sabato 21 aprile 2012

Teologia animale


Ho recentemente rivisto in televisione la quinta puntata della settima serie dei Simpson, intitolata “Lisa la vegetariana”. In questa storica puntata Lisa decide, per l’appunto, di diventare vegetariana, dopo aver visto allo zoo un tenero agnellino, del tipo di quelli che in questi giorni sono stati protagonisti delle campagne pubblicitarie animaliste contro la tradizione pasquale del pranzo a base di agnello.
La sorte cui va incontro Lisa è simile a quella di tutti i vegetariani. Iniziano una serie di discussioni con i familiari, pronti a prodigarsi per far tornare Lisa onnivora e non mancano, ovviamente, le denigrazioni e il sarcasmo degli amici, che non comprendono le motivazioni della sua scelta.
Ho fatto una ricerca su internet per fugare un dubbio relativo alla data della prima messa in onda negli Stati Uniti del cartone animato, ed ho avuto una bella conferma: 8 ottobre1995, quasi venti anni fa.
A quell’epoca, in Italia, parlare di vegetarismo era come discettare di fantascienza. Solo ora le cose stanno cambiando e il numero dei vegetariani è salito, negli ultimi dieci anni, da un milione e mezzo a sette milioni (diconsi sette milioni, non settecentomila persone: stiamo parlando del 12% della popolazione italiana).
La conclusione del discorso è la seguente: anche su quest’argomento la cultura nordamericana risulta più avanzata rispetto a quella del vecchio continente. C’è poco da fare, è così. La conferma l’ho avuta un paio di estati fa, quando sono andato in vacanza negli Stati Uniti, e molti amici avevano previsto, in modo sarcastico, che sarei andato incontro ad una overdose di hamburger. Nulla di più sbagliato: non ho mai visto tanti locali vegetariani, tanti chioschi di prodotti biologici e naturali (sto parlando di New York, non di Old Mystic nel Connecticut), e tanti libri di diete vegetariane nelle vetrine delle librerie.
Anche le statistiche confermano quanto sto dicendo. Secondo il dipartimento dell’Agricoltura statunitense, negli ultimi otto anni il calo del consumo di carni bovine negli U.S.A. è stato del 10%. Secondo i calcoli dell’Earth Policy Institute di Lester Brown, nel 2012 si prevede il più basso livello di consumo di carne nel decennio.
Vuoi vedere che, dopo aver tanto deriso gli americani per la loro obesità da hamburger, tra alcuni anni ci ritroveremo di nuovo a doverli imitare, non per il loro fast food style ma per il loro veg style?
Non mi sorprenderebbe, vista la sensibilità che gli americani stanno dimostrando su questi argomenti. Attualmente, in oltre quaranta università statunitensi, compresa la mitica Harward, si insegna Animal Law. In Italia, ovviamente, neanche a parlarne: l’argomento non ha dignità accademica. Negli U.S.A., inoltre, esiste un’apposita pubblicazione specializzata destinata agli studi legali, l’Animal Law Journal. Da noi invece le pubblicazioni delle associazioni animaliste vengono trattate alla stregua della “Torre di Guardia” dei testimoni di Geova.
A proposito di religione, è nella cultura anglosassone che si è aperto il dibattito tra cristianesimo e vegetarismo, e sono stati studiati, anche a livello accademico, i rapporti tra teologia e benessere animale. Tra tutti, vorrei ricordare il teologo anglicano Andrew Linzey, direttore del Centro per l’Etica Animale all’Università di Oxford e autore, assieme a Tom Regan (padre del pensiero animalista, anch’egli – guarda caso – statunitense), del libro “Gli Animali e il Cristianesimo” e del libro “Teologia animale”, che in questi giorni di Pasqua (parola che significa “passaggio”) consiglio di leggere a chiunque fosse interessato ad approfondire questi argomenti.
(pubblicato nella rubrica Lifestyle di abruzzoindependent.it)

Io sono vegetariano


La mia amica Lucilla ha pubblicato una simpatica foto sulla mia pagina Facebook, che ritrae un muro con la scritta: “Salva una pianta, mangia un vegano”.
Pur non sentendomi direttamente chiamato in causa, visto che sono un semplice vegetariano (mangio cioè – a differenza dei vegani - anche uova, latte e formaggi), ho pensato di approfittare di questa giornata nevosa per aderire all’invito rivoltomi dal direttore di Abruzzo Independent, Marco Manzo, e scrivere su questo bel quotidiano on line alcune riflessioni sulla mia scelta alimentare, che pratico all’incirca da quattro anni.
Ci siamo conosciuti in piscina, Marco ed io, e lui mi ha ascoltato mentre stavo confidando ad un amico di non essere ingrassato durante le vacanze di natale, visto che, ai pranzi e alle cene comandate, le portate dirette a me (e a mia moglie, anche lei vegetariana) erano ben inferiori rispetto a quelle totali, composte prevalentemente da carne e pesce. Così, mentre si asciugava i capelli nello spogliatoio, Marco mi ha detto: - Perché non scrivi qualcosa sulla tua vita da vegetariano?
La foto di Lucilla fa parte di questa vita, che è  - contrariamente a quanto si possa pensare – una bella vita, priva di sensazioni di rinuncia. Però le apprensioni di mia madre, che continuamente mi chiede di farmi le analisi del sangue, e l’ironia degli amici, sintetizzate nella battuta del mio amico Mino: “La scelta vegetariana è perdente” (detta mentre coi denti sfilava gli arrosticini dallo stecchino) mi invogliano a dire la mia, dopo quattro anni di vegetarismo.
E’ bene chiarire subito una cosa, a scanso di equivoci: lungi da me l’idea di fare proselitismi. Non ho alcuna avversione nei confronti di chi mangia carne (e pesce, anch’esso fatto di carne), anche perché io stesso per la maggior parte della mia vita ho avuto un’alimentazione onnivora, e non penso che quattro anni fa ero una persona malvagia. Penso di poter dire, però, di avere fatto dei passi in avanti verso un miglioramento del mio livello di vita, soprattutto sotto l’aspetto morale e spirituale. Perché è di questo che stiamo parlando: non di una scelta alimentare, ma di una scelta di vita.
Basta fare una rapida ricerca su internet, e si scopre che possono essere molte le ragioni del vegetarianesimo: si va da quelle etiche, a quelle salutistiche fino a quelle ambientalistiche.
Si legge ormai dovunque che le diete vegetariane determinano una minore esposizione a tumori, diabete, malattie dell’apparato cardiovascolare. Chi approfondisce queste tematiche scopre anche che le diete a base di carne comportano enormi sprechi di risorse necessarie per mantenere gli allevamenti intensivi, con distruzioni di foreste e terreni fertili per foraggiare gli animali, soprattutto nel terzo mondo.
Io non so se queste stime e questi studi siano attendibili. Posso dire che non sono queste le ragioni che mi hanno portato a fare la mia scelta, ma quelle altre, sicuramente più antiche e profonde, che rimandano, come detto, a principi morali e spirituali.
E’ abbastanza noto che molti movimenti spirituali e religiosi, soprattutto orientali (induismo, giainismo, buddismo, taoismo), sono di tradizione vegetariana. Meno noto è che anche nel mondo occidentale vi sono stati gruppi di individui convinti del valore del vegetarismo. Nell’antica Grecia vi erano molti vegetariani (il più famoso di questi fu certamente Pitagora). Anche il cristianesimo, secondo gli studi più attendibili, alle origini faceva del vegetarianesimo uno dei fondamenti della sua dottrina. Il quinto comandamento infatti dice “non uccidere”, concetto più ampio del “non uccidere gli esseri umani”. E per quanto riguarda il Nuovo Testamento, c’è da dire che, secondo un “Vangelo secondo Giovanni” tramandato dagli Esseni e dalle Chiese cristiane d’Oriente, Cristo ha insegnato l’assoluta non violenza anche nei confronti degli animali. I primi cristiani, dunque, erano probabilmente vegetariani, ma le cose cambiarono quando il Cristianesimo divenne la religione ufficiale dell’Impero Romano. Come noto, durante il Concilio di Nicea, molti documenti cristiani originali vennero alterati, e tra le varie cose venne eliminato ogni riferimento al non mangiare carne, pratica non congeniale all’imperatore Costantino. Tuttavia, anche in seguito, gran parte dei santi cristiani furono vegetariani (tra tutti, voglio ricordare San Francesco, che predicò l’amore per tutte le creature viventi). E nel 1990 Papa Giovanni Paolo II, proprio commentando la Bibbia, ha affermato: “Non solo nell’uomo, ma anche negli animali c’è un soffio divino”. Da tale considerazione dovrebbe scaturire il generale divieto di uccidere gli animali, oltre che il pungolo per una riflessione più attenta sulle nostre scelte di vita.
Tutte le religioni e tutti i movimenti spirituali, d’oriente e d’occidente, tendono infatti verso lo stesso concetto di non violenza, declinato in forme diverse.
La non violenza non è la mera astensione dall’uso della forza bruta, ma è un modo di vivere cercando di sottrarsi a quella legge materiale che ci porta istintivamente alla nostra affermazione sul prossimo. Dove il prossimo deve essere inteso non solo come il prossimo “umano”, ma come tutti gli esseri capaci di soffrire. E’ questo il principio gandhiano della ahimsa, che lo stesso Mahatma Gandhi traduce spesso con la parola “amore”, e che poi è lo stesso amore che viene predicato nel cristianesimo e che vale nei confronti di tutti gli esseri viventi, indipendentemente dalla specie cui appartengono. Dunque, se uno ha o sviluppa questa visione delle cose, non può che essere vegetariano. Ecco, allora, che la rinuncia alla carne diventa gioiosa, e nessuna battuta sulla “scelta vegetariana perdente” potrà scalfire il desiderio di sentirsi in pace con il mondo.
Rimane però l’obiezione, perfida, contenuta nella simpatica scritta “Salva una pianta, mangia un vegano”. Perché, a fronte di chi vuole salvare gli animali, ci può essere anche chi vuole salvare le piante, nutrendosi solo di carne, pesce, latte, uova, formaggi e frutta!
Potrei rispondere, semplicisticamente, che le piante non hanno un sistema nervoso e la loro uccisione non comporta la stessa sofferenza che si infligge agli animali. Ma voglio aggiungere qualcosa in più: e cioè, che la non-violenza è un concetto-limite, a cui si tende senza mai raggiungerla. Visto che devo nutrirmi, elimino la sofferenza maggiore data dall’uccisione degli animali, riducendo (ma non eliminando) il mio inevitabile impatto sul mondo. Sarebbe certamente più coerente con un modello di vita non-violento nutrirsi solo di frutta e semi (qualcuno lo fa), ma – a parte le implicazioni per la salute derivanti da una dieta così squilibrata – una tale scelta mi pare davvero estrema. Invece la scelta vegetariana, se ben equilibrata, non opera alcuna restrizione sui macronutrienti di cui il nostro organismo ha bisogno, e può essere gustosissima, come testimoniano le foto dei piatti che mi cucina mia moglie, che ha un seguitissimo blog di cucina vegetariana (www.cucchiaiopieno.com). E ora, per favore, smettetela di compatirmi perché non mangio più gli arrosticini!
(pubblicato nella rubrica Lifestyle di abruzzoindependent.it)