venerdì 23 ottobre 2009

Premio San Francesco - Genova, 3 ottobre 2009

Ringrazio di cuore la Lega Nazionale per la Difesa del Cane per questo premio, ed anche l’Istituto Nazionale di Bioetica, ed in particolar modo la professoressa Luisella Battaglia, per l’ospitalità in questa bellissima città.
Per me è un grande privilegio ricevere un premio intitolato ad un santo, San Francesco, le cui predicazioni tanto hanno influito sul mio modo di vedere le cose. Ed invero, ho frequentato le scuole elementari in un istituto francescano, ed ogni anno la gita scolastica era ad Assisi, anche se cercavano di camuffare questa ripetitività, inserendo ogni volta una meta ulteriore, come le cascate delle Marmore, Gubbio, ecc.
Ma in questo modo ho imparato ad apprezzare gli insegnamenti di questo Santo che oggi ricordiamo come il protettore degli animali.
San Francesco e il lupo, San Francesco ed il fratello sole, la sorella luna, i fratelli animali. San Francesco è il santo che riconcilia il pensiero cosiddetto animalista con quello cristiano. Ed è un vero peccato che nella storia terrena della Chiesa così poche siano state le figure che hanno insegnato ad amare la natura e gli animali, perché sono convinto che, in realtà, il pensiero cristiano è permeato da questo amore per tutti, non solo per gli uomini.
Spesso sento dire che gli animali non sono ricompresi all’interno della cultura religiosa occidentale, specialmente quella cristiana, caratterizzata da un forte antropocentrismo. Sento dire, ad esempio, che il precetto di rispettare gli animali non è ricompreso nei dieci comandamenti.
Io, se devo dire la verità, non sono d’accordo. Io credo che il cristianesimo, come in ultima analisi tutte le religioni del mondo, tenda all’affermazione di un approccio non violento alla vita terrena.
La non violenza non è la mera astensione dall’uso della forza bruta, ma è un modo di vivere cercando di sottrarsi a quella legge naturale che ci porta istintivamente alla nostra affermazione sul prosssimo La natura è nostra madre, ma anche nostra matrigna, diceva Leopardi. Per quanto possiamo sforzarci, non possiamo sottratrci dal sottostare ad una legge di violenza. Lo stesso atto di respirare comporta, ad ogni istante, l’uccisione di milioni di batteri. Perché questa è la legge di natura, che non è né buona né cattiva, ma è quella che è. Ed il nostro spirito, che è irretito (per usare una espressione cara a Schopenauer) in questa dimensione corporale e terrena, nel seguire le proprie leggi non può far altro che tentare di superare le norme che la nostra stessa natura ci impone. Questa è la non violenza.
Si tratta, in fin dei conti, della stessa legge che porta Cristo a chiederci di porgere l’altra guancia quando qualcuno ci schiaffeggia. Il porgere l’altra guancia costituisce una risposta sublime ad un atto di violenza, che va contro la più basilare legge di natura che ci porta all’autoconservazione. Amare gli altri come noi stessi, ecco il fondamento del precetto cristiano. Dove gli altri non sono solo gli uomini, ma sono tutti gli esseri viventi. Certo, è facile a dirsi, ma difficile a realizzarsi. E mi risuonano nelle orecchie le parole di una canzone di Paolo Conte, Luxury Bond, dove dice: “Nobody loves me as I love myself”, nessuno mi ama come mi amo io. Perché è la natura stessa che ci porta a questa autoaffermazione.
In ultima analisi, la legge cristiana è una legge di non violenza, che è contenuta già, nel modo più lapidario possibile, nel quinto comandamento: non uccidere. Un comandamento che è stato tramandato nella tradizione cristiana e ci è stato insegnato nel senso di: “non uccidere gli altri uomini”. Ma mi pare che il contenuto del precetto sia un po’ più esteso, non vi pare?
Sarà che sono un avvocato, e ho studiato il principio di “sufficiente determinatezza della fattispecie penale”, per cui si può essere puniti solo se la norma incriminatrice è sufficentemente chiara e determinata, ma mi pare che, anche agli occhi di chi non conosce questo principio penalistico, il quinto comandamento introduce una norma di portata enorme: non uccidere. Non uccidere gli uomini, non uccidere gli animali, non uccidere ciò che vive. Questo, con ogni evidenza, dice la norma. Altro che agnello pasquale. Non uccidere. Cercare di seguire, con i limiti che ci sono dati dalle esigenze di autoconservazione, questo principio, vuole dire vivere secondo le leggi della non violenza e dell’amore. E San Francesco è il santo che più di tutti ci ha trasmesso questo meraviglioso insegnamento.

Presentazione "L'avvocato degli animali", Libreria de Lollis (Chieti) 18 giugno 2009

Io vorrei ricollegarmi all’intervento del Professor Pocar, che ringrazio di cuore, così come ringrazio la professoressa Pia Lucidi e gli altri relatori che oggi pomeriggio mi hanno onorato della loro presenza.
Io mi sono permesso di citare il professore Pocar nella prefazione di questo libricino, che raccoglie una serie di risposte fornite, come ormai sapete, ai lettori del sito zampette.it.
In particolare ho citato una frase che gli avevo sentito pronunciare di persona, in occasione della presentazione del suo libro “Gli animali non umani” in una libreria di Pescara, qualche hanno fa. La frase è: “i diritti di chi deve attendere, per sentirseli riconosciuti, non sono tali”, ed in tale frase possono essere riassunte le motivazioni del lavoro che noi stiamo compiendo, lavoro che qualche amico su facebook ha, ancora oggi, dovuto definire “coraggioso”.
Il coraggio che si deve mettere in questo lavoro è il rischio, più che concreto, dell’impopolarità. In un contesto sociale in cui quello che si deve dire è funzionale al gradimento che ne deve conseguire, parlare di diritti degli animali significa, ancora oggi, esporsi alla berlina. Alla berlina di chi, innanzi tutto, ci ricorda che ci sono problemi molto più importanti nel mondo: la fame, la povertà, le malattie mortali. Le catastrofi, come il terremoto che ci ha recentemente colpiti. Che senso ha stare qui a parlare del diritto di un cane a poter vivere una vita dignitosa, di fronte alla gravità di questi problemi?
Ebbene, il senso ci sta tutto. E, se mi è consentito dirlo, è il senso stesso che permea tutto lo sforzo di progresso nella storia dell’umanità.
Il progresso è un concetto che implica un avanzamento. E ogni passo in avanti che viene fatto è sempre, in primis, di tipo culturale. Poi seguono gli effetti sociali, economici, giuridici.
La battaglia culturale che abbiamo scelto di condurre, la battaglia impopolare di cui parlavo, è finalizzata a infrangere un tabù che una cultura millenaria, stratificatasi ad opera del pensiero dominante della nostra storia filosofico - religiosa, ha radicato nelle nostre teste.
Fateci caso: se io vi vengo a dire che siete degli animali, io vi sto praticamente offendendo. Il termine animale, rivolto all’uomo, suona in effetti come un offesa. Perché in tutte le nostre menti c’è una linea di demarcazione ben definita tra l’uomo e l’animale.
Se non vi dico in modo così brutale che siete degli animali, per non risultare offensivo, ma vi dico che della grande famiglia degli animali, di cui fanno parte i leoni, i cani, i gatti, fa parte anche l’uomo, allora non vi sto offendendo, ma sono io ad essere un po’ suonato. Sono uno che evidentemente non ama gli uomini, che li parifica agli animali, che non ha studiato o non ricorda la storia dell’arte, l’umanesimo ed il rinascimento.
Eppure noi abbiamo il dovere, innanzi tutto scientifico, di diffondere questa banale verità. Lo dobbiamo a Darwin, di cui quest’anno ricorre il bicentenario della nascita. Ci sono convegni, festeggiamenti e celebrazioni ovunque per ricordare questa ricorrenza, e ci dimentichiamo, perché le nostre menti sono offuscate da quella stratificata cultura millenaria di cui parlavo prima, ciò che ci ha insegnato l’evoluzionismo: e cioè che l’uomo non discende dagli animali, ed in particolare dalle scimmie, come sentiamo spesso ripetere. No. L’uomo è un animale, appartiene alla stessa famiglia, che si è evoluta secondo percorsi differenziati, a seconda delle esigenze imposte dall’adattamento.
La Chiesa, come al suo solito, ha a lungo negato la validità scientifica del principio evoluzionista, perché contrastava con quello creazionista, con la storiella - cioè - di Adamo ed Eva. Poi, visto che si stanno stancando pure i teorici del cattolicesimo di negare l’evidenza (evidenza che consiste nelle conferme scientifiche che sono via via arrivate alla teoria evoluzionista), hanno cominciato a fare un lavoro, tuttora in corso, per conciliare il creazionismo con l’evoluzionismo. Ci stanno lavorando, e non ancora hanno messo bene a punto la nuova versione della storiella, ma il succo è che Dio avrebbe creato l’uomo non all’istante, bensì mediante un progresso evoluzionistico dallo stesso voluto.
Ma il problema di fondo rimane, ed è il seguente: qual è il momento esatto in cui dalla scimmia viene fuori l’uomo, quand’è che dalla crisalide si libera la farfalla? Ovviamente stiamo parlando di aria fritta, ma il problema, per la Chiesa, ha rilevanza, eccome, perché gli animali non hanno l’anima, ma l’uomo sì. E allora quale è stata l’ultima scimmia senza anima a trasformarsi nell’uomo con tutti i crismi, anima compresa?
Aria fritta, dicevo. Basta toglierci gli occhiali che ci hanno messo due millenni di Aristotele e Chiesa cattolica, e vedere le cose come stanno.
Ed allora, battersi per i diritti degli animali significa, semplicemente, combattere la causa dei nostri simili che sono portatori di diritti, come quello ad una vita dignitosa, ma che vengono collocati per ultimi nella lista delle cose a cui pensare. Questa è, dunque, la battaglia per gli ultimi, per i diversi, ed è la più rivoluzionaria battaglia del nostro millennio.
Ho già avuto modo di accennare, nella prima presentazione di questo libro, a questo tema. I valori fondanti dell’epoca moderna, quelli di libertà, di uguaglianza e fraternità sono quelli che hanno tracciato la strada per includere coloro che venivano visti come diversi nell’elenco dei nostri simili bisognosi di aiuto: gli schiavi, le donne, i neri. Anche loro, con delle lenti deformate, venivano visti come appartenenti ad una sorta di specie diversa, e chi duecento anni fa diceva che i bianchi e i neri erano uguali non era un progressista, un antirazzista, ma era uno “suonato”, da mandare al manicomio, tanto quanto come lo siamo noi oggi.
Noi siamo i sostenitori di questa battaglia culturale, in difesa degli ultimi. Di coloro che oggi sono macellati nei campi di concentramento degli animali destinati ad uso allevamento o pelletteria, di coloro che sono utilizzati a milioni nei laboratori per test di nessuna rilevanza scientifica.
Chi dice che ci sono altri problemi nei mondo ha ragione, ma sbaglia nel dire che bisogna occuparsi prima di quei problemi. Vanno affrontati tutti, da subito, perché, per l’appunto, “i diritti di chi deve attendere per sentirseli riconoscere non sono tali”. E, in occasione del terremoto, accanto agli aiuti prestati agli uomini, sono stati soccorsi anche gli animali. Sono stati estratti dalle macerie con infinita gioia dei proprietari (meglio chiamarli “tutori”), e sono state organizzate dalle associazioni protezioniste raccolte di alimenti anche per loro. Perché altrimenti sarebbero morti di fame, e non potevano attendere per sentirsi riconoscere il loro diritto a nutrirsi. In quella situazione di emergenza, in cui tra l’altro i cani che hanno aiutato i soccorritori nelle ricerche hanno fatto dimenticare i cani assassini di Ragusa, si è visto che c’è bisogno anche degli operatori per gli animali, oltre a quelli che si stanno occupando di fornire assistenza agli uomini.
Occuparsi degli ultimi, questo è il senso della nostra battaglia, che è riduttivo etichettare come animalista. Poichè si tratta, in realtà, di una umanissima battaglia di civiltà.

Dalla parte delle foche - Università della libera età di Francavilla al Mare - giugno 2005

Desidero ringraziare il professor Pasqualone, che mi ha voluto offrire la possibilità di fare questo incontro qui, all'Università della Libera Età.
L'argomento che è stato assegnato a me e a Moreno Bernini, quali componenti del Centro di Educazione Ambientale "Buendia", è molto ampio, ed è legato alle tematiche della tutela dell'ambiente.
Tanti sono quindi gli argomenti di cui si potrebbe parlare. Io in particolare mi sono sempre interessato più specificamente della tutela degli animali, ma anche se ci si volesse occupare solo di questa tematica, tante sarebbero le cose interessanti da prendere in esame.
Prediamo, ad esempio, le ultime riforme in tema di maltrattamento di animali. Sapete tutti, perché ne ha parlato molto la stampa la scorsa estate, che è entrata in vigore in Italia una legge, la n. 189/04, che, recependo le istanze di molte associazioni animaliste, ha riformato la normativa in tema di maltrattamento di animali, prevedendo delle pene molto più severe di quelle previste in precedenza.
Fino a poco prima dell'entrata in vigore di tale legge, si poteva prendere un cane per strada e ridurlo in pezzetti, e la cosa più grave che ti poteva capitare era una multa. Ora sono previste pene detentive per i casi di maltrattamento, e per tante altre condotte illecite, dallo sfruttamento dei cani per i combattimenti, all'abbandono dei cani, fenomeno purtroppo ancora tristemente diffuso, soprattutto nel periodo estivo, prima di partire per le vacanze.
Ovviamente le pene detentive previste sono molto basse, per cui la tutela è ancora insufficiente, ma già un enorme passo in avanti è stato fatto.
Un'altra cosa interessante di cui avrei potuto paralre sarebbe stata la presentazione di un testo di legge, che avverrà nei prossimi giorni ad opera del Consigliere Regionale dei Verdi Walter Caporale, con il quale ci si propone di apportare delle importanti modifiche alla legge regionale n. 86/99 in materia di randagismo e di protezione degli animali. La nuova legge regionale da approvare prevede, oltre alla regolamentazione più attenta dei canili, il divieto di utilizzare animali negli spettacoli circensi, nelle sagre e nelle faste di paese, di utilizzare gli animali come premi di lotterie o altri giochi. Questa legge prevede anche che siano riservati dei percorsi nei parchi per i cani, che si istituiscano delle pensioni per cani, che sia possibile l'accesso dei cani anche negli esercizi pubblici e sui mezzi pubblici, con le opportune cautele, e tutto questo a testimonianza della sempre maggiore attenzione e sensibilità dell'uomo per il mondo degli animali.
Ma c'è una cosa più importante di cui vi debbo parlare, che prevale per il momento su tutte le altre, perché è una emergenza, e ci riguarda da vicino, da molto vicino, anche se potrebbe non sembrare, e mi riferisco al massacro delle foche che si sta operando in alcuni Paesi, soprattutto in Canada.
E' dal 29 marzo, infatti, che si è riaperta la caccia alle foche in Canada, e noi italiani siamo tra i principali responsabili di questo massacro, visto che le pelli delle foche vengono esportate principalmente nei paesi occidentali e, tra questi, soprattutto in Italia.
Dico che è una emergenza perché, in questo caso, non si tratta di essere contrari o meno alla caccia in generale. Il problema di fondo non è caccia sì, o caccia no, perché quello che succede in Canada è qualcosa che è in ogni caso in accettabile, pure per quelli che in Italia si dichiarano favorevoli alla caccia.
E questo per lo meno per tre motivi.
Innanzi tutto, ad essere uccisi sono i cuccioli di foca, che hanno il pelo bianco e morbido che viene richiesto dalle industrie della moda. Infatti c'è da sapere che la foca, intorno al dodicesimo giorno di vita, già comincia a mutare il colore del pelo, che da bianco diventa argentato, fino a diventare grigio nel periodo di maturità sessuale della foca (che è intorno ai quattro anni). Da uno studio fatto nel 2003 è risultato che il 97% delle foche uccise in Canada erano dei cuccioli tra i 12 giorni e le 12 settimane di vita. E pensate che la vita media di una foca è di trenta anni.
In secondo luogo, i metodi di caccia sono di una crudeltà e di una barbarie indicibili, perché i cuccioli di foca vengono uccisi a martellate sulla testa. Successivamente queste foche vengono scuoiate, ma attenzione, perché nella maggior parte dei casi le bastonate non provocano la morte immediata delle foche. La legge prevede che i cacciatori dovrebbero procedere ad effettuare il test dei riflessi condizionati, ma nessun cacciatore ci perde tempo, e quasi tutte le foche vengono scuoiate vive.
In terzo luogo, tutta questa barbarie non serve a soddisfare esigenze di vita primarie, come l'alimentazione. Gli animali uccisi non sono destinati al consumo alimentare delle popolazioni indigene. Dalle foche vengono prelevati il manto ed il grasso che serve a proteggerle dal freddo, e questi prodotti vengono inviati nei Paesi occidentali. Il manto serve all'industria dell'abbigliamento, ed il grasso viene utilizzato per la pulizia delle scarpe, o come ingrediente per gli integratori proteici.
Non si può accettare tutto questo, eppure, anche se non ce ne accorgiamo, siamo noi a consentire che questo scempio si ripeta ogni anno. Non è il Canada ad avere interesse alla caccia alle foche. Pensate che in media un cacciatore di foca in Canada guadagna solo 800 euro all'anno. I profitti provenienti dalla caccia alle foche in Canada rappresentano circa lo 0,0009% del prodotto interno lordo. Sono i Paesi occidentali europei che vogliono tutto questo, ed il massacro va fermato, non solo in Canada, ma anche negli altri paesi dove si cacciano le foche con i medesimi metodi, e cioè in Norvegia, in Groenlandia, in Russia. Dal 2004 il Palmento norvegese ha addirittura reso legale la caccia alle foche da parte dei turisti. In tutto, parliamo di milioni di foche.
Allora, due sono le cose che tutti noi possiamo impegnarci a fare, fin da subito.
Per prima cosa, stare attenti, quando entriamo in un negozio di abbigliamento, a non acquistare capi con pelli di foca, e neppure accessori con inserti o ritagli di pelliccia animale.
In secondo luogo, si può aderire alla petizione della L.A.V., finalizzata a rimuovere il problema alla radice, promovendo l'approvazione di una legge che vieti il commercio di pelli di foca in tutto il territorio nazionale.
Non è una legge utopistica. Gli Stati Uniti già hanno questa normativa, ed anche in Europa il Belgio ha deciso di proibire il commercio di pelli di foca sul proprio territorio. In Italia la L.A.V., con lo stesso sistema, è riuscita ad ottenere una legge che ha vietato il commercio di pelli di cane e di gatto, che prima era possibile.
Con l'auspicio che questo mio breve intervento possa convincervi a firmare la petizione, e a sostenere questa importante battaglia contro la caccia ad uno dei mammiferi marini più bello, dolce, ed indifeso, concludo questo mio intervento, ringraziandovi per la vostra attenzione.