domenica 9 giugno 2019

Canili e canili - analisi della situazione italiana e l'esperienza sul campo della LNDC (articolo pubblicato sulla rivista Animal Studies 25/2019)


Intervento all'Alter Expo Canili, Galliera (BO) 2 giugno 2019
Una disamina sull’attuale situazione dei canili in Italia non può prescindere da una riflessione preliminare su cosa siano davvero i “canili”. Chi si occupa delle tematiche relative alla protezione degli animali e alla prevenzione del randagismo ha ben chiara la distinzione tra canile sanitario e rifugio, operata in modo sommario dalla legge quadro 281 del 1991 e poi meglio specificata dalle leggi regionali: il canile sanitario è destinato alla prima accoglienza e ai casi di emergenza sanitaria, mentre il rifugio è destinato al soggiorno prolungato dell'animale. Se consideriamo che fino al 1991 era consentita la soppressione dei cani randagi e che proprio grazie a quella legge, che era e rimane una legge all’avanguardia a livello europeo, sono state salvate milioni di vite, possiamo dire che i canili sanitari e poi i rifugi sono luoghi dove i cani randagi transitano in vista di un’adozione in famiglia, e dunque, in teoria, luoghi di speranza in una nuova vita per i cani di strada.
Non può sfuggire, però, che la parola “adozione” non è proprio contenuta nel testo originario della predetta legge-quadro (ed è solo con la modifica dell’art. 4 della L. 281/91 apportata con la L. 244/2007 che per la prima volta si è fatto riferimento alla necessaria presenza, nei canili sanitari gestiti da privati, di volontari delle associazioni animaliste e zoofile preposti alla gestione delle adozioni dei cani) e che le Regioni e poi le amministrazioni comunali, proprietarie dei cani vaganti sul loro territorio, solo recentemente hanno cominciato a cogliere l’importanza dell’incentivazione delle politiche finalizzate a favorire le adozioni dei cani. Insomma, la legge si è essenzialmente occupata di regolamentare le procedure di ingresso dei cani nei canili, ma non quelle di uscita, ottenendo come  risultato quello di far diminuire da un lato la presenza di cani randagi per le strade, ma di far aumentare a dismisura, dall’altro lato, il numero di cani ricoverati nei rifugi, complici anche le mancate sterilizzazioni, l’assenza di adeguati controlli e la tendenza di molti gestori privati a non favorire le adozioni per non perdere le sovvenzioni erogate dai Comuni per ogni cane detenuto in canile.

Infatti, nonostante la Legge 281/91 affidi la gestione dei canili ai Comuni sia direttamente che tramite convenzioni con associazioni o privati, spesso sono proprio questi ultimi a vincere i bandi di gara proponendo le offerte economiche più vantaggiose, a discapito degli standard di benessere da assicurare agli animali. Le amministrazioni pubbliche garantiscono ai canili privati da 1 a 5 Euro al giorno per ogni cane. Secondo gli ultimi dati disponibili, nel 2017 sono stati spesi oltre 400.000,00 euro al giorno per il mantenimento dei cani nei canili italiani, per un totale di circa 150 milioni di euro all’anno (stima fatta per difetto, stante l’assenza di molti dati). Il numero dei cani detenuti nei rifugi nel 2017 è arrivato a quasi 115.000, con un aumento di quasi il 10% rispetto all’anno precedente (ma analizzando i dati dell’ultimo decennio, il trend appare positivo, con una diminuzione di oltre il 20% dei cani nei canili).
Si tratta di dati ufficiali, ma da prendere con il beneficio di inventario, stante la summenzionata assenza di reali controlli e la mancata registrazione in anagrafe di tanti cani detenuti in canile, come rilevato in tante attività di indagine disposte su ordine della magistratura. I canili censiti in Italia sono 1.200, di cui 434 sanitari e 766 rifugi (114 canili assolvono entrambe le funzioni). Nel Nord Italia si trova il 37% dei canili, il 19% si trova al Centro ed il 44% al Sud. Nei canili del Mezzogiorno, però, si trova il 72% dei cani censiti. E’ evidente che ci troviamo, soprattutto nel meridione, di fronte a canili che scoppiano e che presentano condizioni strutturali e di detenzione dei cani tali da essere definiti, spesso a ragione, canili-lager.
In questi lager le gabbie sovraffollate favoriscono la trasmissione di malattie infettive e parassitarie; i maschi e le femmine, spesso non sterilizzati nonostante gli obblighi di legge, sono liberi di accoppiarsi, con la paradossale conseguenza che questi canili finiscono con l’aumentare il numero di cani da sfamare e curare; il nutrimento spesso è insufficiente o inadeguato; i controlli sanitari sono carenti e spesso non vi è neppure un responsabile sanitario. In alcuni canili il maltrattamento raggiunge livelli estremi: cani massacrati a bastonate, cani che si sbranano tra loro, cani che spariscono nel nulla.
Ecco allora che il canile, che con la L. 281/91 doveva passare ad essere un luogo di speranza, come sopra detto, in molti casi diventa un buco nero ove i cani vengono risucchiati e diventano invisibili agli occhi di tutti, spesso anche dello stesso personale che lavora in canile. E se ai cani viene risparmiata la pena di morte, in molti casi si infligge loro un ergastolo con condizioni di vita talmente penose che viene da chiedersi se sia valsa la pena di salvargli la vita.
In un processo tuttora in corso davanti al Tribunale di Catania, in cui viene contestato il reato di associazione a delinquere, maltrattamento e truffa ai danni del Comune di Catania al gestore di un canile privato e a funzionari della ASL e comunali che non avrebbero effettuato i dovuti controlli, gli inquirenti paragonano i cani a meri titoli di credito, tenuti in vita con la sola finalità di ricavarne un guadagno economico.
Addirittura in un altro processo, tuttora in corso, contro il gestore di un canile di Trani per uccisioni, maltrattamento di animali e truffa ai danni di vari comuni convenzionati con il detto canile (posto sotto sequestro e dato in custodia alla LNDC, che ha provveduto alla cura e alla sistemazione di centinaia di cani sostenendo ingenti spese, peraltro non ancora interamente rimborsate), è stata contestata una particolare condotta fraudolenta, consistente nel trasferire il microchip di cani intestati ai Comuni, al momento del loro decesso, su altri cani che ne erano sprovvisti e che in questo modo ne perpetuavano la redditività persino dopo la morte.
A completare questo quadro desolante vi è da dire che le adozioni sono in costante diminuzione, complice la crisi economica e la mancanza di reali incentivi. Vivere con un cane è di fatto considerato un lusso, visto che i farmaci veterinari costano in media cinque volte di più dei corrispondenti farmaci ad uso umano, le cure veterinarie e il cibo per animali (non tenuti a scopo di lucro) sono sottoposti all’aliquota IVA ordinaria (22%), e le detrazioni Irpef per farmaci e cure veterinarie sono irrisorie.
Il lavoro delle associazioni di protezione degli animali, in un contesto come quello descritto, è davvero immane e spesso le istituzioni anziché agevolare il gravoso lavoro che le associazioni si propongono di fare, non forniscono alcun valido aiuto e addirittura spesso finiscono per ostacolare il lavoro dei volontari. Tanto per fare un esempio, le recenti linee guida della Regione Sicilia per il contrasto al fenomeno del randagismo, in una Regione ove moltissimi canili non sono a norma, vietano inspiegabilmente alle associazioni protezioniste di attuare progetti finalizzati a realizzare rifugi o strutture affini, anche se questi dovessero essere conformi alle vigenti normative, e la Lega Nazionale per la Difesa del Cane ha recentemente scritto al Presidente della Regione Sicilia per segnalare questa ed altre criticità e chiedere la modifica delle linee guida in modo da favorire il lavoro delle associazioni di protezione animale finalizzato a curare gli animali nei canili e a incentivare le adozioni.
L’esperienza della Lega Nazionale per la Difesa del Cane in questo campo è certamente tra le più longeve e importanti in Italia, posto che la predetta associazione, con le sue quasi cento sedi su tutto il territorio nazionale, dal 1950 gestisce canili privati o convenzionati con le amministrazioni comunali e, seppur tra mille difficoltà legate al continuo ingresso di animali e alla inevitabile carenza di fondi adeguati, riesce a salvare ogni anno decine di migliaia di cani e a trovare loro una buona adozione.
Ai volontari della LNDC viene fornito un manuale operativo contenente le linee guida elaborate in tanti anni di attività sul campo lungo due direttrici che sono strettamente correlate: tutelare il benessere e la salute degli animali ospitati nelle strutture e promuovere adozioni responsabili.
La corretta gestione del canile e degli animali ivi ospitati si sostanzia in una serie di attività (pulizie, somministrazione del cibo, socializzazione, uscite in passeggiata, ecc.) che vanno svolte tenendo conto delle caratteristiche di ciascun soggetto, e che non devono essere finalizzate soltanto al conseguimento del benessere fisico, ma anche e soprattutto alla instaurazione di un rapporto di socialità con le persone e con gli altri animali. Nello svolgimento delle predette attività è importante dedicarsi all’osservazione dei cani e alla valutazione degli indicatori di benessere e degli aspetti comportamentali, avendo come fine ultimo e principale quello di rendere il cane adottabile.
Per i cani con lievi problemi di comportamento vanno attuati percorsi di socializzazione mentre per quelli che presentano aggressività o disturbi più gravi bisogna ricorrere alla valutazione di un medico veterinario comportamentalista e intraprendere, se necessari ed attuabili, percorsi terapeutici e rieducativi attraverso apposite figure professionali (veterinari comportamentalisti ed educatori o istruttori cinofili).
In ogni caso bisogna partire dal principio secondo cui il periodo di permanenza degli animali nel canile deve essere il più breve possibile e che, comunque, durante detto periodo, non deve mai mancare l’interazione con l’essere umano, in quanto il contatto diretto con l’uomo è estremamente importante per il raggiungimento dell’obiettivo finale, che è, per l’appunto, quello di dare i cani in adozione.
Le attività sopra ricordate a titolo esemplificativo (pulizia, gioco, passeggiata) offrono anche l’opportunità di conoscere meglio il carattere di ogni singolo cane e tale conoscenza è importante al fine di individuare l’affidatario più idoneo, prendendo in considerazione i reciproci temperamenti. L’esperienza maturata dalla Lega Nazionale per la Difesa del Cane insegna che un corretto abbinamento uomo-animale si basa sulla valutazione non solo delle caratteristiche del cane, ma anche di quelle del nuovo affidatario, del nucleo familiare e del luogo di abitazione, nonché delle aspettative che hanno indotto le persone all’adozione.
Ecco perché quando sopra ho parlato di “adozioni” gestite dalla LNDC, ho aggiunto degli aggettivi, qualificandole come “responsabili” o “buone” adozioni. Solo attivando un sistema di adozioni che preveda un buon affidamento dell’animale si può pensare di ridurre il numero dei rientri in canile.
I volontari dispongono di un questionario standard da sottoporre all’aspirante adottante per poter valutare la consapevolezza, da parte di quest’ultimo, dell’importanza della scelta che sta per compiere. Il questionario viene poi comunque seguito da un colloquio, ma serve da primo filtro in quanto, da un lato, fornisce all’adottante spunti di riflessione su ciò che significa possedere un cane e, dall’altro, fornisce al personale del canile degli elementi di valutazione sulla "serietà" delle intenzioni di chi richiede l’adozione di un animale.
Ai controlli pre-affido segue un periodo di prova, anch’esso utile per verificare la serietà dell’impegno del nuovo affidatario e fornirgli suggerimenti pratici sulla gestione dell’animale, in modo da favorire l’instaurarsi di un buon legame. Il periodo di prova serve infatti anche a creare un rapporto empatico tra l’animale e il nuovo affidatario, in modo che quest’ultimo possa imparare a capire le esigenze dell’animale e a comunicare con lui. Una volta perfezionata l’adozione, le sezioni della LNDC, ove possibile, offrono anche un sostegno post – affido per consentire di superare agevolmente le piccole difficoltà che possono insorgere a seguito della convivenza con l’animale.
Ecco perché storicamente la Lega Nazionale per la Difesa del Cane ha promosso il principio secondo cui l’adozione degli animali deve avvenire sul loro territorio di appartenenza. La spedizione di cani in territori lontani rende impossibile fornire quei servizi pre e post-affido indispensabili per monitorare il benessere dell’animale non solo prima, ma anche dopo l’adozione. Ovviamente non si può non tenere conto dei dati reali, sopra citati, che evidenziano un’incidenza del fenomeno del randagismo molto più marcata nel sud che nel nord Italia, il che rende giustificabili le operazioni di trasferimento dei cani, ma solo nel rispetto di alcune condizioni, legate non solo all’idoneità dei mezzi e delle procedure di trasporto, secondo le linee guida ministeriali, ma soprattutto alla validità delle adozioni cui i cani sono destinati.
Per questo è indispensabile una sinergia tra i vari operatori, sia pubblici che privati, che sul territorio nazionale si occupano di queste tematiche, ma tale sinergia si trova ancora allo stadio di un sogno evanescente. La LNDC in molti casi ha dovuto prendere posizione in modo forte contro trasferimenti di massa stabiliti da alcune amministrazioni comunali per liberarsi dei cani presenti nei canili e gravanti sulle proprie casse. Invero, non di rado vengono segnalati bandi in cui le amministrazioni offrono somme di denaro una tantum per ogni cane da adottare ed i cani vengono ceduti in stock senza preoccuparsi di quale sarà la loro sorte.
Insomma, per uscire dalla situazione emergenziale che si è descritta occorre perseguire una serie di obiettivi, tra i quali: effettuare le sterilizzazioni; garantire la presenza di associazioni di volontariato nei canili per facilitare le adozioni; utilizzare correttamente i social media per promuovere le adozioni; formare dovutamente i medici veterinari della ASL che devono effettuare i sopralluoghi nei canili affinchè valutino scrupolosamente e con competenza il rispetto delle condizioni di benessere animale (troppo spesso i canili che vengono sottoposti a sequestro risultavano formalmente in regola con le certificazioni da parte del servizio veterinario della ASL fino al giorno prima dei provvedimenti cautelari della magistratura); realizzare un’efficiente anagrafe nazionale canina; fornire incentivi per chi adotta, sotto forma di riduzione Iva e detrazioni fiscali.
Un ruolo importante per uscire dall’emergenza randagismo devono assumere, in questa fase, proprio i canili. Quelli esistenti vanno in gran parte riqualificati, ed è auspicabile avere a modello la figura del parco-canile. Occorre rendere il canile un luogo di educazione e interazione uomo-animale finalizzato al rispetto del benessere secondo i bisogni fisiologici ed etologici del cane nonché alla corretta relazione intra e interspecifica, trasformandolo da struttura potenzialmente problematica a centro di valorizzazione del rapporto con l’animale. Dunque, non una struttura maleodorante ai margini della città, ma un luogo ove poter portare le scolaresche per l’attuazione di programmi di educazione ambientale.
Sinora ho accostato il canile a varie immagini, sia negative (canile-lager, canile-buco nero), sia positive (canile-luogo di speranza, canile-parco), queste ultime correlate più ad una dimensione futura che all’attuale stato dell’arte, anche se non mancano, come detto, esempi virtuosi di canili ove si attuano le pratiche sopra descritte, e molti canili della LNDC possono essere individuati in questo senso come modelli per progetti-pilota.
Tra questi, il canile “Cucce Felici” dalla Sezione di L’Aquila della LNDC, che opera in un territorio ampio e complesso, ove sono stimati da 4 a 6mila cani vaganti, anche se un censimento non è mai stato effettuato, con una situazione diventata allarmante in seguito al terribile terremoto che ha colpito duramente l’intera zona. Il canile ospita cani in genere difficilmente adottabili, poiché la maggior parte sono di grossa taglia e scarsamente socializzati, ma è stato dato grande impulso alle adozioni proprio riorganizzando il canile e facendo corsi di formazione per gli operatori.
La sezione di Vieste della LNDC ha invece attuato un progetto, intitolato “Zero cani in canile”, ideato dalla socia Francesca Toto, che, partendo dall’analisi dei dati territoriali, ha constatato la scarsa utilità della struttura-canile ai fini della promozione delle adozioni ed ha sperimentato la soluzione di cercare adozioni subito dopo il rinvenimento di cani randagi senza passare per il canile, sulla base di protocolli approvati dalle istituzioni. Il progetto prevede una preventiva formazione per chi ospita i cani fino all’adozione, e punta dunque sul decentramento e sul supporto della cittadinanza.
A questo punto una riflessione finale la vorrei fare su un piano diverso, e cioè sul canile come permanente contraddizione in termini rispetto al diritto dei cani di poter vivere liberamente la propria vita. In questo senso il canile è una resa incondizionata alla nostra incapacità a livello sociale di instaurare un valido rapporto relazionale con i cani. Basta riflettere sulla valenza di per sé negativa della parola “randagio” e della locuzione “vagante sul territorio”, come se il vivere liberamente fosse già di per sé una colpa. Abbiamo concepito i canili come luoghi ove i cani vanno coattivamente deportati, marcati con un numero e detenuti finchè non si trova loro una casa, e tutto ciò a beneficio della sicurezza delle nostre città, ove si deve avere la tranquillità di non imbattersi in un branco di cani. In questo senso ai cani è riservata una sorte a metà strada tra quella dei gatti (che non creano problemi di sicurezza, e per i quali non è prevista la cattura obbligatoria) e quella dei cinghiali (che non sono animali da compagnia, sicchè la soglia della sopportazione sociale è molto meno elevata, e le Regioni danno tranquillamente il via libera ai cosiddetti piani di contenimento, cioè alla loro soppressione).
Da questo punto di vista si coglie la complessità del mondo della lotta al randagismo, un mondo nel quale le associazioni di protezione animale sono asfissiate dal lavoro senza sosta per dare ai cani una speranza di vita migliore e non si ha il tempo di riflettere sul fatto che il canile dovrebbe essere invece un concetto limite: il canile perfetto dovrebbe essere vuoto, dovrebbe solo essere pronto all’uso temporaneo per le necessarie cure e per poi ricollocare l’animale sul territorio o presso un adottante che dia le dovute garanzie di serietà, oppure per le attività di promozione culturale sopra descritte. Per arrivare a questo, però, sappiamo bene che si deve uscire, con le ricette sopra indicate, dall’attuale situazione emergenziale che rende anche il solo parlare di canile-parco un esercizio di fantasia. L’auspicio è che arrivi presto il giorno in cui tutto ciò di cui si è parlato finora venga visto come testimonianza di un’epoca passata, in cui non si era ancora trovato il modo di garantire a livello sociale un rapporto davvero equilibrato tra l’uomo e gli altri animali e in particolare tra l’uomo e gli animali migliori del mondo: i cani.

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