giovedì 2 febbraio 2012

VIVISEZIONE: AULA CAMERA DEPUTATI APPROVA ARTICOLO 16 PER CHIUSURA ALLEVAMENTI, OBBLIGO ANESTESIA E CRITERI RECEPIMENTO DIRETTIVA EUROPEA


Ieri sera l’Aula della Camera dei Deputati ha approvato l’articolo 16 del Disegno di Legge Comunitaria 2011 che prevede criteri restrittivi per il recepimento della direttiva europea sulla vivisezione.
Anche se non nell’ottica della totale abolizione della sperimentazione sugli animali, il predetto articolo, fra l’altro, chiude gli allevamenti di cani, gatti e primati non umani come quello “Green Hill”, obbliga all’uso di anestesia e analgesia, incentiva i metodi alternativi. Si tratta, dunque, di un importante risultato.

Quando parliamo di sperimentazione animale stiamo purtroppo facendo ancora riferimento ad una pratica appartenente al passato remoto della storia dell’uomo, che poteva avere un senso quando si muovevano i primi passi nella storia della scienza e della medicina, e si cercava di studiare la morfologia degli animali e di compararla a quella degli uomini. Ma stiamo parlando dei tempi del Corpus Hippocraticum e dei Procedimenti anatomici di Galeno. Oggi questa pratica ha perduto la propria scientificità, ed è solo una delle tante testimonianze di come l’uomo ritiene di poter disporre della vita degli animali.

Le associazioni animaliste considerano dunque l'abolizione della sperimentazione animale fra i propri obiettivi principali, non solo per motivi scientifici, ma anche per motivi etici.

Dal punto di vista scientifico, l’inaffidabilità della sperimentazione su “modello animale” ai fini della ricerca biomedica è stata ufficializzata da organi della massima importanza e credibilità negli ultimi anni, quali il Consiglio Nazionale delle Ricerche statunitense, che ha invocato la necessità di un “cambiamento epocale” nella ricerca tossicologica attraverso un “passaggio da un sistema basato sullo studio dell’animale ad un sistema basato sui metodi in vitro, oggi in grado di valutare il modo in cui una sostanza altera la funzione dei geni nella cellula umana”. Si tratterebbe di una svolta epocale, paragonata alla scoperta del DNA o alla nascita del primo computer. Perché il futuro della ricerca è certamente nell’uso delle staminali e del tessuto di colture umane.
 Tali concetti sono stati espressi anche nel “Settimo Congresso Mondiale  sui metodi alternativi e la sperimentazione animali”, tenutosi a Roma due anni fa. Contestualmente, però, veniva approvata la Direttiva 2010/63 sull’utilizzo degli animali per fini scientifici, e le associazioni protezioniste hanno immediatamente richiesto che nell’iter di recepimento nazionale della predetta Direttiva venissero inserite disposizioni per favorire lo sviluppo concreto di metodi che non facessero uso di animali, limitando nei fatti il ricorso a questi ultimi, per un futuro basato su una ricerca scientificamente corretta e libera dal vincolo arretrato del modello animale.
E’ questo è ciò che sta avvenendo, con l’approvazione di ieri alla Camera e con il prossimo passaggio al Senato del testo contenente l’emendamento che stabilisce i criteri per il recepimento della detta direttiva.
Nella giornata di ieri, proprio mentre la Camera stava discutendo, nell’ambito della Legge Comunitaria, il testo per il recepimento della direttiva (riuscendo a respingere la cancellazione delle lettere riguardanti il divieto di allevamenti e l’obbligo di analgesia), le principali associazioni animaliste hanno organizzato nella Sala delle Colonne della Camera dei Deputati un convegno per spiegare le proprie ragioni a sostegno dell’emendamento proposto.
Io sono intervenuto, per conto della Lega Nazionale per la Difesa del Cane, per commentare il punto b) dell’emendamento. Con tale norma è stato “vietato l’utilizzo di scimmie antropomorfe, cani, gatti e specie in via di estinzione a meno che non risulti obbligatorio da legislazioni e da farmacopee nazionali o internazionali o non si tratti di ricerche finalizzate alla salute dell’uomo o delle specie coinvolte, condotte in conformità ai principi della direttiva 2010/63/UE, previa autorizzazione del Ministero della Salute, sentito il Consiglio Superiore di Sanità”.
Bisogna dire che l’articolo 2 della direttiva europea permette di mantenere “misure nazionali più rigorose”, ed i cani randagi devono continuare a non essere utilizzati negli esperimenti come è in Italia dal 1991, a seguito dell’approvazione della legge quadro sul randagismo 281/91 e poi del Decreto Legislativo 116 del 1992, che prevedevano già norme più restrittive rispetto a quelle europee.
Difatti la legge 281/91 già vietava in ogni caso la sperimentazione su cani randagi catturati o provenienti da canili o associazioni protezionistiche ed il maltrattamento di gatti che vivono in libertà, e puniva chiunque facesse commercio di cani o gatti al fine di sperimentazione.
Il Decreto Legislativo 116 del 1992, inoltre, prevedeva il divieto di eseguire sperimentazioni su cani, gatti, primati, specie in via di estinzione
L’emendamento in questione, a ben vedere, fa ora riferimento non a tutti i “primati”, ma alle sole “scimmie antropomorfe”, che sono molto costose e poco usate in Italia.
Ad ogni modo, anche se l’ambito di applicazione è molto ridotto, bisogna ricordare come gran parte delle predette scimmie antropomorfe (Gorilla, orangutan, bonobo, gibboni e scimpanzé) finora è provenuta da catture allo stato selvatico, dove tutto il nucleo familiare viene ucciso per prelevare il piccolo che poi affronta viaggi transoceanici rinchiuso in piccoli contenitori per raggiungere l'Europa e, come ultima tappa, il laboratorio. La restrizione della sperimentazione su queste specie va incontro al Progetto Grandi Scimmie Antropomorfe , che si propone di ottenere, da parte dell'ONU, una Dichiarazione dei Diritti delle Grandi Scimmie Antropomorfe che estenda a tutti i primati antropomorfi alcuni dei diritti già riconosciuti all'Uomo, come il diritto alla vita, alla protezione della libertà individuale e alla protezione dalla tortura.

Raffrontando il testo del punto b dell’attuale emendamento con quello del Decreto Legislativo 116/02, dobbiamo evidenziare che quest’ultimo prevedeva che solo in casi eccezionali potevano essere autorizzati dal Ministero della Sanità procedure sperimentali in deroga ai divieti sopra richiamati, e cioè solo nei casi in cui obiettivo della ricerca fossero verifiche medico biologiche considerate “essenziali” e fosse dimostrato che nessun altra specie era idonea agli scopi dell'esperimento. 
Con l’attuale previsione normativa, che consente le deroghe al divieto di sperimentazione sulle predette specie solo dove ciò risulti “obbligatorio” in base a legislazioni e farmacopee nazionali o internazionali o si tratti di ricerche espressamente finalizzate alla salute dell’uomo, devono a mio giudizio ritenersi non più consentiti molti test per la ricerca di base che coinvolgano i predetti animali, e che invece potevano rientrare nel più ampio concetto di “verifiche medico biologiche essenziali”.
La valutazione di queste circostanze, che appare assai delicata, va condotta dal Ministero della Salute, sentito il Consiglio Superiore di Sanità, caso per caso escludendo l'applicazione del principio di analogia o di estensione.
l dati di cui disponiamo sulle autorizzazioni in deroga, pubblicate a seguito di una sentenza del Tar che ha cancellato il “segreto” in materia, evidenziano infatti nel biennio 2008-2009 un incremento del 50%, quando invece era stato promesso un regolamento sempre più restrittivo. Quindi occorre molto rigore nella valutazione delle predette circostanze per il rilascio dell’autorizzazione.
L’emendamento in commento è nel complesso restrittivo rispetto alla direttiva europea, anche se molto rimane da fare. Ad oggi il numero di animali usati per fini sperimentali rimane sulla soglia dei 12 milioni all’anno. L’Italia mantiene tristemente il quinto posto nella classifica degli animali usati, dopo Francia, Regno Unito, Germania e Spagna. Questa attuale deve essere vista, dunque, come una tappa di un percorso che dovrà portare alla totale messa al bando della sperimentazione sugli animali. Sono s’accordo con noi non solo molti scienziati, ma anche la grande maggioranza dei cittadini che credono nei diritti degli animali quali esseri senzienti (ricordo a tal proposito l’art. 13 del Trattato di Lisbona, che riconosce questa qualifica agli animali). Per questo sarà necessaria una successiva legge che consenta di proteggere definitivamente sia gli animali che la nostra salute mediante la sostituzione della sperimentazione in vivo con le più moderne tecniche di ricerca scientifica, che devono essere adeguatamente finanziate.
Per sapere come hanno votato sugli emendamenti per non far chiudere Green Hill (votazione n.27 della giornata) e per non rendere obbligatoria anestesia e analgesia nei test (votazione n.30 della giornata) vai su: http://www.camera.it/_dati/leg16/lavori/stenografici/sed580/v003.pdf
Per informazioni sul Convegno unitario che le associazioni animaliste hanno tenuto a Roma nella Sala delle Colonne della Camera dei Deputati vai su: http://www.lav.it/index.php?id=1080

Il punto sulla stagione venatoria 2011/2012



Anche quest’anno in Abruzzo decine e decine di migliaia di animali sono stati abbattuti per divertimento e centinaia sono stati i capi di specie protette abbattuti dai bracconieri.
Per la stagione di caccia 2011/2012 il movimento ambientalista e animalista è tuttavia riuscito a limitare parzialmente i danni. Innanzitutto è stata impedita, grazie alla pressione delle associazioni ed allo straordinario lavoro di alcuni consiglieri regionali di opposizione, l’approvazione del calendario venatorio con legge regionale. Questo tentativo da parte della maggioranza era dettato dalla volontà di far passare attraverso un intervento legislativo – non impugnabile davanti al Tribunale Amministrativo Regionale – anche previsioni contrarie alle leggi nazionali e comunitarie.
Persa la battaglia sulla legge, la maggioranza in consiglio regionale ha così dovuto ripiegare su un calendario venatorio approvato con delibera di giunta che, grazie al ricorso davanti al TAR Abruzzo promosso dalle Associazioni Animalisti Italiani Onlus, LAC e WWF, è stato profondamente modificato, con l’eliminazione di previsioni che non rispettavano il parere dell’ISPRA, massimo organo nazionale legittimato a formulare pareri obbligatori su tutti gli atti di pianificazione faunistica-venatoria.
L’accoglimento del ricorso contro il calendario venatorio regionale ha infatti consentito di diminuire i giorni di caccia per decine di specie. A fine novembre 2011, infatti, la Giunta Regionale ha dovuto varare una quarta versione del calendario venatorio 2011/2012, dopo aver cercato di eludere l’ordinanza del TAR Abruzzo. Contro questi tentativi dilatori sono state prodotte due diffide ed un nuovo ricorso al TAR di L'Aquila “per ottemperanza” nel quale si è chiesto alla magistratura amministrativa di commissariare la Regione per far rispettare la sospensiva. A quel punto, pochi giorni prima della nuova udienza, la Regione ha dovuto cedere su molti dei punti della sospensiva ed in particolare sul cuore del calendario venatorio: periodi, orari e forme di caccia.
Con il calendario riformato per la beccaccia la caccia si è chiusa il 31 dicembre e non il 19 gennaio come aveva previsto inizialmente la Regione (20 giorni in meno di pressione venatoria su questa specie). Per le specie acquatiche (germano reale, folaga, gallinella d’acqua, alzavola, porciglione, fischione, codone, mestolone, marzaiola, moriglione, beccaccino, pavoncella, canapiglia e frullino) la caccia si è chiusa il 19 gennaio e non più il 30 gennaio. Per le tre specie di turdidi (cesena, tordo bottaccio e tordo sassello) la caccia si è chiusa il 9 gennaio mentre prima si chiudeva il 19 gennaio. Per il fagiano la chiusura prevista per il 30 dicembre è stata anticipata al 30 novembre. Altra novità di non poco conto è stata la chiusura al 19 gennaio della caccia in forma vagante con l’ausilio del cane. Una sconfitta per l’assessore regionale Febbo che si aggiunge alle due sconfitte rimediate davanti al TAR nella stagione 2009/10 ed all’impugnativa da parte del Governo Berlusconi della legge regionale con cui era stato approvato il calendario venatorio 2010/11.
Purtroppo la Provincia di Chieti, con una recente delibera di giunta ha deciso di estendere la caccia alla specie colombaccio fino al 09 febbraio. Per la prima volta dopo alcuni decenni, dunque, si torna a sparare nelle nostre campagne anche nel mese di febbraio.
Ovviamente non è questo che vogliono i cittadini della Provincia di Chieti. Molti di loro sono esasperati dai continui spari nei pressi delle proprie abitazioni e dall’arroganza di chi invade i propri terreni. Il 79% dei cittadini chiede di vietare o ridurre fortemente la caccia (sondaggio Ipsos 2010) ed invece i nostri amministratori fanno il contrario.
Ha dichiarato Ines Palena del WWF Zona Frentana e Costa Teatina: “La Provincia di Chieti è ostaggio dei cacciatori che da diversi anni condizionano le scelte dell’amministrazione pubblica. La politica locale è sempre disponibile ad esaudire le richieste dei cacciatori, ignorando le diverse problematiche che attanagliano la gestione faunistico-venatoria della nostra provincia come il Piano Faunistico-Venatorio scaduto e le carenze della Polizia Provinciale di Chieti sulla vigilanza venatoria”.
Occorre dunque non abbassare la guardia, sia a livello locale che nazionale. In sede di approvazione della Legge Comunitaria 2011, difatti, il deputato leghista Pini ha riproposto di votare la caccia selvaggia (apertura in piena estate per tortore e quaglie, allungamento della stagione venatoria oltre il 31 gennaio, depenalizzazione di gravi reati di bracconaggio ecc), con il conseguente massacro di migliaia di animali protetti e la certezza di nuove condanne comunitarie. Immediatamente le associazioni CABS, Enpa, Lac, LAV, Legambiente, Lipu-BirdLife Italia e WWF Italia hanno chiesto la declaratoria di inammissibilità degli emendamenti proposti dal deputato Pini, che vertevano su parti della legge italiana non oggetto di procedure di infrazione e che anzi avrebbero riportato paradossalmente l’Italia in clamorosa e plurima infrazione, con la conseguenza di una condanna ai sensi dell’articolo 260 del Trattato dell’Unione europea.
Il pericolo è stato sventato, ma molto rimane ancora da fare per arrivare alla messa al bando definitiva di questa pratica a cui è contraria la maggioranza dei cittadini.