano negli animali la qualità di “esseri senzienti”, cioè capaci di provare gioia e dolore, e pertanto meritevoli di tutela da parte del nostro ordinamento,  concetti ormai scontati.
Le istanze degli ambientalisti e degli animalisti hanno dunque trovato sempre maggiore accoglimento non solo nell’opinione pubblica, ma anche, conseguentemente, nella giurisprudenza e nelle leggi degli ordinamenti più evoluti. Non escludo che un giorno i diritti degli animali possano divenire oggetto di un’autonoma materia di insegnamento universitario, come già accade in molte università americane, compresa la famosa Harvard, dove si insegna Animal law (la cultura anglosassone, forse per la sua pragmaticità, è sempre stata all’avanguardia sui temi dei diritti animali. La prima legge sull’argomento è inglese, del 1822, e sempre in Inghilterra è stato emanato nel 1911 il Protection of Animal Act). Infatti i problemi che si vengono a creare nel rapporto tra uomo e animali sono sempre più complessi, e coinvolgono tutti i settori del diritto, sia quello amministrativo (si pensi al regolamento di polizia veterinaria, all’anagrafe canina, alla gestione dei canili ecc.), sia quello civile (responsabilità per danni cagionati dagli animali e agli animali, problemi condominiali),e  sia, per l’appunto, quello penale, come risulta dal rapporto zoomafia di Ciro Troiano, e qui arriviamo al tema che mi è stato assegnato, e su cui torno tra un attimo, solo per concludere il ragionamento che sto facendo.
Forse il paragone apparirà ardito agli esperti di diritto, ma in fondo si sta verificando la stessa situazione che negli anni quaranta del secolo scorso ha portato un nostro insigne giurista, Antonio Scialoja, ad avvertire l’esigenza, di fronte all’intensificarsi dei traffici commerciali, aerei e marittimi, di riunire degli istituti giuridici frammentati in diversi settori del diritto in un'unica nuova branca, che ha preso il nome di diritto della navigazione, fino ad allora inesistente. Allo stesso modo ci potrà essere un diritto dei rapporti con gli altri animali, e in una cornice di questo tipo lo stesso rapporto zoomafia acquisirebbe una dignità che merita di avere e che non ancora ha pienamente.
La zoo mafia, a ben vedere, è una sottocategoria di una altro fenomeno affine e purtroppo molto sviluppato, cioè l'ecomafia, termine coniato per la prima volta nel 1994 da Legambiente per indicare le attività criminali che colpiscono il settore dell'ambiente, come il controllo della lavorazione dei rifiuti, e che è caratterizzato specificamente dall'uso di animali per attività economico-criminali, come per le corse clandestine dei cavalli, i combattimenti e il giro di denaro relativo alle scommesse, la macellazione clandestina.
I reati zoomafiosi hanno caratteristiche specifiche, dati dalla serialità, la ferocia, il collegamento col territorio e le associazioni animaliste hanno lottato molto, anche per questo motivo, per avere una normativa adeguata a fronteggiare un simile fenomeno, stante l'inadeguatezza della previsione di cui all'art. 727 c.p.
Il reato di maltrattamenti era previsto anche nel nostro codice Zanardelli del 1889 (art. 491). Poi, dopo una lunga vigenza dell’ipotesi contravvenzionale di cui all’art. 727 del codice Rocco, siamo arrivati finalmente alla riforma, a lungo attesa, arrivata con la L. 189/04, che ha introdotto nel nostro codice quattro reati sotto il titolo “dei delitti contro il sentimento di pietà verso gli animali”. Dunque delitti, non più contravvenzioni, puniti con pena detentiva, recentemente anche aumentata, anche se, non essendo riconosciuta una soggettività giuridica agli animali, né avendo questi una tutela di rango costituzionale: non si protegge la vita dell’animale, si protegge il nostro sentimento di pietà di fronte alle loro sofferenze.
Tuttavia possiamo ritenere che i predetti reati siano plurioffensivi, perché ledono sia il nostro sentimento di pietà, sia gli animali stessi. Infatti queste norme scattano, al di fuori dei casi di non punibilità per tutta una serie di condotte ritenute lecite (caccia, circhi, sperimentazione scientifica, macellazione, ecc.), nei confronti di tutti gli animali, anche quelli per cui si potrebbe ritenere che non vi siano sentimenti di pietà, com’è avvenuto nel caso di ristoratori condannati per aver mantenuto crostacei vivi sul ghiaccio o nel caso di soggetti che maltrattano animali non d’affezione ma da reddito, come mucche e galline. Dunque la nuova normativa protegge gli animali direttamente più di quanto non sembrerebbe dalla lettura del titolo.
La prima di queste quattro  nuove figure di reato (art. 544 bis) è addirittura formulata in modo da ricalcare addirittura la formulazione dell’art. 575 che punisce l’omicidio, tanto che alcuni commentatori, all’indomani dell’emanazione di questa nuova norma, hanno ribattezzato questa figura delittuosa, con un neologismo, “animalicidio”. L’art. 544 bis recita testualmente: “Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona la morte di un animale, è punito con la reclusione da quattro mesi a due anni”. Si tratta di una norma che colma un vuoto che esisteva nel nostro ordinamento, che puniva solo il maltrattamento e prevedeva un aggravamento, sempre sanzionato con un’ammenda anche se un po’ più elevata, se a seguito di gravi sofferenze l’animale moriva.
L’uso del verbo “cagionare”, come nel caso di omicidio, rende il reato a forma libera, per cui questo può essere posto in essere sia con condotta attiva che omissiva, purché dolosa, anche nella forma del dolo eventuale, mentre non trova spazio nel nostro ordinamento la forma colposa.
E’ evidente che la soglia della punibilità è molto arretrata, e una condotta che costituisce un illecito se compiuta nei confronti di un essere umano, come l’uccisione colposa, non ancora trova ingresso nel nostro ordinamento se riferita ad un animale. Stesso discorso per  l’omissione di soccorso a seguito di un incidente stradale, che non trova lo stesso trattamento per l’omesso soccorso ad un umano, ma già il fatto che ora vi sia una sanzione amministrativa per l’omesso soccorso all’animale investito, e che sia stato regolamentato il servizio di soccorso, con apposite ambulanze, dà contezza di quanti progressi si stiano facendo.
Peraltro la Cassazione ha stabilito che l'automobilista che, dopo aver accidentalmente investito un animale domestico, ometta, senza giustificazione alcuna, di soccorrere la bestiola impedendo altresì ad altre persone di prestare all'animale le dovute cure, può essere chiamato a rispondere del reato di cui all'art. 544 bis c.p. in caso di morte dell'animale investito. È, infatti, riconducibile alla fattispecie criminosa "de qua" ogni condotta, non solo commissiva ma anche omissiva, che, per crudeltà o senza necessità, cagioni la morte di un animale (Cassazione penale, sez. III, 09/06/2011, n. 29543).
L’art. 544 ter afferma che “chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche ecologiche è punito con la reclusione da tre a diciotto mesi o con la multa da 5.000 a 30.000 euro. La stessa pena si applica a chiunque somministra agli animali sostanze stupefacenti o vietate ovvero li sottopone a trattamenti che procurano un danno alla salute degli stessi.. La pena è aumentata della metà se dai fatti di cui al primo comma deriva la morte dell'animale”.
La fattispecie di maltrattamento di animali configura dunque un delitto a dolo specifico ove le condotte lesive dell'integrità dell'animale siano tenute per crudeltà e a dolo generico quando siano tenute senza necessità, come per l’animalicidio.
La Cassazione, con riferimento a tale articolo, ha confermato la condanna per maltrattamento di animali nei confronti del proprietario di tre cani legati con una catena troppo corta a mezzi in disuso, senza protezione ed in ambiente contaminato dalla presenza di rifiuti che provocano lesioni agli arti e su altre parti del corpo, non trovando applicazione nella specie l'esimente dello stato di necessità ex art. 54 c.p., non integrando tale ipotesi la presenza di temporanee menomazioni, tali da impedirgli con facilità i movimenti (Cassazione penale, sez. III, 09/06/2011, n. 26368).
L’art. 544 quater dice che, “salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque organizza o promuove spettacoli o manifestazioni che comportino sevizie o strazio per gli animali è punito con la reclusione da quattro mesi a due anni e con la multa da 3.000 a 15.000 euro.. La pena è aumentata da un terzo alla metà se i fatti di cui al primo comma sono commessi in relazione all'esercizio di scommesse clandestine o al fine di trarne profitto per sé od altri ovvero se ne deriva la morte dell'animale”.
Anche in questo caso, il nuovo delitto si configura come reato a dolo specifico, nel caso in cui la condotta lesiva dell'integrità e della vita dell'animale - che può consistere sia in un comportamento commissivo come omissivo - sia tenuta per crudeltà, e a dolo generico quando essa è tenuta, come nel caso in esame, senza necessità.
La Corte di Cassazione ha affermato che, in tema di maltrattamento di animali, la configurabilità del reato previsto a carico di chi organizzi spettacoli o manifestazioni che comportino strazio o sevizie per gli animali ovvero vi partecipi non è esclusa dal fatto che trattasi di manifestazione folcloristica di carattere religioso, risalente a tempo immemorabile. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la Corre ha ritenuto che correttamente fosse stata affermata la penale responsabilità degli imputati in ordine al reato di cui all'art. 727 comma 4 c.p., nel testo allora vigente e poi in parte trasfuso nell'art. 544 quater comma 1 c.p., relativamente alla tradizionale corsa dei carri tenutasi nel comune di Ururi, nella quale, secondo l'accusa, i buoi che trainavano i carri venivano impiegati in modo incompatibile con la loro natura, in quanto costretti e spronati ad una corsa sfrenata mediante l'utilizzo di pungoli e bastoni acuminati). (Cassazione penale, sez. III, 22/06/2004, n. 37878)
L’art. 544 quinques c.p. stabilisce che “Chiunque promuove, organizza o dirige combattimenti o competizioni non autorizzate tra animali che possono metterne in pericolo l'integrità fisica è punito con la reclusione da uno a tre anni e con la multa da 50.000 a 160.000 euro.
La pena è aumentata da un terzo alla metà:
1) se le predette attività sono compiute in concorso con minorenni o da persone armate;
2) se le predette attività sono promosse utilizzando videoriproduzioni o materiale di qualsiasi tipo contenente scene o immagini dei combattimenti o delle competizioni;
3) se il colpevole cura la ripresa o la registrazione in qualsiasi forma dei combattimenti o delle competizioni.
Chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato, allevando o addestrando animali li destina sotto qualsiasi forma e anche per il tramite di terzi alla loro partecipazione ai combattimenti di cui al primo comma è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 5.000 a 30.000 euro. La stessa pena si applica anche ai proprietari o ai detentori degli animali impiegati nei combattimenti e nelle competizioni di cui al primo comma, se consenzienti.
Chiunque, anche se non presente sul luogo del reato, fuori dei casi di concorso nel medesimo, organizza o effettua scommesse sui combattimenti e sulle competizioni di cui al primo comma è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 5.000 a 30.000 euro”.
E’ opportuno prendere in considerazione, ai fini della nostra disamina, i combattimenti tra cani, evidenziando innanzi tutto come la pericolosità o aggressività di questi animali non dipenda dalla razza, come viene ingiustamente ritenuto dall’opinione comune. Purtroppo i cani impiegati nei combattimenti, tipico reato zoomagioso, sono addestrati e aizzati all’aggressività con metodi assolutamente crudeli (digiuni, bastonate, elettroshock, doping).
L’art. 727, nella sua attuale formulazione, stabilisce che chiunque abbandona animali domestici o che abbiano acquisito abitudini della cattività è punito con l'arresto fino ad un anno o con l'ammenda da 1.000 a 10.000 euro.
La giurisprudenza ha chiarito che il proprietario che abbia affidato il cane ad un canile privato, che si sia contrattualmente obbligato alla sua cura e custodia, risponde del reato previsto dall'art. 727 cod. pen. nel caso di sospensione dei pagamenti o di mancato ritiro dell'animale, qualora sia concretamente prevedibile (per l'inaffidabilità o per la mancanza di professionalità della struttura affidataria) che l'inadempimento possa determinare l'abbandono del cane da parte del canile. (Cassazione penale, sez. III, 10/01/2012, n. 133)
La L. 189/04, all’art. 2, ha anche stabilito che è vietato utilizzare cani (Canis lupus familiaris) e gatti (felis silvestris) per la produzione o il confezionamento di pelli, pellicce, capi di abbigliamento e articoli di pelletteria costituiti od ottenuti, in tutto o in parte, dalle pelli o dalle pellicce dei medesimi, nonché commercializzare o introdurre le stesse nel territorio nazionale (2).
La violazione delle disposizioni di cui al comma 1 è punita con l'arresto da tre mesi ad un anno o con l'ammenda da 5.000 a 100.000 euro.
Inoltre “chiunque produce, commercializza, esporta o introduce nel territorio nazionale qualunque prodotto derivato dalla foca, in violazione dell'articolo 3 del regolamento (CE) n. 1007/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 settembre 2009, e' punito con l'arresto da tre mesi a un anno o con l'ammenda da 5.000 a 100.000 euro”
La Legge 201/2010, che ha aggravato le pene previste dalla L. 189/04, ha stabilito, in tema di traffico illecito di animali da compagnia, che “chiunque, al fine di procurare a sè o ad altri un profitto, reiteratamente o  tramite attività organizzate, introduce nel territorio nazionale animali da compagnia privi di sistemi per l'identificazione individuale e  delle necessarie certificazioni sanitarie e non muniti, ove richiesto, di passaporto individuale, è punito con la reclusione da tre mesi a un anno e con la multa da euro 3.000 a euro 15.000. 
Questa pena si applica inoltre  a chiunque, al fine di procurare a sè o ad altri un profitto, trasporta, cede o riceve a qualunque titolo animali da compagnia introdotti nel territorio nazionale in violazione di quanto sopra detto.
La pena è aumentata se gli animali di cui al comma 1 hanno un'età accertata inferiore a dodici settimane o se provengono da zone sottoposte a misure restrittive di polizia veterinaria adottate per contrastare la diffusione di malattie trasmissibili proprie della specie.
Con l'introduzione di queste nuove fattispecie di reato si è realizzata non solo una svolta nell'approccio di politica criminale finora adottato nei riguardi di questo fenomeno, ma soprattutto si sono forniti concreti strumenti operativi alle forze dell'ordine, si è dato pieno riconoscimento anche all’attività delle guardie zoofile, che collaborano con le forze di polizia giudiziaria, e si è stabilito che gli animali sequestrati e poi confiscati a seguito di sentenza di condanna o di patteggiamento vengano affidati alle associazioni protezioniste (individuate con decreto del Ministero della Salute), che dovrebbero essere anche destinatarie delle sanzioni pecuniarie. Peraltro si è anche stabilita l'integrazione dei programmi didattici delle scuole e degli istituti di ogni ordine e grado, ai fini di una effettiva educazione degli alunni in materia di etologia comportamentale degli animali e del loro rispetto. 
Tutte queste misure ci fanno ben sperare che questo fenomeno, come gli altri di cui vi ha parlato il dott. Ciro Troiano, possano essere un giorno definitivamente debellati.