venerdì 23 ottobre 2009

Presentazione "L'avvocato degli animali", Libreria de Lollis (Chieti) 18 giugno 2009

Io vorrei ricollegarmi all’intervento del Professor Pocar, che ringrazio di cuore, così come ringrazio la professoressa Pia Lucidi e gli altri relatori che oggi pomeriggio mi hanno onorato della loro presenza.
Io mi sono permesso di citare il professore Pocar nella prefazione di questo libricino, che raccoglie una serie di risposte fornite, come ormai sapete, ai lettori del sito zampette.it.
In particolare ho citato una frase che gli avevo sentito pronunciare di persona, in occasione della presentazione del suo libro “Gli animali non umani” in una libreria di Pescara, qualche hanno fa. La frase è: “i diritti di chi deve attendere, per sentirseli riconosciuti, non sono tali”, ed in tale frase possono essere riassunte le motivazioni del lavoro che noi stiamo compiendo, lavoro che qualche amico su facebook ha, ancora oggi, dovuto definire “coraggioso”.
Il coraggio che si deve mettere in questo lavoro è il rischio, più che concreto, dell’impopolarità. In un contesto sociale in cui quello che si deve dire è funzionale al gradimento che ne deve conseguire, parlare di diritti degli animali significa, ancora oggi, esporsi alla berlina. Alla berlina di chi, innanzi tutto, ci ricorda che ci sono problemi molto più importanti nel mondo: la fame, la povertà, le malattie mortali. Le catastrofi, come il terremoto che ci ha recentemente colpiti. Che senso ha stare qui a parlare del diritto di un cane a poter vivere una vita dignitosa, di fronte alla gravità di questi problemi?
Ebbene, il senso ci sta tutto. E, se mi è consentito dirlo, è il senso stesso che permea tutto lo sforzo di progresso nella storia dell’umanità.
Il progresso è un concetto che implica un avanzamento. E ogni passo in avanti che viene fatto è sempre, in primis, di tipo culturale. Poi seguono gli effetti sociali, economici, giuridici.
La battaglia culturale che abbiamo scelto di condurre, la battaglia impopolare di cui parlavo, è finalizzata a infrangere un tabù che una cultura millenaria, stratificatasi ad opera del pensiero dominante della nostra storia filosofico - religiosa, ha radicato nelle nostre teste.
Fateci caso: se io vi vengo a dire che siete degli animali, io vi sto praticamente offendendo. Il termine animale, rivolto all’uomo, suona in effetti come un offesa. Perché in tutte le nostre menti c’è una linea di demarcazione ben definita tra l’uomo e l’animale.
Se non vi dico in modo così brutale che siete degli animali, per non risultare offensivo, ma vi dico che della grande famiglia degli animali, di cui fanno parte i leoni, i cani, i gatti, fa parte anche l’uomo, allora non vi sto offendendo, ma sono io ad essere un po’ suonato. Sono uno che evidentemente non ama gli uomini, che li parifica agli animali, che non ha studiato o non ricorda la storia dell’arte, l’umanesimo ed il rinascimento.
Eppure noi abbiamo il dovere, innanzi tutto scientifico, di diffondere questa banale verità. Lo dobbiamo a Darwin, di cui quest’anno ricorre il bicentenario della nascita. Ci sono convegni, festeggiamenti e celebrazioni ovunque per ricordare questa ricorrenza, e ci dimentichiamo, perché le nostre menti sono offuscate da quella stratificata cultura millenaria di cui parlavo prima, ciò che ci ha insegnato l’evoluzionismo: e cioè che l’uomo non discende dagli animali, ed in particolare dalle scimmie, come sentiamo spesso ripetere. No. L’uomo è un animale, appartiene alla stessa famiglia, che si è evoluta secondo percorsi differenziati, a seconda delle esigenze imposte dall’adattamento.
La Chiesa, come al suo solito, ha a lungo negato la validità scientifica del principio evoluzionista, perché contrastava con quello creazionista, con la storiella - cioè - di Adamo ed Eva. Poi, visto che si stanno stancando pure i teorici del cattolicesimo di negare l’evidenza (evidenza che consiste nelle conferme scientifiche che sono via via arrivate alla teoria evoluzionista), hanno cominciato a fare un lavoro, tuttora in corso, per conciliare il creazionismo con l’evoluzionismo. Ci stanno lavorando, e non ancora hanno messo bene a punto la nuova versione della storiella, ma il succo è che Dio avrebbe creato l’uomo non all’istante, bensì mediante un progresso evoluzionistico dallo stesso voluto.
Ma il problema di fondo rimane, ed è il seguente: qual è il momento esatto in cui dalla scimmia viene fuori l’uomo, quand’è che dalla crisalide si libera la farfalla? Ovviamente stiamo parlando di aria fritta, ma il problema, per la Chiesa, ha rilevanza, eccome, perché gli animali non hanno l’anima, ma l’uomo sì. E allora quale è stata l’ultima scimmia senza anima a trasformarsi nell’uomo con tutti i crismi, anima compresa?
Aria fritta, dicevo. Basta toglierci gli occhiali che ci hanno messo due millenni di Aristotele e Chiesa cattolica, e vedere le cose come stanno.
Ed allora, battersi per i diritti degli animali significa, semplicemente, combattere la causa dei nostri simili che sono portatori di diritti, come quello ad una vita dignitosa, ma che vengono collocati per ultimi nella lista delle cose a cui pensare. Questa è, dunque, la battaglia per gli ultimi, per i diversi, ed è la più rivoluzionaria battaglia del nostro millennio.
Ho già avuto modo di accennare, nella prima presentazione di questo libro, a questo tema. I valori fondanti dell’epoca moderna, quelli di libertà, di uguaglianza e fraternità sono quelli che hanno tracciato la strada per includere coloro che venivano visti come diversi nell’elenco dei nostri simili bisognosi di aiuto: gli schiavi, le donne, i neri. Anche loro, con delle lenti deformate, venivano visti come appartenenti ad una sorta di specie diversa, e chi duecento anni fa diceva che i bianchi e i neri erano uguali non era un progressista, un antirazzista, ma era uno “suonato”, da mandare al manicomio, tanto quanto come lo siamo noi oggi.
Noi siamo i sostenitori di questa battaglia culturale, in difesa degli ultimi. Di coloro che oggi sono macellati nei campi di concentramento degli animali destinati ad uso allevamento o pelletteria, di coloro che sono utilizzati a milioni nei laboratori per test di nessuna rilevanza scientifica.
Chi dice che ci sono altri problemi nei mondo ha ragione, ma sbaglia nel dire che bisogna occuparsi prima di quei problemi. Vanno affrontati tutti, da subito, perché, per l’appunto, “i diritti di chi deve attendere per sentirseli riconoscere non sono tali”. E, in occasione del terremoto, accanto agli aiuti prestati agli uomini, sono stati soccorsi anche gli animali. Sono stati estratti dalle macerie con infinita gioia dei proprietari (meglio chiamarli “tutori”), e sono state organizzate dalle associazioni protezioniste raccolte di alimenti anche per loro. Perché altrimenti sarebbero morti di fame, e non potevano attendere per sentirsi riconoscere il loro diritto a nutrirsi. In quella situazione di emergenza, in cui tra l’altro i cani che hanno aiutato i soccorritori nelle ricerche hanno fatto dimenticare i cani assassini di Ragusa, si è visto che c’è bisogno anche degli operatori per gli animali, oltre a quelli che si stanno occupando di fornire assistenza agli uomini.
Occuparsi degli ultimi, questo è il senso della nostra battaglia, che è riduttivo etichettare come animalista. Poichè si tratta, in realtà, di una umanissima battaglia di civiltà.

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