domenica 5 dicembre 2010

Il diritto di vivere - Trieste, Circolo della Stampa, 2 dicembre 2010

Quando parliamo di sperimentazione animale stiamo facendo riferimento ad una pratica appartenente al passato remoto della storia dell’uomo, incredibilmente sopravvissuta fino ai giorni nostri. Poteva avere un senso, questa pratica, allorquando si cercava di studiare la morfologia degli animali e di compararla a quella degli uomini. Ma stiamo parlando di un’epoca ante Cristo, dei tempi del Corpus Hippocraticum e dei Procedimenti anatomici di Galeno. Oggi questa pratica ha perduto ogni parvenza di scientificità, ed è solo una delle tante testimonianze di come l’uomo ritiene di poter disporre della vita degli animali, come se ne fosse il padrone.
Non è un caso che il primo sostenitore della pratica vivisettoria fu Aristotele, che ne fece oggetto di un trattato, intitolato Parti degli animali. Chi si occupa dell’impianto filosofico che sostiene la battaglia per i diritti degli animali si trova spesso a citare Aristotele come uno dei pensatori che ha maggiormente influito nel creare una barriera tra noi e gli animali. Lui pensava che la società fosse costruita come una piramide, al cui vertice si trovava l’uomo adulto ellenico. Ai piani inferiori vi erano, via via, gli uomini non ellenici, le donne, gli schiavi, fino ad arrivare agli animali. Ed era un bene – secondo lui – che gli esseri superiori potessero disporre di quelli inferiori, perché ciò avrebbe avvantaggiato questi ultimi. Qui si pongono i primi mattoni di quella barriera che è stata eretta tra noi e gli altri animali.
Questa barriera, come tante altre che costruiamo nei confronti di chi ritieniamo “diversi”, è in realtà fragile. E difatti, ogni qualvolta si verifichi che i rapporti di forza si vengono a ribaltare, siamo subito pronti ad abbatterle, queste barriere. Ogni anno vengono fatti milioni di test dalle industrie farmaceutiche per verificare la nocività di prodotti medicinali, e milioni sono gli animali che muoiono inutilmente, perché ormai tutti gli studi scientifici sono concordi nel ritenere che i test sugli animali hanno una validità minima per controllare la nocività di un medicinale per un uomo. Normalmente le medicine vengono testate su specie differenti, e le industrie farmaceutiche utilizzano i risultati migliori per ottenere le autorizzazioni alle immissioni sul mercato. Se però, poi, accade che quelle medicine provocano danni agli uomini, partono le guerre contro le industrie farmaceutiche. Quando “noi”, per sbaglio, ci troviamo ad essere “loro”.
Il rapporto “noi/loro”, a ben vedere è il motore di tutta la fantascienza, e sta alla base anche di un interessante esperimento mentale proposto da Desmond Stewart nel racconto “Vennero i Troog e dominarono la Terra”. I Troog sono extraterrestri molto più intelligenti e potenti di noi che, dopo essere sbarcati sulla terra ed averne preso possesso, "giustamente", secondo la nostra stessa visione del mondo dominante, iniziano a trattare gli uomini come noi trattiamo gli animali. Quelli più spietati e veloci come ausilio per la caccia di quelli più timidi e spaventati, quelli più graziosi come animali da compagnia, altri più propensi a produrre carni gustose come animali per allevamento in batteria e gli esempi potrebbero continuare all'infinito con la vivisezione, i circhi, gli zoo, ecc. Perché questa è la condizione attuale degli animali.
Le associazioni che si occupano dei diritti degli animali considerano l'abolizione della sperimentazione animale fra i propri obiettivi principali, innanzi tutti per motivi etici, ma anche per motivi scientifici. Molti medici sostengono che la sperimentazione sugli animali sia scientificamente inefficace e potenzialmente sostituibile con altri metodi.
Diversi studi (Roberts et al. 2002; Pound et al. 2004) hanno evidenziato una debolissima correlazione tra studi pre-clinici e benefici finali in campo clinico, notando come in molti casi i risultati della ricerca sugli animali fossero da considerarsi irrilevanti.
Le critiche alla validità dei modelli animali come CAM (causal analog models, modelli causali analoghi) hanno varie gradazioni, da quelle più radicali a quelle meno aprioristiche, ma in ogni caso il problema che viene evidenziato è quello della generalizzabilità dei risultati ottenuti tramite la sperimentazione su animali diversi dall'uomo, in quanto il passaggio dal risultato nel modello alla previsione del risultato nel soggetto modellato è sempre una rischiosa inferenza analogica, non garantita dalla vicinanza filogenetica.
La verità è che ogni specie vivente può essere modello soltanto di se stessa. Lo dimostrano i veleni che, come la stricnina e la cicuta, per dirne due su mille, sono ottimo cibo per vari animali da esperimento.
L’inaffidabilità della sperimentazione su “modello animale” ai fini della ricerca biomedica è stata ufficializzata da organi scientifici della massima importanza e credibilità negli ultimi anni, quali il Consiglio Nazionale delle Ricerche statunitense. Quest’ultimo ha invocato la necessità di un “cambiamento epocale” nella ricerca tossicologica attraverso un “passaggio da un sistema basato sullo studio dell’animale ad un sistema basato sui metodi in vitro, oggi in grado di valutare il modo in cui una sostanza altera la funzione dei geni nella cellula umana”. Si tratterebbe di una svolta epocale, paragonata alla scoperta del DNA o alla nascita del primo computer.
L’innovazione è già partita negli Stati Uniti, visto che l’NRC (Consiglio Nazionale delle Ricerche) ha già annunciato una nuova tossicologia che metterà da parte il modello animale, varando un programma quinquennale di tossicologia cellulare basato su un sistema di “test per livelli”, che prevede lo studio di materiale e dati umani, utilizzando le nuove tecnologie (derivate da genetica, microbiologia, ecc.), con risultati più completi e affidabili (oltre che più rapidi e più economici) di quelli ottenuti dai test sugli animali.
Nel “Settimo Congresso Mondiale sui metodi alternativi e la sperimentazione animali”, tenutosi a Roma lo scorso anno, si è evidenziato che le straordinarie recenti tecnologie (dovute alle nuove conquiste della scienza, nella genetica, biologia, chimica, informatica, ecc) che usano tempi 10.000 volte più veloci e costi mille volte inferiori “generano una quantità di conoscenza mai raggiunta né mai individuata fino ad oggi” e consentono una tutela immediata per la nostra salute e per l’ambiente. Queste nuove tecnologie rispettano inoltre il comune sentire dei cittadini europei che non tollerano più l’atroce sofferenza di decine e centinaia di milioni di animali torturati nei laboratori.
In Europa, purtroppo, la recente approvazione della Direttiva 2010/63 sull’utilizzo degli animali per fini scientifici ha dimostrato quanto il predetto organo legislativo sia più sensibile agli interessi dell’industria farmaceutica che alla sensibilità dei cittadini sul tema della vivisezione.
Nonostante nel testo si faccia riferimento alla limitazione dei test più dolorosi e all'utilizzo delle cavie solo nei casi necessari, destano sgomento le deroghe per esigenze scientifiche che prevedono l'utilizzo di animali in via d’estinzione catturati in natura, come scimpanzé e gorilla, e addirittura di animali randagi, come gatti e cani, nel caso non sia possibile raggiungere altrimenti lo “scopo della procedura”.
A tal proposito bisogna ricordare come gran parte dei primati provenga da catture allo stato selvatico, dove tutto il nucleo familiare viene ucciso per prelevare il piccolo che, atterrito e disorientato, affronta viaggi transoceanici rinchiuso in piccoli contenitori per raggiungere l'Europa e, come ultima tappa, il laboratorio.
La nuova Direttiva 2010/63 prevede anche la possibilità di utilizzare lo stesso animale per più esperimenti, di utilizzare anidrite carbonica per la soppressione delle cavie (procedura che provoca un’elevata e prolungata sofferenza), e la possibilità di effettuare anche toracotomie (aperture del torace) senza anestesia.
Ad oggi il numero di animali usati per fini sperimentali non accenna a diminuire, rimanendo sulla soglia dei 12 milioni all’anno. Paesi come la Germania, Spagna, Francia Irlanda e Austria mostrano, addirittura, un forte incremento, mentre l’Italia mantiene tristemente il quinto posto nella classifica degli animali usati, dopo Francia, Regno Unito, Germania e Spagna.
Con questa iniziativa noi intendiamo avanzare la nostra richiesta per cui nell'iter di recepimento nazionale della Direttiva (ci sono due anni di tempo) vengano inserite disposizioni per favorire lo sviluppo concreto di metodi che non facciano uso di animali, limitando nei fatti il ricorso agli animali, per un futuro basato su una ricerca scientificamente corretta e libera dal vincolo arretrato del modello animale. Parimenti chiediamo il divieto senza deroga dell’uso di animali a scopo didattico.
Vorrei chiudere questo mio intervento citando una delle più celebri frasi del Mahatma Gandhi: “la vivisezione è il più nero dei neri crimini che l'uomo commette contro Dio e la bellezza del suo creato”.

domenica 21 novembre 2010

Presentazione del libro "Vingança" - Festival delle Letterature dell'Adriatico - Pescara, 17 novembre 2010 - Intervista di Alessio Romano

D: Parlami di Pescara come luogo narrativo.

R: Guarda, secondo me Pescara è un luogo narrativo eccezionale. Ha tutto per essere una location dove ambientare un romanzo giallo.
Io, che sono di Francavilla, sono cresciuto con il mito di Pescara. Quando frequentavo le scuole medie, ho respirato l’aria della contrapposizione Pescara – Chieti. Quello era il periodo in cui si cercava di ostentare la propria pescaresità. Quando si prendeva l’uno, che aveva il capolinea qui vicino, alla stazione centrale, lo si raccontava ai compagni: “Sai, ieri sono andato a Pac Mania, a Piazza Salotto”… E ci si vergognava di essere in provincia di Chieti, ed anche della targa delle macchine dei nostri genitori, che all’epoca erano suddivise per provincia. Le nostre macchine non erano targate PE, ma CH, e questo per noi francavillesi che ambivamo a sentirci cittadini pescaresi, era una un’onta. Poi, per fortuna, quelle targhe le hanno abolite… Oh, spero che non ci siano troppi chietini qui dentro.
Comunque, per ritornare alla domanda, io ho riversato nel romanzo il mio legame con la città. Da corso Manthonè al porto turistico, dalla zona dei colli fino al mercato ittico, tanti sono i luoghi della città che diventano teatro degli avvenimenti narrati nel libro.
Io spero che Pescara diventi sempre di più un centro culturale che non viva solo del ricordo di D’Annunzio, e che diventi sempre di più, di conseguenza, essa stessa un luogo narrativo.

D: Qual è il tasso di autobiografia presente nel libro?

R: L’autobiografia ovviamente è inevitabile, credo che non esista al mondo un romanzo che non sia in qualche modo autobiografico. Per quanto riguarda questo libro, beh, penso di avere esagerato. Il ragazzo di mia cugina, uno dei primi che lo ha letto, mi ha detto: “Chi ti conosce non è in grado di capire dove finisca l’autobiografia e dove inizi la finzione, e viceversa”.
Le cose, in realtà, sono andate in questo modo.
Tre anni fa ho pubblicato un libro di poesie, “Riva Azzurra”, la cui prefazione è stata scritta da Enzo Verrengia, che è un nostro amico comune. Io già lo conoscevo, ma non avevo con lui un vero e proprio rapporto di amicizia. Questo rapporto che è nato proprio in quella circostanza, e poi ho scoperto di condividere con lui la passione per la letteratura, il cinema e i fumetti.
Qualche sera dopo la presentazione di quel libro, ci trovammo, io ed Enzo, in un pub, e lui mi disse: “Michè, senti, ma visto che tu sei un avvocato penalista e conosci i meccanismi del processo e delle indagini, perché non scrivi un romanzo giallo?”
E lì io ebbi una intuizione, perché quella proposta arrivò in un periodo particolarmente intenso della mia vita, visto che avevo appena conosciuto in Brasile quella ragazza che dopo qualche mese sarebbe diventata mia moglie, Léia.
Ecco allora che ho pensato di intrecciare la trama classica di un giallo, scritto secondo i parametri usati da Agatha Christie (con l’indicazione di una serie di sospettati e lo svelamento, alla fine, dell’assassino), con la storia di due persone che appartengono a due mondi lontanissimi, un avvocato abruzzese e una psicologa brasiliana, che si conoscono e si innamorano. Ovviamente, poiché non mi piacciono i sentimentalismi, la storia d’amore è appena tratteggiata, e fa da sfondo al romanzo, anche se ne è stata la fonte di ispirazione.
Ecco dunque che l’avvocato Pace vola in Brasile sulle tracce dell’assassino, ma anziché trovare lui, trova la sua anima gemella. Ed ecco, quindi, che l’autobiografia è presente nel libro, che è una trasfigurazione in forma di romanzo giallo del modo in cui io e mia moglie ci siamo conosciuti.

D: A questo punto parlami del Brasile.

R: Ecco, questa domanda è importante, perché l’avvocato Pace non trova solo questa ragazza meravigliosa, ma scopre un intero mondo. Io non racconto il Brasile che tutti siamo abituati ad immaginare, quello di Rio de Janeiro e di Bahia, del samba e del carnevale. I luoghi teatro di azione sono una piccola cittadina termale, chiamata Caldas Novas, e poi Goiania, che è la capitale dello stato di Goias, al centro del Brasile, una metropoli lontana dal mare. Racconto scene di vita domestica, come il natale brasiliano, molto simile al nostro, albero di natale compreso, a parte la differenza di temperatura. Ma soprattutto racconto una dimensione del brasile, che mi ha molto colpito, che è quella religiosa. In Brasile la religione fa parte della vita quotidiana di tutti. Si può essere cattolici, protestanti, animisti, spiritisti. Il sincretismo, cioè la fusione di più religioni, è un fenomeno molto diffuso.
Tra queste tante religioni, quella che mi ha colpito e di cui parlo nel libro è lo spiritismo, un movimento fondato dal pedagogista e filosofo francese Allan Kardec, secondo cui gli uomini possono sviluppare le capacità medianiche per mettersi in contatto con gli spiriti dei defunti, come accade nel film Ghost con Patrick Swayze e Demi Moore.
In realtà lo spiritismo, come dottrina filosofico-religiosa derivante dagli insegnamenti degli spiriti, predica la carità, l'umiltà, la solidarietà, la fratellanza universale per il progresso morale dell'umanità, in contrapposizione all'egoismo, all'orgoglio e al materialismo, richiamandosi agli insegnamenti di Gesù Cristo, al quale gli spiritisti sono devoti. E infatti l’avvocato Pace rimane in qualche modo attratto da questa dottrina, essendovi forse già predisposto. Non a caso nella sua libreria, accanto alla collezione di fumetti d’epoca oggi praticamente introvabili, come la serie di Jonny Logan, ci sono libri di antroposofia, la quale è un percorso spirituale e filosofico basato sugli insegnamenti di Rudolf Steiner. Secondo i suoi sostenitori, l'antroposofia postula per l’appunto l'esistenza di un mondo spirituale obiettivo e intellettualmente comprensibile, accessibile ad una esperienza diretta per mezzo di crescita e sviluppo interiore. Molto simile, dunque, allo spiritismo brasiliano.

D: Quindi il romanzo ha anche una dimensione mistica

R: Sì, ma anche questa dimensione, così come ho detto per ciò che attiene alla storia d’amore che nasce tra Antonio Pace e la brasiliana Sofia Perez, fa da sfondo al legal thriller.

D: So che tu, come avvocato, ti occupi di diritto dell’ambiente e degli animali.

R: Sì, questo impegno è una componente importante della mia vita, anche professionale, ed inevitabilmente ho trasfuso queste tendenze animaliste anche al protagonista del libro. Solitamente i legal thriller hanno come protagonisti avvocati, investigatori, poliziotti che ancora oggi rispondono allo stereotipo di James Dean. Devono avere la cicca in bocca, mangiare cibo in scatola, e si devono alzare il bavero dell’impermeabile nelle notti gelide che percorrono girovagando tra i bar… E così, o no? L’avvocato Guerrieri di Carofiglio non va forse da solo al cinema, quando non scarica le sue energie represse contro Mister Sacco, il suo sacco da boxe?
Il mio avvocato non è un guerriero come Guerrieri, perciò l’ho chiamato Pace. L’avrei voluto chiamare Pacifico, ma a Pescara ho un mio amico collega che si chiama così, e non volevo ricevere una denuncia…
Il mio protagonista è un vegetariano non violento, che pratica lo yoga e quando va al pub con il suo amico, l’investigatore Gregorio Frezza, lo rimprovera, perché lui si riempie di birra e hamburger. Un tipo palloso? No, direi proprio di no. Semplicemente, ho voluto stare dalla parte di Hutch, e non di Starsky. Uno così, nel panorama nostrano dei nostri investigatori, non c’era, o perlomeno io non l’ho trovato. Ho provato a buttarlo io nella mischia.

D: Vediamo, allora, se hai rispettato il decalogo di Ronald Knox da tenere presente nella scrittura del giallo deduttivo!

R: Va bene, vediamo!
Il colpevole deve essere un personaggio che compare nella storia fin dalle prime pagine; il lettore non deve poter seguire nel corso della storia i pensieri del colpevole.
Ci siamo, l’ho preso.
Tutti gli interventi soprannaturali o paranormali sono esclusi dalla storia.
Beh, in un certo senso ci sono degli interventi soprannaturali, ma non hanno a che fare con la trama del giallo, bensì con il modo in cui Pace finisce per conoscere Sofia Perez. E in ogni caso, alla fine lascio ben capire che anche gli eventi cosiddetti soprannaturali in realtà sono naturalissimi.
Al massimo è consentita solo una stanza segreta o un passaggio segreto.
Non ci sono né stanze, né passaggi segreti.
Non possono essere impiegati veleni sconosciuti; inoltre non può essere impiegato uno strumento per il quale occorra una lunga spiegazione scientifica alla fine della storia.
Nulla di tutto questo. Uno degli strumenti investigativi che spiego scientificamente è il luminol, che peraltro è conosciutissimo.
Nessun evento casuale deve essere di aiuto all'investigatore e neppure lui può avere un'inspiegabile intuizione che alla fine si dimostra esatta.
Beh, forse qui ho toppato, perché Antonio Pace intuisce come erano andate le cose, anche se poi la conferma definitiva viene alla fine. Ma non posso dirvi di più.
Non ci deve essere nessun personaggio cinese nella storia. Sai, c’era stata un’inflazione di cinesi nell’epoca d’oro del giallo.
No, io mi sono limitato a un paio di rumene e una decina di brasiliani
L'investigatore non può essere il colpevole.
E ci mancherebbe altro!
L'investigatore non può scoprire alcun indizio che non sia istantaneamente presentato anche al lettore.
Non succede.
L'amico stupido dell'investigatore, il suo “dottor Watson”, non deve nascondere alcun pensiero che gli passa per la testa: la sua intelligenza deve essere impalpabile, al di sotto di quella del lettore medio.
No, qui le cose non stanno così. La spalla dell’avvocato, l’investigatore Frezza, è uno un po’ stralunato ma che alla fine ci sa fare. La sua intelligenza è superiore a quella del lettore medio, e per questo è di aiuto all’avvocato Pace.
Non ci devono essere né fratelli gemelli né sosia, a meno che non siano stati presentati correttamente fin dall'inizio della storia.
Va bene, anche questo l’ho preso!

D: A questo punto ti leggo questo scritto di Durrenmantt da “La promessa come contraltare”: "Ma nei vostri romanzi il caso non ha alcuna parte, e se qualcosa ha l’aspetto del caso, ecco che subito dopo diventa destino e concatenazione; da sempre voi scrittori la verità la date in pasto alle regole drammatiche. Mandate al diavolo una buona volta queste regole. Un fatto non può “tornare” come torna un conto, perché noi non conosciamo mai tutti i fattori necessari ma soltanto pochi elementi per lo più secondari. E ciò che è casuale, incalcolabile, incommensurabile ha una parte troppo grande. Le nostre leggi si fondano soltanto sulla probabilità, sulla statistica, non sulla causalità, si realizzano soltanto in generale, non in particolare. Il caso singolo resta fuori dal conto. I nostri metodi criminalistici sono insufficienti, e quanto più li perfezioniamo tanto più insufficienti diventano alla radice. Ma voi scrittori di questo non vi preoccupate. Non cercate di penetrare in una realtà che torna ogni volta a sfuggirci di mano, ma costruite un universo da dominare. Questo universo può essere perfetto, possibile, ma è una menzogna. Mandate alla malora la perfezione se volete procedere verso le cose, verso la realtà, come si addice a degli uomini, altrimenti statevene tranquilli, e occupatevi di inutili esercizi di stile."

R: Io credo sia vero il contrario. Penso che uno se ne debba stare tranquillo a casa a guardare la televisione se non si vuole sforzare di costruire un universo da dominare. Anche quell’ubriacone di Baudelaire cercava corrispondenze nelle cose, l’ha scritto in una delle sue poesie più famose. La storia che si racconta deve avere una circolarità, le cose devono avere collegamenti, e alla fine tutto deve ridare, proprio come un conto. L’avvocato Pace legge i libri di Spinoza, che ha cercato di spiegare l’universo e persino l’etica con la geometria. Sono passati tanti secoli, ed oggi sicuramente abbiamo più dubbi che certezze, ma questo non significa che dobbiamo crogiolarci nel nostro relativismo. Io ho raccontato una storia proprio perché ho trovato in fatti e in accadimenti reali corrispondenze che mi sono piaciute, conti che tornavano. Magari mi sono sbagliato, forse è una menzogna, ma va bene così. Nel romanzo riporto una frase presa da uno dei protagonisti di Pulp Fiction, che era scampato ad una sparatoria: i proiettili che l’attentatore aveva sparato si erano conficcati nel muro, disegnando dietro di lui una sagoma umana, ma nessuno di quei proiettili lo aveva colpito. E lui dice: “Oggi ho scoperto la presenza di Dio. Non importa che sia stato veramente un miracolo. L’importante è che lo sia stato per me”. E questo è quanto.

mercoledì 10 novembre 2010

Presentazione del libro "Il mio ultimo amico" di Edmondo De Amicis (il Formichiere Edizioni, ristampa anastatica)

Io vorrei innanzi tutto ringraziare Marcello Cingolani per l’invito a questa presentazione, per il suo sostegno alla Lega Nazionale per la Difesa del Cane, ma soprattutto per avermi fatto conoscere questo libricino di De Amicis, intitolato “Il mio ultimo amico”, con affettuoso riferimento al cagnolino Dick, l’unico ad essere rimasto accanto allo scrittore in un momento difficile della sua vita, dopo la morte della madre, il suicidio del figlio Furio e la separazione dalla moglie.
Per me è stata davvero una scoperta, perché De Amicis è uno scrittore estremamente lontano dal mondo degli animali, tanto che il Prof. Pino Boero, che insegna Letteratura per l’infanzia e Pedagogia della lettura presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Genova, individua una vera e propria “linea De Amicis”, che contrappone alla “linea Collodi”. Quest’ultimo riempie “Le avventure di Pinocchio” di animali che diventano protagonisti del palcoscenico della vita (il gatto e la volpe, il giudice gorilla, il ciuchino, il grillo, il pesce-cane), mentre De Amicis generalmente sminuisce il ruolo degli animali fino alla banalità. Nel libro “Cuore” si ripetono frasi del tipo “pareva un cane arrabbiato”; “in classe non c’è un cane”; Franti viene scacciato “come un cane”. E Se viene nominato il gatto, è solo perché Coretti aveva il berretto di pelo di gatto.
Ecco, questa è la “linea De Amicis”. Linea che ha vinto su quella di Collodi, nonostante il fatto che la letteratura per ragazzi, oltre ad essere uno specchio del tempo contemporaneo, dovrebbe essere anche quella in grado di anticipare nuove fasi della storia e di vincere tutti i tipi di pregiudizi, compresi quelli nei confronti degli animali.
Ma in questo libricino scopriamo un De Amicis diverso. Un De Amicis che non è quello del libro “Cuore”, con il quale viene associato immediatamente, come dice giustamente Danilo Mainardi nella prefazione.
Scopriamo un De Amicis che non si vergogna di confessare che nelle notti insonni, quando è perseguitato dai pensieri del passato e di quelli “del presente e dell’avvenire”, trova rifugio proprio pensando al suo cagnolino. Dice De Amicis, rivolgendosi al suo cane: “Nel pensiero di te trovo il rifugio, e tu mi pari la vista dagli spettri umani, e trattenendomi con la tua immagine, dimentico e mi racqueto”. Questa è una frase con la quale De Amicis sembra addirittura volersi collocare ben oltre quel fanatismo di cui a volte vengono tacciati i sostenitori dei diritti degli animali, rei di volere “più bene agli animali che agli uomini”.
C’è un altro passaggio che merita di essere sottolineato. Scrive De Amicis: “Io dimentico quello che gli ho tolto, quando penso di avergli fatto un beneficio dandogli ciò che gli ho dato. Povero Dick! No, io non ti benefico; non faccio che darti quello che ti vien di diritto. Io ti debbo bene l’alimento, poiché ti impedisco d’andartelo a cercare per il mondo, come fanno i tuoi fratelli senza padrone. Ti debbo bene delle cure e delle carezze, poiché t’ho chiuso in una prigione, e t’ho imposto un orario, una disciplina, un collare, una museruola, e mille soggezioni e riguardi che riducono la tua vita come quella d’un collegiale”
Ecco dunque che scopriamo una inaspettata sensibilità etologica. De Amicis comprende quali sono le reali esigenze del cane, e considera il cibo e le cure un indennizzo per tutto ciò di cui il cane è stato privato. E non è solo una sensibilità etologica. E’ una vera e propria empatia tra lo scrittore e il suo cane. Uno slancio che porta De Amicis a dire, rivolgendosi al suo cane. “Se sapessi quanto m’affatica il pensiero per misurare la distanza che corre fra di noi, e scoprire la tua riposta natura, e quella dei legami che ci congiungono e delle barriere che ci separano”. Ecco, qui non c’è trucco e non c’è inganno: lo scrittore guarda il cane e coglie la contiguità tra le loro vite.
Inaspettatamente, proprio in De Amicis, quello della linea da contrapporre alla linea Collodi, si infrange quel tabù di una cultura millenaria, stratificatasi ad opera del pensiero dominante della nostra storia filosofico - religiosa, che ha voluto costruire una barriera tra noi e gli altri animali.
Questa barriera, come tante altre che costruiamo nei confronti di chi ritieniamo “diversi”, è in realtà fragile. E difatti, ogni qualvolta si verifichi che i rapporti di forza si vengono a ribaltare, siamo subito pronti ad abbatterle, queste barriere. Faccio un esempio, prestando attenzione al cosiddetto fenomeno del dumping, che interessa tanto gli economisti dei paesi occidentali: quando si tratta di andare ad impiantare le nostre aziende nei paesi sottosviluppati, che offrono mano d’opera a prezzi ridicoli, lo si fa in nome dei principi del liberismo. E’ giusto andare dove il lavoro costa poco, perché le leggi del mercato ci spingono verso l’ottimizzazione del rapporto costi/benefici. Quando accade che “loro”, imparato il know how, e trovati i mezzi per avviare le loro imprese, mettono sul mercato prodotti che ci fanno concorrenza a prezzi più bassi, allora quelle leggi di mercato che prima andavano bene, non vanno bene più. Si comincia ad evidenziare il mancato rispetto degli standard relativi ai diritti dei lavoratori, i quali possono produrre quei beni a quei prezzi in quanto sottopagati e privi delle garanzie che abbiamo nei paesi avanzati, e quindi si comincia a parlare del dumping e della necessità di introdurre strumenti protezionistici, mediante dei dazi sull’importazione di quei prodotti. Il che significa alterare il libero mercato, e rinnegarne i principi. Perché questo accade? Perché succede che “noi” stiamo diventando “loro”, e quello che prima veniva professata come regola generale ora non va più bene, perché non va bene per “noi”.
Noi siamo i sostenitori di questa battaglia culturale, in difesa degli ultimi. Di coloro che oggi sono macellati nei campi di concentramento degli animali destinati ad uso allevamento o pelletteria, di coloro che sono utilizzati a milioni nei laboratori per test di nessuna rilevanza scientifica. E da oggi sappiamo che anche De Amicis avrebbe sostenuto questa battaglia.

domenica 12 settembre 2010

Convegno sul Diritto Ambientale in Europa ed in Brasile - Università di Jataì (Brasile)

Um famoso jurista italiano, Antolisei, define o ambiente como “todos os fatores que caracterizam o habitat do homem, satisfazendo as suas necessidades tanto materiais como espirituais”. Nesse conceito pertencem não só a terra, água, flora, fauna, mas também o patrimônio arqueológico, artístico, etc.
A proteção ambiental não pode ser separada da proteção do homem, cuja existência pode realizar-se em um habitat natural ou modificado, capaz de satisfazer as suas exigências físicas, sociais e culturais.
Isso exige uma educação ambiental consciente, um estilo de vida que combina a busca do progresso econômico com o uso cuidadoso de recursos naturais, que não são inesgotáveis.
Questões relacionadas com a proteção ambiental são cada vez mais discutidas a nível global: o ambiente em que vivemos é cada vez mais comprometido pelo desenvolvimento tecnológico e a entrada na terra, na água e no ar de substâncias poluentes.
A convição de que o homem tem a capacidade de controlar o estado do ambiente, garantindo a qualidade de vida para as gerações futuras, infelizmente é desmentida por uma série de eventos que determinaram catástrofes ambientais ou pelo menos danos às pessoas, a fauna, a flora e aos recursos em geral.
Para lidar com uma situação tão alarmante é necessário, antes de tudo, a progressiva afirmação do meio ambiente como “valor”, em que o direito deve dar amplo reconhecimento.
Até metade do século passado, os problemas ecológicos eram tidos em baixa consideração e a própria palavra “ambiente” não tinha grande reconhecimento a nível jurídico nos ordenamentos estatais.
Somente nos últimos tempos tem havido uma preocupação de proporcionar uma proteção jurídica ao meio ambiente, segundo critério que lembra a lógica do desenvolvimento sustentável. A proteção ambiental é, certamente, o propósito para o qual toda a comunidade global deve dar grande prioridade.
A relação entre meio ambiente e desenvolvimento é crucial, sendo indispensável conciliar o crescimento econômico dos países com a proteção dos recursos naturais. Na verdade, se de um lado a tecnologia constitui uma condição essencial para o progresso dos sistemas industriais, determinante na contribuição do aumento da qualidade de vida e em condicionar a competitividade das empresas e das nações, por outro lado a mesma é responsável por grande parte dos problemas ambientais existentes.
É necessário redefinir o papel do desenvolvimento tecnológico nas estratégias de proteção dos recursos naturais, tal como preconizado em 1987 pela Comissão Mundial sobre Meio Ambiente e Desenvolvimento. Naquela sede foi criada a expressão “desenvolvimento sustentável”, pela qual queria dizer, precisamente, uma forma de desenvolvimento em grau de satisfazer as necessidades presentes sem comprometer a qualidade de vida das gerações futuras.
É indispensável prosseguir a luta pela proteção ambiental, não apenas em nível estadual, mas também globalmente.
O caminho para o desenvolvimento sustentável e a luta pela redução da pobreza não importa apenas uma mudança na forma da exploração do ambiente, de acordo com uma lógica de proteção ambiental: além da implementação do comportamento ecológico, o conceito de desenvolvimento sustentável exige também uma mudança nos mecanismos de produção e de consumo em uma direção mais justa, que concerne à conservação e recanalização dos recursos, atualmente desperdiçados, no sentido de satisfazer a todos, agora e no futuro.
O conceito de desenvolvimento sustentável é fundamentado em uma multiplicidade de linhas de ações, de políticas e instrumentos que norteiam o trabalho de todos em relação às questões ambientais. Neste conceito surge críticos fatores como a equidade interna e entre os países, no controle e uso dos recursos, a justiça social, a ética, o respeito pelos direitos humanos, a participação dos cidadãos de todos os países, com a redução da pobreza, a segurança humana proficua, a inviolabilidade dos direitos do indivíduo e a sua centralidade absoluta em todas as escolhas estratégicas, políticas, econômicas e sociais.
A mesma definição proposta pelo Relatório Brundtland, em 1987, onde sustentabilidade significa satisfação das necessidades das gerações presentes sem prejudicar as gerações futuras, esclarece um conceito de desenvolvimento sustentável que gira em torno de dois conceitos fundamentais:
- o da igualdade intra-geracional, consistente na necessidade de satisfazer as necessidades da parte pobre do mundo, melhorando as condições;
- e a igualdade intergeracional que se traduz na oportunidade de se limitar na exploração do meio ambiente, hoje, para evitar danos às gerações futuras.
Diante de danos incalculáveis - e muitas vezes irreversíveis – causados pela qualidade de vida cotidiana da explosão industrial, do desfrutamento intensivo do solo e das diversas formas de poluição (da terra, da cidade, do campo, do ar, dos mares e dos oceanos), a necessidade de proteção do patrimônio natural foi gradualmente afirmando primeiro como redescoberta dos princípios universais, por parte dos defensores isolados e corajosos preocupados com o destino do mundo, depois como um objeto da atividade da organização e coordenação das associações ambientais, envolvidos na realização efetiva desses mesmos princípios, por unanimidade aceitos pelos homens, mas geralmente violados pela maioria deles.
Finalmente, em quase todos os países, surgiram a reação da ordem jurídica, mas em quase toda parte, pelo menos inicialmente, colocou-se de maneira inadequada em frente às novas exigências de questões ambientais: tradicionalmente, tanto o direito substancial como o processual se apresentaram certificados de conceitos e instituições (como aquele da propriedade privada, entendida como um direito de uso exclusivo) que refletem costumes e estilos de vida baseado na exploração dos recursos e riquezas naturais.
Embora o problema da proteção ambiental é particularmente amplo, incluindo ecologia política, ética ambiental, ciências sociais e econômicas, é geralmente reconhecida a necessidade de lidar organicamente, através do Direito, a fim de predispor os instrumentos mais adequados para restaurar e proteger o complexo equilíbrio ecológico. Seguindo as ideias expressas na Declaração de Estocolmo de 1972 e nas convenções que iremos ver, o direito à proteção ambiental e ao uso eficiente dos recursos naturais estão incluídos entre os direitos humanos fundamentais, no mesmo nível dos clássicos princípios de liberdade.
Este novo ramo do Direito, atualmente denominado “Direito Ambiental” é parte do direito público, no que diz respeito aos interesses coletivos prevalentes; nessa parte do Direito devem encontrar adequadas respostas a muitos problemas decorrentes da estreita interconexão entre as profundas mudanças econômicas e sociais e as gravíssimas consequências para o ambiente.
Em todos os Países do mundo a principal função da legislação sobre a proteção ambiental é do tipo preventiva, mas ao longo dos anos foram emitidas normas de caráter repressivo, dissuadido e compensatório.
A proteção preventiva diz respeito à determinado padrão, aprovação de produtos, identificação de níveis tecnológicos pré estabelecidos e o controle das iniciativas públicas.
No segundo conjunto de normas inclui sanções administrativas e sanções penais.
Certamente, em relação ao passado, houve uma evidente aproximação dos modelos de regulamentação dos diversos Estados, mesmo com as diferenças que continuam a diferenciar um sistema do outro. Cada ordem estatal deve confrontar-se com suas próprias exigências especificas de ordem politica e econômica, fazendo os adequados balanceamentos.
Atualmente, as políticas de proteção jurídica do ambiente ocorrem:
- através de preceitos cuja violação implica uma sanção (modelo obrigação-sanção)- através de instrumentos econômicos e financeiros: impostos para os poluidores, subsídios e incentivos para aqueles que adotam procedimentos que reduzam os efeitos poluentes- políticas de sensibilização pública, atividades informativas e de acesso à informaçõesambientais

Sistema das fontes do direito nos países europeus
O direito atual é fundamentalmente organizado por sistemas jurídicos que se aplicam em cada sistema nacional, mesmo se mais de uma instância leva a superação das fronteiras nacionais, especialmente no que diz respeito ao direito ambiental, para aqueles problemas, como aqueles do controle climático, que são pela sua natureza global e não são adequados a serem regulamentados por normas nacionais.
A hierarquia das fontes é a seguinte:
1. Tratado da Comunidade Europeia e Regulamentos comunitários
2. Constituição e Leis Constitucionais
3. Leis ordinárias e Decretos legislativos
4. Leis Regionais
5. Usos ou costumes

Direito ambiental de fonte internacional
Normas consuetudinárias: número limitado porque o setor ambiental do direito internacional é relativamente recente.
Normas contratuais: que derivem de tratados internacionais
Numerosas convenções internacionais (por exemplo: Convenção sobre a Biodiversidade, Rio de Janeiro 1992; Convenção de Nairobi sobre Diversidade Biológica, 1992, etc).
As convenções sobre o meio ambiente, dificilmente (exceto talvez aquela de Kyoto) impõe proibições específicas relativas a determinadas atividades poluentes. Em geral, as convenções limitam-se a estabelecer obrigações de cooperação (preventiva), de informação, de consulta sobre os critérios do desenvolvimento sustentável e da responsabilidade intergeracional.
Foi questionado se o direito consuetudinário internacional impõe a obrigação de não cometer atos prejudiciais para evitar danos ao território de outros Estados. Isso seria incompatível com o princípio da soberania, segundo o qual a liberdade de exploração do território constitui um dos mais importantes conteúdos da soberania territorial. (Por exemplo, utilização dos rios internacionais que modificam o fluxo de água no estado vizinho).
Portanto, a resposta deveria ser negativa, mas de acordo com alguns autores (Lugaresi) deve ser positiva no que diz respeito à proibição da poluição transfronteiriça e ao princípio de cooperação entre os Estados que são estabelecidas na Declaração de Estocolmo e Rio de Janeiro.
Analisamos, então, as Declarações de Princípios, que são o resultado da Conferência convocada pela ONU (organização criada em 1945 para a manutenção da paz e segurança internacional).
Conferência de Estocolmo em 1972
O foco principal da Conferência de Estocolmo se centrou na cooperação internacional, em matéria de ambiente, enquanto 20 anos mais tarde, na Conferência do Rio de Janeiro chegou a questão mais ampla das relações entre ambiente e desenvolvimento a nível nacional e internacional.
Após o desenvolvimento cientifico e tecnológico no pós-guerra, o ambiente era uma vítima dos efeitos colaterais negativos. A Suécia propôs em 1968 a convocação de uma conferência da ONU, que se realizou em 1972 a fim de aumentar a consciência e de identificar os problemas ambientais que requeriam a cooperação internacional.
A Conferência teve lugar no meio da Guerra Fria, mas a Rússia e a China participaram.Com o resultado da Conferência foram criados ministérios e agências ambientais em mais de 100 países, elemento fundamental para fazer avançar os resultados da Conferência. Isso também marcou o início do aumento explosivo das organizações intergovernamentais e não-governamentais dedicadas à proteção ambiental. Em vinte anos, estima-se que cerca de 100.000 organizações foram criadas.
Foi estabelecido a UNEP (United Nations Environment Programme, Programa das Nações Unidas para o Ambiente - www.unep.org) em Nairobi, como um instrumento para promover os resultados da Conferência. A UNEP assumiu o conjunto de órgão auxiliar da Assembleia Geral das Nações Unidas referente a função de estudo, programação, promoção, racionalização e assistência técnica a estudos no âmbito do direito ambiental internacional.
A Declaração e o Plano de Ação, com as recomendações internacionai adotadas em Estocolmo, foram instrumentais para o desenvolvimento rápido posterior do direito ambiental internacional. O Princípio 21 da Declaração tem uma importância especial: contém a previsão segundo a qual os Estados têm a responsabilidade de assegurar que as atividades internas de sua jurisdição ou controle não causem danos ao meio ambiente além de suas fronteiras.
Ao longo dos anos houve a fragmentação e a falta de coerência no sistema de governança ambiental internacional.

Relatório Brundtland 1987
No décimo aniversário da Conferência de Estocolmo (1982), a Assembleia Geral da ONU criou uma comissão especial independente, presidido pelo primeiro-ministro norueguês Brundtland para remediar estes problemas. Quando publicaram as conclusões da Comissão Brundtland, em 1987, o clima político era mais receptivo.
A Comissão Brundtland desenvolveu conceitualmente a relação entre ambiente e desenvolvimento, visto que as divisões entre o norte e sul do mundo não eram diminuídas de Estocolmo. Durante os anos 80 os países em desenvolvimento adotaram a perspectiva segundo a qual era necessário dar prioridade à pobreza e ao subdesenvolvimento, para obterem um ambiente equilibrado e sustentável.
A Comissão em seu relatório, chamado Our Common Future (Nosso Futuro Comum ), enfatizou a importância do crescimento econômico e promoveram o conceito de "desenvolvimento sustentável", definido como o crescimento que atende às necessidades de hoje sem prejudicar as gerações futuras.

Conferência do Rio de Janeiro 1992
Promoção do desenvolvimento sustentável
Três documentos foram aprovados:
1. Declaração do Rio de Janeiro
2. Agenda 21: prospecto detalhado das ações iniciais para o século 21 que abrangetambém ações a nível nacional, enfatizando a responsabilidade de cada estado.
3. Declaração dos Princípios Florestais
Foram abertos para assinarem:
1. A Convenção sobre Mudança climática
2. A Convenção sobre a biodiversidade (sobre a proteção dos recursos biológicos: por ex.: disciplina de caça e pesca)
3. A Convenção sobre Desertificação
Foram criados um sistema financeiro especial, o Global Environment Facility (GEF) para resolver a problemática ambiental e a Comissão sobre o Desenvolvimento Sustetável (CSD – Commission on Sustainable Development) no âmbito do Conselho Econômico e Social da Onu.Problema: o conteúdo da Declaração de Estocolmo e do Rio de Janeiro não têm força vinculativas, soft law.

Conferência e Protocolo de Quioto 1997 sobre mudanças climáticas
Ato executivo que contém objetivos legalmente vinculados e decisões sobre a atuação operacional de alguns dos compromissos da Convenção Quadro sobre Mudanças Climáticas (United Nation Framework Convention on Climate Change, aberta para assinatura no Rio de Janeiro).
O protocolo compromete os países desenvolvidos e aqueles com economias em transição (países do Leste Europeu) para reduzir um total de 5,2 por cento das principais emissões de gases com efeito estufa no período compreendido entre 2008 e 2012.
A redução global de 5,2 por cento não é igual para todos os países. Para os países membros da União Europeia como um todo, a redução deve ser igual a 8 por cento, para os EUA de 7 por cento, para o Japão de 6 por cento.
O Protocolo incentiva os governos a trabalhar juntos para melhorar a sua eficiência no setor de energia, reformando-o, dos transportes, para promover formas de energiarenováveis, eliminar inadequadas medidas fiscais e imperfeições do mercado, limitar as emissões de metano a partir das gestões de resíduos e do sistema de energia e proteger as florestas eoutras "fontes" de carvão.
Identificamos três categorias diferentes de países:
1. Os países em desenvolvimento, que não estão sujeitos à obrigação de reduzir gases de efeito estufa, mas apenas a obrigação de cooperação e trocas de informações.
2. Países em transição para uma economia de mercado, que estão sujeitos a exigências reduzidasquanto as emissões de gases com efeito estufa.
3. Países economicamente avançados, em que o protocolo estabelece uma média de 5% a percentagem de redução das emissões de gases com efeito estufa para o período 2008-2012.
A resistência da Rússia e a persistente oposição dos EUA à ratificação do Protocolo são ligadas aos critérios utilizados para a distribuição dos custos para atingir os objetivos de contenção dos fenômenos de mudanças climáticas previstas para o primeiro período de atuação do Protocolo (2008-2012). As resistências são justificadas pelo fato de que nesta primeira fase os custos afetam apenas os países industrializados, enquanto provavelmente no final do primeiro período de aplicação do protocolo (2012) os países em desenvolvimento (China, Índia e Brasil) chegarão e, talvez, superarão os níveis de emissão de outros países industrializados.
A União Europeia e os seus Estados-Membros ratificaram o Protocolo em maio de 2002, antes da Conferência de Joanesburgo, em agosto/setembro de 2002.
De acordo com os parâmetros de Quioto, a União Europeia deveria reduzir até 2010 suas próprias emissões em 9,4% a partir do ano base (1990). Os dados mais recentes mostram uma diminuição das emissões em apenas 1,7 % em relação a 1990.
Conselho Europeu - março de 2007: redução das emissões de gases de efeito estufa em 30% em relação a 1999 até 2020.
Iniciativas úteis para reduzir as emissões:
- Divulgação das fontes de energias renováveis
- Melhoria dos métodos de queima de veículos
- Melhorar a eficiência dos edifícios
- Difusão de hidrogênio renovável
- Fissão nuclear
- Melhoria da gestão dos recursos agrícolas e florestais
As principais fontes de energias renováveis são as energias solar, hidrelétrica, eólica ebiomassa. Estas formas de energias são na maior parte do mundo os únicos recursos locais disponíveis. Elas derivam direta ou indiretamente da energia solar e têm a vantagem de apresentar um baixo impacto ambiental; a principal desvantagem consiste na sua variabilidade e intermitência. Alguns desses recursos produzem energia a custo atualmente maior daqueles fósseis e nucleares.

Poluição da água do mar
A primeira convenção sobre o Direito Marítimo foram assinadas no âmbito das Nações Unidas em 1958; esses se ocupam mais da delimitação dos espaços marítimos do que da poluição da água.
Convenção de Montego Bay de 1982
Com a Convenção das Nações Unidas sobre o Direito Marítimo (CNUDM), assinada em Montego Bay em 1982, os Estados signatários se comprometeram a respeitar e proteger o ambiente marinho, assumindo a obrigação de adotar individualmente ou em conjunto todas as medidas adequadas para prevenir, reduzir e controlar a poluição do ambiente marinho, utilizando os meios mais adequados disponíveis.
Os Estados comprometeram-se a assegurar que as atividades sob a sua jurisdição ou controle não colocaria em perigo o meio ambiente de outros estados ou não prejudicaria o meio ambiente em áreas além daquelas em que exercitam a sua soberania (se deve ter em mente que o mar está "dividido" em várias áreas no âmbito do exercício da soberania dos Estados ou dos poderes de controle).
O Estado:
- Exerce a sua soberania sobre as águas internas e sobre o mar territorial, até às 12 milhas da costa;
- Exercita direitos soberanos de exploração na zona econômica exclusiva, ZEE:
1. em águas até 200 milhas da costa;
2. na plataforma continental (fundo do mar e subsolo até 200 milhas da costa).
O alto mar, além da ZEE, é livre.
Trata-se de uma convenção-quadro que forneceu a base para a adoção de posteriores convenções regionais. Acredita-se que um bom número de suas disposições tornaram-se parte do direito internacional consuetudinário.
A Convenção leva em consideração as diferentes formas de poluição que possam derivar de causas diversas. Trata-se da poluição proveniente de rios e oleodutos, derivados das atividades de navegação.
Devem ser preservados os ecossistemas raros e habitat de espécies raras ameaçadas de extinção.
A cooperação entre os Estados é:
- direta à introdução de normas para combaterem as diversas formas de poluição;
- direta à realização de planos de emergência comum, de estudos e programas de pesquisa.

Convenção MARPOL sobre a poluição maritima, 1973
Visa pôr fim à poluição por hidrocarbonetos (petróleo) e outras substancias nocivas e em reduzir ao máximo o derramamento desse tipo de substâncias no mar. Preveem a progressiva substituição de petroleiros de casco simples para petroleiros de cascos duplos.

Convenção internacional sobre a responsabilidade civil pelos prejuízos devidos à Poluição por hidrocarbonetos, de Bruxelas 1969
- Danos emergentes e medidas para a restauração;
- O proprietário do navio é obrigado a pagar os danos;
- Responsabilidade objetiva;
Em 1971 criou-se um seguro (FIPOL - Fundo para a indenização dos danos causados pela poluição por Hidrocarbonetos).

O direito Ambiental na Constituição italiana e de outros Países
A Constituição italiana não aborda especificamente o direito ambiental, mas é possível descobrir a existência de um interesse constitucionalmente relevante para a proteção do ambiente no art. 9 Const., que compromete a República à proteção da “paisagem”, compreendida em sua totalidade. Também foi gradualmente alargado o conteúdo do direito à saúde, consagrado no artigo. 32 Const. ("A República protege a saúde como um direito fundamental do indivíduo e do interesse coletivo"), até abranger a proteção ambiental.
Assim, hoje o sistema italiano reconhece um direito ambiental a nível constitucional, como parte integrante do mais amplo direito à saúde - um direito absoluto e fundamental – pois a existência ou não de uma condição de saúde se individua fazendo referência não apenas a situação momentânea do ser físico ou psico-físico do individuo, mas também do ambiente externo no qual ele vive e trabalha.
Quanto à titularidade e aplicabilidade do direito ambiental, a Constituição Portuguesa de 1976, art. 66, atribuiu a todos o “direito a um ambiente de vida humano, saudável, ecologicamente equilibrado e o dever de defendê-lo” e, em base dos artigos 66 e 52, reconhecem aos cidadãos portugueses a possibilidade de pedir a proteção do direito ambiental aos tribunais comuns.
Na Espanha, é previsto no artigo 45 da Constituição de 1978, que “Todos tem o direito de desfrutar de um ambiente adequado para o desenvolvimento pessoal e tem o dever de preservá-lo”, e é também aqui previsto um recurso contra os atos das autoridades públicas em matéria ambiental, mas somente se o cidadão tiver um “interesse pessoal”.
A Constituição grega de 1975 está entre as primeiras da Europa a fornecer uma norma em matéria de proteção ambiental e impõe um “dever público” ao Estado nessa matéria (art. 24).
Na Holanda a Constituição prevê para o poder público a tarefa de proteger a habitabilidade do país, e melhorar o meio ambiente (art. 21).
Fora da Europa, muitas outras constituições, especialmente aquelas mais recentemente aprovadas, preveem normas específicas em matéria de direito ambiental.
A Constituiçao do Peru, de 1993, reconhece o direito fundamental de todos a um ambiente adequado para o desenvolvimento da vida (artigo 22 º, n º 2) e prevê, no título III sobre o sistema econômico, um capítulo dedicado ao meio ambiente e aos recursos naturais, estabelecendo a soberania do Estado sobre a determinação das condições para a sua utilização.
A Constituição da Colômbia, de 1991, reconhece o ambiente e a saúde como serviços públicos em que o Estado é responsável e insere a proteção ambiental entre os direitos coletivos, da mesma forma do direito ao controle sobre a qualidade dos produtos ou ao direito de usufruir os serviços públicos.
Assim, na Itália, com uma constituição adotada em 1948, o direito ambiental não é diretamente protegido da Constituição, diferentemente dos países com constituições promulgadas mais recentemente.

Normas de direito privado italiano que vem em consideração para os problemas do tipo ambiental
Duas normas civilistas aplicáveis em paralelo às disciplinas ambientais quando os fatores nocivos interessam pessoas individualmente:
- discilplina das imissões nocivas, art. 844 c.c.
- disciplinas do fato ilicito, art. 2043 c.c. (danos à saúde, art. 32 Const.).
Código Civil
Art. 844 Imissões - "O proprietário de um imóvel não pode impedir a emissão de fumaça oucalor, ruído, vibrações ou similares propagações derivados de um vizinho, se não ultrapassar o que normalmente é tolerável, tendo em conta a condição do lugar.
Ao aplicar esta norma, a autoridade judiciaria deve equilibrar as necessidades de produçãocom os direitos de propriedade.
Art. 2043 Ressarcimento por fato ilícito - "Qualquer fato doloso, ou culposo, que cause aos outros um dano injusto, obriga a pessoa que cometeu o fato ilícito a pagar um ressarcimento de danos".
A legislação brasileira
A nível internacional, o Brasil ratificou numerosos tratados, incluindo o Tratado da Antártida, a Convenção sobre o Direito do Mar e a Convenção do Hemisfério Norte (1940). De acordo com o Tratado de Cooperação Amazônico (1978), o país compromete-se em proteger a Bacia do Rio Amazonas.
Até 1981, eram considerados como "poluição" em todos os aspectos, somente as emissões das indústrias que não estavam de acordo com a legislação e normas técnicas. Nessa época, sob o pressuposto de que todas as atividades produtivas causam um certo impacto ao meio ambiente, foram bem toleradas as emissões poluentes que respeitavam determinados parâmetros. Este sistema, que pode ser chamado de antigo, era como um tôdo, muito coerente:
classificação de zonas industriais, para colocar a maioria das empresas poluentes em locais apropriados para absorver volumes significativos de poluição;
licenças para as indústrias de acordo com a classificação das áreas;
parâmetros para as emissões poluentes.
A Política Nacional do Meio Ambiente
A Lei n. 6938, de 31 de agosto de 1981, conhecida como a Política Nacional do Meio Ambiente, introduziu uma diferença conceitual que serviu como um divisor de águas. Não há mais danos ambientais que não devem ser reparados.
Estritamente falando, não há mais emissões de poluentes que possam ser tolerados. A nova legislação se baseia na ideia de que o mesmo poluente residual, tolerado pelos padrões estabelecidos poderá ainda causar danos ambientais e o responsável é sujeito a pagar uma indenização. É o conceito de responsabilidade objetiva, ou de riscos das atividades.
A sutil diferença é que uma empresa pode permanecer dentro dos limites máximos de poluição legalmente impostos, e mesmo assim ser responsabilizada pelos danos residuais causados. Por isso, é suficiente que se prove um nexo de causalidade e efeito entre a atividade da empresa e um determinado dano ambiental. Isto é, em suma, aquilo que é chamado de responsabilidade objetiva: para formar obrigações de reparar danos ambientais, não é absolutamente necessário que o mesmo seja causado por um ato ilícito (que não cumpram os limites de tolerância, concentração ou intensidade de poluentes), mesmo porque a responsabilidade objetiva dispensa a prova de culpa. É suficiente que a fonte de produção tenha causado o dano, atendendo ou não normas previstas para emissões poluentes.
Para complementar esta nova ideia de proteger o meio ambiente, a mesma Lei n. º 6938/81 deu legitimidade ao Ministério Público para implementar a proteção do meio ambiente. Como o meio ambiente pertence a todos, mas a ninguém individualmente, o mais adequado para proteger esse interesse, que são considerados comuns, é um órgão com poderes para proteger os interesses públicos. Com a lei 7347 de 24 de julho de 1985, essa legitimidade foi estendida para as instituições ambientalistas (as “ONGs”) e criou-se uma ação própria para a defesa judicial do meio ambiente, a ação civil pública.

A Constituição Federal
Estabelecido os contornos do novo tratamento legal dado ao meio ambiente, a Constituição Federal, promulgada em outubro de 1988, dedicou um capítulo inteiro à proteção do meio ambiente (Capitulo VI - do meio ambiente; Titulo VIII – da ordem social) e contém 37 artigos relativos ao Direito Ambiental e outros cinco relacionados ao Direito Urbano.
O texto constitucional estabeleceu uma série de obrigações para as autoridades públicas, incluindo:- a preservação e recuperação das espécies e dos ecossistemas;
- a preservação da diversidade e integridade do patrimônio genético e à supervisão das instituições envolvidas na pesquisa e manipulação genética;
- educação ambiental em todos os níveis escolares e a orientação pública sobre a necessidade de preservar o meio ambiente;
- a definição das áreas territoriais que devem ser especialmente protegidas;
- a necessidade de estudos de impacto ambiental para o estabelecimento de qualquer atividade que possa causar prejuízos significativos para o equilíbrio ecológico.
Outro aspecto que merece atenção especial do texto constitucional foi a competência legislativa da União, dos Estados e das comunidades, no que diz respeito às questões ambientais. A competência da União e dos Estados para dispor em defesa do meio ambiente é compartilhada, cabe à União estabelecer normas gerais e aos Estados os integrar.
Sanções penais
A Lei n. 9605 de 12 de fevereiro de 1998 determina as sanções criminais aplicáveis às atividades prejudiciais ao meio ambiente. Com esse objetivo básico, a Lei n. 9605 substitui todas as normas penais dispersas em vários textos legais destinados a proteção ambiental, como o Código Florestal, o Código de Caça, a Lei n. 6.938, de 31 de agosto de 1981 (art. 15), etc.
O objetivo da lei é a responsabilidade penal do poluidor ou do responsável pela deterioração do meio ambiente, sem qualquer intenção de renunciar à Lei n. 6938/81, que regula as reparações civis decorrentes de atos lesivos ao meio ambiente.
O artigo 2 da lei deixa claro que a responsabilidade criminal se dará ao grau de culpa do agente, descartando a ideia de responsabilidade objetiva também para os efeitos penais. O mesmo artigo inclui, entre os acusados criminalmente, não só o responsável direto pelo dano, mas também os agentes que, sabendo da conduta criminosa, não conseguiram impedir a sua prática enquanto poderia evitá-lo. Entre esses agentes co-responsáveis são inclusos o diretor, o administrador, o membro do conselho ou órgão técnico, o auditor, o gerente e o funcionário ou representante da pessoa jurídica.
Nos termos literais deste preceito, os assessores técnicos, os auditores e os advogados das empresas podem responder criminalmente pelos danos ambientais causados, quando for comprovado que de qualquer forma eles poderiam ter evitado mas não o fizeram.
O Artigo 3 consagra a responsabilidade penal da pessoa jurídica, sem excluir a possível penalização das pessoas físicas que podem ser consideradas como autores ou co-autores desse fato prejudicial ao meio ambiente.
O artigo 4 permite de privar de efeitos qualquer artificio corporativo destinado a criar problemas formais ao total ressarcimento de danos. A transferência de bens para a pessoa jurídica que não tem condições de ressarcir os danos ambientais causados por essas atividades é um desses artifícios tidos em consideração pela lei.
A lei impõe a pessoas físicas sanções privativas de liberdade (prisão) bem como as sanções restritivas de direitos, permitindo expressamente que esses últimos substituíam os primeiros, desde que sejam satisfeitas as condições estabelecidas no artigo 7. A primeira suposição é que se trata de crime culposo ou cuja pena privativa de liberdade seja inferior a quatro anos. O segundo pressuposto, que ficará a critério do juiz, está relacionado com as condições subjetivas e as características do ato nocivo, o que indica que a substituição da pena de prisão para aquela restrita de direitos será suficiente para servir como uma reprovação e prevenção da criminalidade.
As penas restritivas de direitos são:
- a prestação de serviços à comunidade;
- a interdição temporária de direitos;
- a suspensão parcial ou total de atividades;
- prestações pecuniárias
- prisão domiciliar.
As penas aplicáveis especialmente às pessoas jurídicas, segundo o artigo 21, são a multa e a restrição de direitos.
Para as pessoas jurídicas, as penas restritivas de direitos consistem em:
- suspensão parcial ou total de atividades;
- interdição temporária do estabelecimento, operação ou atividade;
- proibição de contratar com o Poder Público, bem como a obtenção de subvenções ou doações do mesmo.
É expressamente previsto, e isso será muito importante para a defesa das pessoas jurídicas, que a suspensão das atividades seja aplicada quando não obedecerem às leis ou regulamentos relativos à proteção do ambiente, enquanto que a pena de interdição seja aplicada quando o estabelecimento funciona sem prévia autorização de instalação e de funcionamento previsto pela legislação ambiental ou em violação das licenças obtidas ou em violação de disposições legais ou regulamentares.
A ação penal, segundo o artigo 26, é pública e incondicional, o que significa que a sua instauração não depende da iniciativa do ofendido. A nova lei manteve, com algumas modificações, a previsão sistemática das leis dos Juizados Especiais (Lei nº 9099 de 26 de setembro de 1995), que permite a transação penal e a suspensão condicional do processo em duas condições básicas:
- que a pena de prisão prevista para o ato lesivo não exceda três anos;
- e que depois seja reparado os danos ambientais (artigos 27 e 28 da Lei nº 9605/98 e os artigos 76 e 89 da Lei n º 9099/95.
A nova lei reforça as sanções penais previstas no Código de Caça, de Pesca e no Código Florestal (Seção I e II). O texto prevê diversas formas de degradação ambiental causada por poluição, incluindo também os danos causados pela atividade de extração de minerais (Seção III).
Não é fora do alcance da lei irregularidades meramente administrativas (sem licença ambiental, por exemplo). A lei também prevê a aplicação de multas, entre um mínimo de R$ 500,00 até R$ 50 milhões.
Sanções administrativas
O Decreto n. 3179 de 21 de setembro de 1999, regulamentou a Lei n. 9605 de dezembro de 1998 e atualizou a lista de sansões administrativas aplicáveis aos atos lesivos ao meio ambiente.
Nos termos do artigo 2 do Decreto, as empresas que violam as previsões da lei podem ser punidas com as penalidades de:
- advertência;- multa simples ou diária, que podem variar de R$ 50,00 a R$ 50 milhões;
- apreensões, destruição, inutilizações ou suspensão das vendas dos produtos utilizados na infração;
- embargo;- suspensão ou demolição do trabalho ou atividades irregulares;
- reparação dos danos
As medidas restritivas da lei
As sanções restritivas de direito previstas são:
- a suspensão ou cancelamento do registro, licença, permissão ou autorização da sociedade irregular;- perda, restrição ou suspensão dos incentivos e benefícios fiscais e das linhas de crédito em estabelecimentos oficias de crédito;
- proibição de contratar com a Administração Pública pelo período de até três anos.
Apesar de o decreto incluir a reparação de danos como sanções administrativas, neste ponto, na verdade, não tem o caráter de penalidade administrativa. A obrigação de reparar constitui, na realidade, o efeito de responsabilidade civil prevista na Lei n. 6398/81.
As sanções administrativas previstas no Decreto n. 3179/99 podem ser complementadas pelo Ministério Público, visando a obtenção de uma indenização por danos causados ao meio ambiente e a responsabilidade criminal do infrator, nos termos da Lei n. 6938/81 e 9605/98.
Com a particularidade que as infrações administrativas e a responsabilidade criminal são regidas pela responsabilidade subjetiva, que depende da demonstração de culpa ou dolo da parte do transgressor, enquanto o dever de reparação dispensa a prova de culpa e depende exclusivamente da verificação de um nexo de causalidade entre a ação ou omissão do infrator e o dano causado (strict liability).
O Sistema Nacional do Meio Ambiente
Existe um sistema de órgãos federais destinados a dar cumprimento à legislação ambiental. O Sistema Nacional do Meio Ambiente (SISNAMA) inclui:
1. O Conselho Nacional do Meio Ambiente (CONAMA, órgão normativo, consultivo e deliberativo);2. O Ministério do Meio Ambiente (órgão central com poderes de coordenação, monitoramento e controle da Politica Nacional do Meio Ambiente);
3. O Instituto Brasileiro do Meio Ambiente e dos Recursos Naturais Renováveis (IBAMA, o órgão executivo).
Completam o SISNAMA outros órgãos da administração federal, fundações publicas voltadas a proteção do meio ambiente e entidades dos poderes executivos e municipais (secretarias estaduais e municipais do meio ambiente; órgãos ambientais CETESB/FEEMNCOPAM/IAP/CRA e outros), em suas respectivas jurisdições.
Sobre o Código Florestal mencionado acima, este foi introduzido em 1934 para frear o avanço da fronteira agrícola e o consequente desmatamento, e desde então tem sido alvo de ataques frequentes por parte dos ruralistas, que querem uma legislação ambiental menos “rígida”, capaz de “fechar um olho” para as necessidades da agricultura e do capital financeiro.
Embora até hoje o código não é sido sempre respeitado, porém há aplicação da reserva legal obrigatória, tornando-se um instrumento legal importante para proteger o patrimônio florestal e um alvo das associações ambientalistas e das comunidades rurais.
For Planet
Entre tantas associações ambientalistas que atuam no Brasil, há uma que chama-se ForPlanet. Esta associação desenvolve projetos para combater a contínua deterioração dos ecossistemas naturais e promove práticas e produtos que visam a um desenvolvimento sustentável da sociedade.
Entre os ecossistemas mais importantes e ameaçados, as florestas tropicais requerem uma ação imediata. Isso ocorre porque o desmatamento, bem como destruir habitats únicos e levar à extinção de muitas espécies, contribui para aumentar os níveis de CO2 (o principal gás responsável pelo efeito estufa), com emissões em 20% do total derivado das atividades humanas.

Como funciona a ForPlanet
A forPlanet, graças a parcerias com organizações ambientalistas e instituições nacionais einternacionais:1. identifica os projetos de conservação ambiental no mundo, vital para a sobrevivência de espécies em perigo ou ameaçadas de extinção, e implementa ações necessárias para a conservação das áreas onde vivem essas espécies;
2. atua como um nó no interno de uma rede cujos atores concordam com a importância depreservar e respeitar o nosso planeta. Coleta fundos necessários para apoiar os projetos de conservação ambiental identificado em vários países do mundo;
3. promove a divulgação de novos materiais ecológicos, os princípios do consumo sustentável e a oportunidade para a gestão empresarial respeitadoras do ambiente;
4. estimula o desenvolvimento do turismo sustentável e responsável nas zonas sob a sua proteção para a conservação e subsistência das populações locais;
5. promove a educação ambiental das populações locais que se beneficiam de projetos de conservação, envolvendo-os como parte parte ativa do projeto.

Golfinho rosa - Brasil – Projeto atual
É um Projeto que visa proteger os golfinhos cor-de-rosa que vivem em rios do território da Reserva Natural Xixuau Xiparina, no coração da floresta amazônica brasileira.
O golfinho rosa de água doce (Inia geoffrensis), conhecido também com o nome tradicional “boto”, é uma das espécies de maior interesse científico e naturalista presente na Amazônia e uma das mais ameaçadas de extinção a nível global.
Este é um dos maiores e ativos predadores dos rios da Bacia Amazônica e ocupaposição mais elevada na cadeia alimentar. A espécie se comporta como um regulador da população de peixes nos rios, mantendo-a saudável e em equilíbrio. Portanto, a presença dos Botos rosa nos rios indica um bom estado de conservação do habitat e a presença de estáveis e otimizadas características ambientais, atmosféricas e hidrológicas. Ao longo dos séculos, a espécie não foi vítima de perseguição pelo homem, graças à proliferação de crenças populares que atribuem a este animal poderes sobrenaturais.
Nas últimas décadas a consistência da população boto rosa é drasticamente reduzido devido à restrição progressiva do habitat natural das espécies. O Boto Rosa do rio amazônico é atualmente incluído na Lista Vermelha das espécies em alto risco de extinção.
Devemos lembrar que a Floresta Amazônica cobre 56,1% do território do Brasil. O riquíssimo patrimônio amazônico está gravemente ameaçado pela crescente exploração dos recursos determinado pelo processo de industrialização, que envolveu a construção de infra-estruturas variadas e hidráulicas, a fim de acelerar o estabelecimento de colonos e de grandes empresas, abertura de minas, exploração de madeira e a construção de grandes fazendas para criação de animais. Como resultado, cerca de 12% da floresta amazônica foi perdida.
Para limitar o desastre ambiental, nos últimos anos o governo brasileiro reduziu parcialmente os incentivos concedidos para o desenvolvimento industrial na bacia do rio Amazonas; por outro lado, as ajudas econômicas e políticas concedidas pela organização internacional ao país são sempre mais baseadas no respeito e proteção do ambiente.
84,32% da eletricidade produzida no país vem das usinas hidrelétricas, construídas através da criação de enormes represas e reservatórios ao longo dos rios da Amazônia, mas que alteraram radicalmente o equilíbrio ecológico.
Parceiro local: Associação Amazônia NGO Brasil / Associação Amazônia Onlus
A Associação Amazônia Onlus nasceu com o objetivo de preservar as florestas tropicais pluviais da bacia Amazônica que desde 1992 trabalha para melhorar as condições de vida da população local, através de propostas de desenvolvimento sustentável em que o crescimento econômico não implica a degradação ambiental.
Reserva Xixuaú-Xiparinã
Nasceu, assim, a reserva Xixuaú-Xiparinã:178 mil hectares de floresta primária, por vezes inexplorada, localizada no sul do estado de Roraima, a 500 km de Manaus.
A reserva é protegida e defendida pelos caboclos nativos, fundadores e membros ativos da Associação, que escolheram melhorar suas condições de vida sem destruir o rico, mas frágil ecossistema em que vivem. Por algum tempo os moradores da Reserva estão lutando para proteger o meio ambiente natural, proibindo o acesso aos navios de pesca comercial e dificultando as empresas de corte e transporte de madeira, para garantir a sobrevivência das populações do Boto Rosa.
A Associazione Amazonia Onlus tem realizado muitos projetos de desenvolvimento sustentável, que abrange a assistência sanitária, a educação escolar, a assistência alimentar e a conservação do ambiente, da biodiversidade e das espécies animais ameaçadas de extinção.
Ações necessárias:
- Formação de agentes ambientais
Para salvaguardar o boto rosa do Rio Amazonas, especialmente pelo alto risco de extinção, é necessário aumentar a fiscalização da reserva Xixuaú-Xiparinã ampliando a equipe de vigilância. Com um curso instituído pelo IBAMA (Instituto Brasileiro do Meio Ambiente e dos Recursos Naturais Renováveis: Instituto para a Gestão Ambiental do Governo Brasileiro), serão formados 3 novos tipos de agentes ambientais a fim de coletar e fornecer informações cientificas sobre o estado de saúde das espécies e denunciar qualquer tipo de crime cometido contra a população de botos rosa e seu habitat.
- Acompanhamento das espécies e proteção da terra
A nova equipe de vigilância, dotada de adequados instrumentos de pesquisa e análise científica, é encarregada de patrulhar toda a área, especialmente os setores do rio e as porções de floresta sujeitas a inundações periódicas, garantindo não só a monitorização periódica das espécies mas também uma fiscalização constante e eficaz de proteção do ecossistema florestal.
- Educação Ambiental
Para sensibilizar os moradores das comunidades fluviais sobre a importância da conservação do meio ambiente e das populações do Boto Rosa, serão organizados encontro específicos, debates e cursos avançados, ministrados por pessoas qualificadas.
- Renovação dos acordos de pescas
Nenhuma das ações anteriores pode realmente ser eficaz, sem a garantia das leis e normas em grau de proibir o acesso a barcos e pesca comerciais nos rios da Reserva. Por esse motivo é fundamental organizar encontros com as autoridades locais para obter a renovação dos acordos de pesca já em vigor desde 2006.

sabato 26 giugno 2010

Presentazione dizionario bilingue Cane/Italiano (Sonda Edizioni)

In questo inizio d’estate, noi che da tanti anni ci occupiamo di diritti degli animali ci stiamo prendendo alcune soddisfazioni.
Poche settimane fa è stata approvata una legge che, riformando il codice della strada, sanziona l’omissione di soccorso agli animali rimasti coinvolti in un incidente stradale. Prima li si poteva lasciare agonizzanti per strada, non c’era alcuna sanzione. Le guardie zoofile sono dotate di un riconoscimento istituzionale sempre maggiore, ed il nostro Ministro del Turismo sta promuovendo le strutture che consentono ai proprietari di animali di portarli in vacanza con loro e sta incentivando nel mondo l’immagine di una Italia “animal friendly”.
Io non penso che si tratti di una moda, come si ritiene a Teheran da parte di chi ha lanciato la fatwa contro i cani, che non si dovrebbero né tenere in casa e né portare a passeggio.
Credo, invece, che si stia cominciando a infrangere quel tabù che una cultura millenaria, stratificatasi ad opera del pensiero dominante della nostra storia filosofico - religiosa, ha radicato nelle nostre teste, e che ha voluto costruire una barriera tra noi e gli altri animali.
Non sono state sufficienti le teorie evoluzionistiche a squarciare questo velo di Maya. L’evoluzionismo ci ha insegnato non che l’uomo discende dagli animali, ed in particolare dalle scimmie, come sentiamo spesso ripetere, ma che l’uomo è un animale, appartiene alla stessa famiglia, che si è evoluta secondo percorsi differenziati, a seconda delle esigenze imposte dall’adattamento.La Chiesa, come al suo solito, ha a lungo negato la validità scientifica del principio evoluzionista, perché contrastava con quello creazionista, con la storia - cioè - di Adamo ed Eva. Tuttavia devo dire che anche negli ambienti ecclesiastici hanno cominciato a ritenere opportuno conciliare il creazionismo con l’evoluzionismo. Secondo una recente interpretazione della Genesi, Dio avrebbe creato l’uomo non all’istante, bensì mediante un progresso evoluzionistico dallo stesso voluto.
Ma rimane un problema, e cioè l’anima, di cui gli animali non sono dotati, mentre l’uomo sì. E allora il problema è il seguente: qual è il momento esatto in cui dalla scimmia senz’anima viene fuori l’uomo con tutti i crismi, anima compresa?
Io, personalmente, non sono ateo, e credo nell’esistenza dell’anima. Però penso che ce l’abbiano anche gli animali. Anzi, parafrasando un celebre aforisma di Schopenhauer, credo che l’anima può essere negata agli animali solo da parte di chi non ce l’ha.
L’aforisma originale dice: “L’intelligenza può essere negata agli animali solo da parte di chi ne ha poca”. Ed i cani hanno intelligenza da vendere, questo ci insegnano finalmente l’etologia e la zooantropologia.
Fino a non molti anni fa, in una società agricola, i cani erano tenuti tutta la vita alla catena con la funzione dell’allarme di casa, senza consentire alcun momento di passeggio e di contatto con quelli che nella casa ci abitavano.
Questo dizionario ci aiuta a capire quanta violenza sia indirizzata al cane attraverso questo comportamento. Non si tratta solo della solitudine di quegli animali (e oggi ancora tanti cani sono trattati in questo modo), così come ce la possiamo rappresentare noi umani. Nei cani l’esplorazione, soprattutto attraverso l’olfatto, è fondamentale per avere una vita gratificante. Ecco perché i cani che passano tutta la vita in un box o alla catena iniziano a porre in essere dei comportamenti definiti di autogrooming, e cioè di pulizia eccessiva del mantello, fino a provocarsi delle ferite da leccamento. La loro sofferenza è enorme, perché il cane ha bisogno di esplorare il mondo e sentirsi parte di una squadra, in ogni momento. Questa è la sua natura di essere socievole.
E bisogna dire che è un luogo comune quello di ritenere che il cane deve obbedire all’uomo, che riconosce come capobranco. Infatti, nella testa del cane non c’è il concetto di dominanza, che invece è tipicamente umano. Il ruolo del capobranco non è quello di dare ordine, ma di coordinare l’attività del gruppo con spirito di servizio. Magari avessero un briciolo di tale spirito molti degli uomini che ci governano! Pertanto, quando il cane obbedisce a quelli che noi riteniamo essere dei “comandi”, come quello di stare seduto, in realtà sta solo collaborando, non sta obbedendo.
Per converso, si possono creare dei problemi al cane anche attraverso quello che noi riterremmo essere comportamenti amorevoli, e invece per il cane sono fonte di fastidi o di veri e propri disturbi. Infatti spesso i cani che vivono dentro casa sono amorevolmente viziati dai padroni, che in questo modo però finiscono per far credere al cane che è lui ad avere il ruolo del caposquadra. Per esempio, se gliele facciamo vincere tutte, se lasciamo che sia lui a uscire dalla porta prima di noi e a guidarci durante la passeggiata, lui penserà di essere il capobranco. E per il cane questo ruolo non è che sia così gratificante, perché si sente in dovere di coordinare la vita del gruppo, e soffre se poi questa funzione, con altri atteggiamenti che per lui sono contraddittori, non gli viene riconosciuta.
Dunque siamo noi che dobbiamo imparare il linguaggio del cane, abituarci a lasciarlo annusare gli odori che trova lungo la passeggiata, e che costituiscono per lui il giornale del quartiere, dobbiamo abituarci a non tirare il guinzaglio quando incontra altri cani, ma a lasciarlo libero di interagire. Se lo rimproveriamo per una cosa sbagliata, e lui mostra segni di pacificazione, come abbassare le orecchie, non dobbiamo insistere con il tono di rimprovero, perché il cane a quel punto non ci capisce più niente. Peraltro per il cane la punizione peggiore è il nostro disinteresse. Se ha fatto una cosa sbagliata e subito dopo noi non gli diamo attenzione, è certo che non ripeterà quel comportamento. Perché nulla è più importante per il cane che interagire con noi. E da questo rapporto noi umani abbiamo da arricchirci tanto.
Il dizionario è completato da un’appendice normativa, anch’essa del tutto originale, perché è strutturata come un glossario, dalla A di addestramento e anagrafe canine fino alla V di viaggio con il cane, assolutamente attuale viste le iniziative del Ministro del Turismo Michele Brambilla a cui ho fatto sopra riferimento.
Ma io vorrei chiudere questo mio intervento proprio con le righe iniziali dell’introduzione di Marchesini, laddove si legge: “Facce della stessa medaglia poetica e unica ode alla vita, uomo e cane si sono plasmati vicendevolmente, l’uno ha domesticato l’altro”. Ebbene, sarà forse perché in questa frase vi sono le parole “ode” e “poetica”, ma è me è venuta subito in mente la poesia “Ode al cane” di Pablo Neruda. E poiché in questa meravigliosa poesia sono racchiusi magicamente tutti i concetti di cui andiamo parlando, ve la leggo volentieri:
Il cane mi domanda e non rispondo.
Salta, corre pei campi e mi domanda senza parlare
e i suoi occhi sono due richieste umide, due fiamme liquide che interrogano
e io non rispondo, non rispondo perché non so, non posso dir nulla.
In campo aperto andiamo uomo e cane.
Brillano le foglie come se qualcuno le avesse baciate a una a una,
sorgono dal suolo tutte le arance
a collocare piccoli planetari su alberi rotondi come la notte, e verdi,
e noi, uomo e cane, andiamo a fiutare il mondo,
a scuotere il trifoglio, nella campagna cilena, fra le limpide dita di settembre.
Il cane si ferma, insegue le api, salta l'acqua trepida,
ascolta lontanissimi latrati, orina sopra un sasso,
e mi porta la punta del suo muso, a me, come un regalo.
E' la sua freschezza affettuosa, la comunicazione del suo affetto,
e proprio lì mi chiese con i suoi due occhi, perchè e' giorno, perchè verrà la notte,
perchè la primaveranon portò nella sua canestra nulla per i cani randagi,
tranne inutili fiori, fiori, fiori e fiori.
E così m'interroga il cane e io non rispondo.
Andiamo uomo e cane uniti dal mattino verde,
dall'incitante solitudine vuota nella quale solo noi esistiamo,
questa unità fra cane con rugiada e il poeta del bosco,
perchè non esiste l'uccello nascosto, ne' il fiore segreto,
ma solo trilli e profumi per i due compagni:
un mondo inumidito dalle distillazioni della notte,
una galleria verde e poi un gran prato,
una raffica di vento aranciato,il sussurro delle radici,
la vita che procede, e l'antica amicizia,
la felicità d'essere cane e d'essere uomo trasformata in un solo animale
che cammina muovendo sei zampe
e una coda con rugiada.

lunedì 21 giugno 2010

Le macellazioni rituali - relazione tenuta al convegno del 20 giugno 2010 a Roma (sala Pintor - Redazione Carta)

Le macellazioni rituali sono pratiche che interessano in particolare la religione ebraica e islamica, e consistono nell’uccisione di un animale causata dal taglio della trachea e dell’esofago con l’utilizzo di una lama molto affilata e senza alcuna intaccatura nel rito ebraico o di uno strumento acuminato in quello islamico, al fine di assicurare una recisione netta ed immediata dei vasi sanguigni con un unico taglio.
Il punto focale, da sottolineare subito, è che l’animale sottoposto alle macellazioni rituali deve essere integro, e dunque, dopo essere stato immobilizzato, viene ucciso, come sopra detto, senza previo stordimento, mediante la recisione della trachea, dell’esofago e dei grandi vasi sanguigni del collo. Nei casi di macellazione non rituale, invece, l’animale viene immobilizzato meno rigidamente, stordito con un colpo di pistola a proiettile captivo che penetra nella corteccia cerebrale (se è un bovino) oppure con altri metodi che vedremo in seguito, e poi ucciso mediante recisione di almeno una delle due carotidi, o dei vasi sanguigni da cui esse dipartono. Per altre specie animali, come accennato, vengono usati altri metodi di stordimento, come l’elettronarcosi per volatili e suini. Tali tecniche di stordimento sono giudicate lesive dell’integrità dell’animale e pertanto sono respinte dalla comunità musulmana ed ebraica.
Nella religione ebraica le prescrizioni alimentari trovano il fondamento nella Torah (nella Genesi, nel Levitico e nel Deuteronomio), e sono note come prescrizioni sul cibo kasher. La frase “macellerai nel modo che ti ho comandato” (Deut. 12.21) indica una precisa normativa su come si macella, che risale dunque alle origini stesse dell’ebraismo.
Occorre sottolineare che, secondo un’interpretazione di alcuni brani della Bibbia (Genesi, 1.29, 9.4), l’umanità sarebbe stata inizialmente vegetariana, per diventare carnivora solo in un secondo momento, dopo aver ricevuto un’autorizzazione divina. Stando a questa interpretazione, che peraltro concorda con studi scientifici e antropologici circa l’iniziale dieta vegetariana dell’uomo, il cui apparato digerente è simile a quello degli erbivori, il mangiare carne costituisce la violazione di un ordine che può essere lecito solo a determinate condizioni. C’è dunque la consapevolezza di una violenza implicita nell’alimentazione carnivora, per cui l’uccisione di un animale viene vissuta con un senso di colpa. Lo stesso senso di colpa che si ritrova, a bene vedere, anche in epoca contemporanea, per esempio nelle pagine del romanzo “Il vecchio e il mare” di Hemingway, quando il pescatore protagonista del romanzo chiede perdono a Dio per la vita che aveva tolto a un bellissimo esemplare di pesce appena issato su dal mare. Lo studio delle religioni dimostra che questo senso di colpa è comune a molte culture. Lo stesso sacrificio, inizialmente, avrebbe questo senso di colpa come movente fondamentale, per cui l’offerta dell’animale alla divinità non era il fine ultimo dell’azione, ma il mezzo per consentire all’uomo di cibarsi della carne dell’animale sacrificato. Solo successivamente il sacrificio avrebbe acquistato il significato più ampio di espiazione da tutte le colpe commesse, e non solo quella relativa all’uccisione stessa dell’animale (si legga sul punto il contributo del Rav. Riccardo Di Segni, Macellazione Rituale, in Guida alle regole alimentari ebraiche a cura dell’Assemblea dei Rabbini d’Italia).
Il discorso che stiamo facendo riporta alla nostra attenzione un problema di importanza fondamentale, e cioè quello della stessa uccisione di un animale ai fini dell’alimentazione umana. L’uomo è ciò che mangia, diceva Feuerbach, e il mio pensiero, sul punto, è che quanto più una società progredisce, tanto più ci si rende conto che l’alimentazione carnivora comporta l’accettazione di una visione violenta della realtà, che invece un atteggiamento etico, verso cui l’uomo pure tende, porta gradualmente a superare.
A tali considerazioni occorre aggiungere che, mentre in un recente passato l’organizzazione agricola e rurale della società poteva giustificare ancora l’uccisione di animali a scopo alimentare, nell’attuale società industrializzata i procedimenti di uccisione degli animali hanno assunto caratteri di inaccettabile violenza. In una società come la nostra, in cui si è perso ogni contatto diretto con il mondo animale e la carne si compra in macelleria, l’uomo tende a non porsi alcun problema sulla vita dell’animale prima di essere macellato, e della tragedia che quotidianamente si consuma nei mattatoi. Le possibilità che ci vengono offerte di accrescere il nostro sapere, però, devono essere sfruttate per porci il problema sia della legittimità della stessa dieta carnivora (ma non è questa la sede per fare tali considerazioni) sia del trattamento migliore per gli animali che vanno incontro alla macellazione.
Nelle macellazioni rituali si avverte l’esigenza che l’uccisione dell’animale sia sacralizzata. Tale esigenza, per quanto ciò possa meravigliare, la si ritrova anche nell’etimologia del verbo “mactare” (da cui derivano le parole mattanza o mattatoio). Ed invero, il predetto termine latino deriva da “magis actus”, cioè rendere più grande, accrescere, sacralizzare (cfr. A. Di Nola, Antropologia religiosa, Vallecchi, Firenze 1974, pag. 210).
Da questo punto di vista, assume particolare importanza la prescrizione relativa alle particolari competenze che deve avere chi pone in essere la macellazione rituale.
Tale prescrizione la si ritrova anche nelle regole alimentari islamiche, secondo cui può macellare legalmente solo il musulmano dotato di discernimento e che non sia reo di colpe capitali, in quanto all’atto della macellazione è obbligatorio formulare l’intenzione ed invocare il nome di Dio, e ciò deve essere fatto in modo consapevole. Secondo le regole islamiche, si deve adoperare uno strumento di ferro ed acuminato, si deve orientare l’animale verso la quibla, e lo si deve adagiare sul fianco destro.
Le prescrizioni alimentari, nella religione islamica, trovano le loro fonti direttamente nel Corano (si tratta delle prescrizioni sul cibo halal, cioè consentito). Anche nelle previsioni islamiche, almeno nelle intenzioni si tende a evitare la sofferenza dell’animale, tanto che è vietato tagliare le parti del corpo dell’animale prima che muoia ed è vietato anche consentire che gli animali soffrano vedendo la macellazione degli altri animali.
Da questo punto di vista, sembrerebbero condivisibili le ragioni antiche della macellazione rituale. Quest’ultima, proprio per il fatto che sacralizza la procedura di uccisione dell’animale, come sopra detto, ne sottolinea la gravità: si sta dando la morte ad un essere vivente. Certo, anche per le macellazioni rituali l’industrializzazione ha probabilmente portato ad una graduale riduzione di questo originario significato, ma questa valenza etica va pur tenuta in considerazione.
Il problema è che queste regole sono state formate in periodi in cui le conoscenze tecniche erano ben diverse da quelle attuali, per cui le predette regole vanno riconsiderate alla luce degli attuali progressi tecnici, senza alterare il significato profondo delle macellazioni rituali.
Il cuore del problema delle macellazioni rituali è dato dalla dicotomia che si viene a creare tra la necessità di rispettare valori universali, qual è il diritto alla non sofferenza degli animali, che vale ad ogni latitudine, e l’attenzione per la specificità di ogni cultura, in particolare quella religiosa.
Oltre a tale problema, di tipo etico, vi è quello giuridico e politico della compatibilità delle macellazioni rituali con i principi della società italiana.
In particolare, il problema che deve essere analizzato è quello del rapporto tra la macellazione rituale e la libertà di pensiero e di religione. Le prescrizioni alimentari, sia ebraiche che islamiche, infatti, pur non consistendo in atti di culto, si risolvono comunque in pratiche di vita motivate da considerazioni religiose. In sostanza, se si dovesse negare il rispetto di queste prescrizioni religiose, ebrei e musulmani dovrebbero di fatto escludere la carne dal loro regime alimentare.
Diciamo subito che la libertà religiosa, quando si traduce in comportamenti esterni, deve rispettare alcuni limiti, ed in particolare quelli che riguardano la protezione dei diritti e delle libertà altrui, tra cui l’ordine pubblico, la salute e la morale pubblica.
Si tratta, sostanzialmente, di operare un bilanciamento tra la libertà religiosa (tutelata dall’art. 19 della Costituzione con il solo limite della tutela del buon costume, e dall’art. 9 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, con i predetti limiti dell’ordine pubblico, salute e morale pubblica) ed altri valori tutelati dal nostro ordinamento. Il benessere animale è senza dubbio oggetto di una sempre maggiore tutela nell’ordinamento italiano (basti pensare alla recente L. 189/04 sull’uccisione ed il maltrattamento di animali, che ha introdotto pesanti sanzioni di tipo detentivo per tali reati, ed ai progetti di legge finalizzati a conferire dignità costituzionale alla tutela dei diritti degli animali).
Gli studi scientifici propendono ad affermare che la macellazione preceduta dallo stordimento causa minore sofferenza all’animale rispetto a quella non preceduta dallo stordimento. Su tale presunzione si fonda la normativa italiana, che seguendo il modello indicato dalle direttive dell’Unione Europea, impone come regola generale quella dello stordimento, pur ammettendo alcune eccezioni, tra cui – per l’appunto – quella relativa alle macellazioni rituali.
E’ indubbio, inoltre, che l’immobilizzazione dell’animale destinato ad essere macellato senza previo stordimento richiede operazioni meccaniche più difficoltose e dunque più stressanti nell’animale, proprio nel momento che prelude la morte.
Allora, nell’operare il predetto bilanciamento tra rispetto per la libertà religiosa da un lato, e il rispetto per il benessere animale, io propendo per quest’ultimo, sulla scia di quanto affermato, seppure in modo blando, dal Comitato Nazionale di Bioetica su quest’argomento (ma anche nei casi di spettacoli ludici o sperimentazioni scientifiche), a meno che non si utilizzino tecniche che minimizzino la sofferenza animale. Si tratta, in sostanza, di individuare le tecniche che limitino la vigilanza dell’animale senza produrre quelle lesioni che ne riducano la integrità richiesta per le macellazioni rituali.
Le osservazioni svolte sulla macellazione rituale costituiscono l’occasione per effettuare una riflessione sull’intera legislazione riguardante l’allevamento degli animali destinati alla macellazione, che invero suscita perplessità, soprattutto nella fase dell’applicazione, in quanto gli animali sono sempre più inseriti in una filiera industrializzata, costituita dalla fase dell’allevamento, seguita dal trasporto sul luogo della macellazione ed infine dalla macellazione stessa, che spesso non presenta le condizioni richieste per poter parlare di rispetto dovuto agli animali.
In Europa, l’unico Paese in cui mi risulta essere vietata senza deroghe la macellazione rituale è la Svizzera. Anche in Svezia, però, mi risulta che non siano applicabili in nessun modo leggi in conflitto con quelle di protezione degli animali.
Alla protezione degli animali da macello è stata dedicata una convenzione europea, adottata dal Consiglio d’Europa a Strasburgo il 10 maggio 1979, che ha un ambito di applicazione più vasto della direttiva precedentemente emanata (la 74/577/Cee), in quanto si applica non solo a solipedi, ruminanti e suini, ma anche a conigli e pollame. La predetta convenzione ha confermato l’obbligo, già previsto dalla predetta direttiva comunitaria, di stordire gli animali prima della macellazione (art. 12), con la possibilità di deroghe proprio per le macellazioni secondo riti religiosi (art. 17 comma 1). Anche in tal caso, però, devono essere risparmiate agli animali le sofferenze evitabili (art. 17 comma 2).
Il rispetto delle esigenze religiose ebraiche ed islamiche in tema di macellazione rituale ha trovato il suo pieno riconoscimento in Italia con il Decreto Ministeriale 11 giugno 1980. Per quanto riguarda le comunità ebraiche italiane, poi, vi è stata una successiva intesa (del 27 febbraio 1987) la quale è stata allegata alla L. 101/89 che ha regolato i rapporti tra lo Stato e l’Unione delle comunità ebraiche italiane, e che ha conferito garanzia pattizia al predetto decreto ministeriale, per cui l’Italia potrebbe cambiare le norme sulla macellazione rituale solo d’intesa con l’Unione stessa.
Anche le esigenze religiose islamiche appaiono soddisfatte dal detto decreto ministeriale, visto che non sono mai state avanzate richieste di modifica del decreto da parte delle organizzazioni islamiche.
Successivamente è intervenuta la Direttiva del Consiglio delle Comunità Europee 93/119/Ce del 22 dicembre 1993, relativa proprio alla protezione degli animali durante la macellazione o l’abbattimento in modo da adeguare lo standard di tutela comunitario a quello della predetta Convenzione di Strasburgo del 10 maggio 1979, con conseguente abrogazione della direttiva 74/577/Ce. L’Italia si è adeguata alla direttiva con il D. Lgs. 333/98.
Attualmente, il D. Lgs. 333798 definisce lo stordimento come “qualsiasi procedimento che, praticato sugli animali, determina rapidamente uno stato di incoscienza protraentesi fino a quando intervenga la morte”, e sono state introdotte le definizioni di macellazione (“l’uccisione di un animale mediante dissanguamento”) e “abbattimento” (“qualsiasi procedimento che produca la morte dell’animale”).
Il predetto decreto legislativo elenca, per tutte le specie animali sottoposte a macellazione, i metodi di stordimento consentiti. Essi sono: 1) la pistola a proiettile captivo; 2) la commozione cerebrale; 3) l’elettronarcosi; 4) l’esposizione al biossido di carbonio. I metodi di abbattimento elencati sono: 1) la pistola o il fucile a proiettile libero; 2) l’elettrocuzione; 3) l’esposizione al biossido di carbonio. I predetti metodi di abbattimento possono essere utilizzati solo su autorizzazione dell’autorità competente.
Facendo una schematizzazione per le varie specie di animali, possiamo dire che in Italia i sistemi di stordimento, macellazione e abbattimento sono i seguenti:
1) per i volatili, si usa generalmente lo stordimento elettrico con bagno d’acqua, seguito da recisione dei vasi del collo (giugulazione);
2) per i conigli si utilizza la commozione cerebrale mediante percussione del cranio o elettronarcosi seguiti in ogni caso da giugulazione;
3) per i bovini e gli equini si utilizza generalmente lo stordimento mediante pistola a carattere captivo, seguito da giugulazione;
4) per i suini, gli ovini e i caprini, si utilizza generalmente l’elettronarcosi manuale (con le pinze), seguita da giugulazione.
Il D. Lgs 333/98 ha preso in considerazione anche le macellazioni secondo i riti religiosi, disponendo che siano sottoposte al controllo dell’autorità religiosa per conto della quale le macellazioni sono effettuate, la quale opera a sua volta sotto la responsabilità del veterinario ufficiale della competente unità sanitaria locale (art. 2, comma 1, lett. h).
E’ espressamente previsto, inoltre, che le disposizioni relative allo stordimento non si applicano alle macellazioni che avvengono secondo riti religiosi (art. 5 comma2). Occorre sottolineare, però, che questa non è l’unica eccezione. Infatti l’art. 9 stabilisce l’obbligo del previo stordimento alle macellazioni a domicilio da parte di privati per consumo familiare, ma solo per gli animali della specie ovina, suina e caprina, e non invece per i volatili da cortile e per i conigli.
La concessione della deroga senza preventivo nulla osta veterinario, per la macellazione effettuata per cosiddetto consumo familiare (ad esclusione dei bovini che non possono mai essere macellati fuori dagli impianti autorizzati) fa sì che il primo settore di “non stordimento” di animali macellati è quello familiare, maggiore in termini quantitativi di quello religioso. Quest’ultimo, però aumenta con l’aumentare della comunità islamica in Italia (mentre quella ebraica è sostanzialmente stabile). E questo è sicuramente un altro problema da affrontare, ma che esula dall’argomento di cui ci stiamo occupando.
E’ importante sottolineare che le macellazioni rituali sono dunque ammesse, ora, direttamente da una fonte normativa primaria (il predetto D. Lgs. 333/98), e non più da un atto amministrativo, quale era il decreto ministeriale dell’11 giugno 1980. Certo, il tutto sarebbe dovuto avvenire previa intesa con l’Unione delle comunità ebraiche, tenuto conto dell’intesa del 1987 cui si è fatto sopra riferimento. Tuttavia non risulta essere stata avanzata alcuna doglianza da parte ebraica.
Il D. Lgs. 333/98, è bene ripeterlo, impone però l’obbligo di risparmiare anche agli animali sottoposti alla macellazione rituale i dolori evitabili. E l’attuale proposta di legge, finalizzata a modificare il predetto decreto legislativo in modo da impedire le macellazioni rituali, si propone di eliminare l’aggettivo “evitabili”: all’animale sottoposto alla macellazione va risparmiato qualsiasi tipo di dolore. Per questo si propone di utilizzare, per lo stordimento, solo i metodi più indolori, e cioè la pistola a proiettile captivo e il biossido di carbonio, eliminando l’elettronarcosi.
Anche da parte di alcuni esperti ebrei è stata sostenuta la necessità di costruire apparecchiature speciali per bloccare l’animale in preparazione alla schechitàh (macellazione rituale), al fine di non infliggere all’animale sofferenze evitabili. Tali apparecchiature, però, per quanto ho avuto modo di apprendere, non sono presenti in tutti i mattatoi. Peraltro autorevoli fonti, tra cui la Federazione dei Veterinari Europei contestano la dura e improvvisa manipolazione che l’animale subisce prima della giugulazione. Quindi è certamente necessario fare dei passi in avanti per risolvere il problema di cui stiamo parlando.
Ci sono segnali che vengono dal mondo in tal senso. Da quello che mi risulta, la Malesia, Paese a maggioranza islamica, ha reso obbligatorio lo stordimento. E al macello di Bolzano mi risulta sia praticato lo stordimento di ovini e caprini per la comunità islamica, stante l’obiezione di coscienza del personale veterinario, fatto salvo il diritto di preghiera e rito verbale
Colgo l’occasione per fare un’ultima considerazione, riprendendo un’osservazione fatta dal Dott. Riccardo Di Segni, che ho già citato, secondo cui l’argomento delle macellazioni rituali denota grandi punti di contatto tra la cultura ebraica e quella islamica, che si trovano tuttora ad essere fortemente contrapposte a causa di estremismi che rendono difficile il compito di valorizzare i punti comuni tra queste religioni. Occasioni come quella che ci viene data da questo convegno sono utili per intensificare sforzi di convergenza anche verso le istanze che vengono dai paesi europei su temi significativi, tra cui, per l’appunto, quello delle macellazioni rituali.