sabato 26 giugno 2010

Presentazione dizionario bilingue Cane/Italiano (Sonda Edizioni)

In questo inizio d’estate, noi che da tanti anni ci occupiamo di diritti degli animali ci stiamo prendendo alcune soddisfazioni.
Poche settimane fa è stata approvata una legge che, riformando il codice della strada, sanziona l’omissione di soccorso agli animali rimasti coinvolti in un incidente stradale. Prima li si poteva lasciare agonizzanti per strada, non c’era alcuna sanzione. Le guardie zoofile sono dotate di un riconoscimento istituzionale sempre maggiore, ed il nostro Ministro del Turismo sta promuovendo le strutture che consentono ai proprietari di animali di portarli in vacanza con loro e sta incentivando nel mondo l’immagine di una Italia “animal friendly”.
Io non penso che si tratti di una moda, come si ritiene a Teheran da parte di chi ha lanciato la fatwa contro i cani, che non si dovrebbero né tenere in casa e né portare a passeggio.
Credo, invece, che si stia cominciando a infrangere quel tabù che una cultura millenaria, stratificatasi ad opera del pensiero dominante della nostra storia filosofico - religiosa, ha radicato nelle nostre teste, e che ha voluto costruire una barriera tra noi e gli altri animali.
Non sono state sufficienti le teorie evoluzionistiche a squarciare questo velo di Maya. L’evoluzionismo ci ha insegnato non che l’uomo discende dagli animali, ed in particolare dalle scimmie, come sentiamo spesso ripetere, ma che l’uomo è un animale, appartiene alla stessa famiglia, che si è evoluta secondo percorsi differenziati, a seconda delle esigenze imposte dall’adattamento.La Chiesa, come al suo solito, ha a lungo negato la validità scientifica del principio evoluzionista, perché contrastava con quello creazionista, con la storia - cioè - di Adamo ed Eva. Tuttavia devo dire che anche negli ambienti ecclesiastici hanno cominciato a ritenere opportuno conciliare il creazionismo con l’evoluzionismo. Secondo una recente interpretazione della Genesi, Dio avrebbe creato l’uomo non all’istante, bensì mediante un progresso evoluzionistico dallo stesso voluto.
Ma rimane un problema, e cioè l’anima, di cui gli animali non sono dotati, mentre l’uomo sì. E allora il problema è il seguente: qual è il momento esatto in cui dalla scimmia senz’anima viene fuori l’uomo con tutti i crismi, anima compresa?
Io, personalmente, non sono ateo, e credo nell’esistenza dell’anima. Però penso che ce l’abbiano anche gli animali. Anzi, parafrasando un celebre aforisma di Schopenhauer, credo che l’anima può essere negata agli animali solo da parte di chi non ce l’ha.
L’aforisma originale dice: “L’intelligenza può essere negata agli animali solo da parte di chi ne ha poca”. Ed i cani hanno intelligenza da vendere, questo ci insegnano finalmente l’etologia e la zooantropologia.
Fino a non molti anni fa, in una società agricola, i cani erano tenuti tutta la vita alla catena con la funzione dell’allarme di casa, senza consentire alcun momento di passeggio e di contatto con quelli che nella casa ci abitavano.
Questo dizionario ci aiuta a capire quanta violenza sia indirizzata al cane attraverso questo comportamento. Non si tratta solo della solitudine di quegli animali (e oggi ancora tanti cani sono trattati in questo modo), così come ce la possiamo rappresentare noi umani. Nei cani l’esplorazione, soprattutto attraverso l’olfatto, è fondamentale per avere una vita gratificante. Ecco perché i cani che passano tutta la vita in un box o alla catena iniziano a porre in essere dei comportamenti definiti di autogrooming, e cioè di pulizia eccessiva del mantello, fino a provocarsi delle ferite da leccamento. La loro sofferenza è enorme, perché il cane ha bisogno di esplorare il mondo e sentirsi parte di una squadra, in ogni momento. Questa è la sua natura di essere socievole.
E bisogna dire che è un luogo comune quello di ritenere che il cane deve obbedire all’uomo, che riconosce come capobranco. Infatti, nella testa del cane non c’è il concetto di dominanza, che invece è tipicamente umano. Il ruolo del capobranco non è quello di dare ordine, ma di coordinare l’attività del gruppo con spirito di servizio. Magari avessero un briciolo di tale spirito molti degli uomini che ci governano! Pertanto, quando il cane obbedisce a quelli che noi riteniamo essere dei “comandi”, come quello di stare seduto, in realtà sta solo collaborando, non sta obbedendo.
Per converso, si possono creare dei problemi al cane anche attraverso quello che noi riterremmo essere comportamenti amorevoli, e invece per il cane sono fonte di fastidi o di veri e propri disturbi. Infatti spesso i cani che vivono dentro casa sono amorevolmente viziati dai padroni, che in questo modo però finiscono per far credere al cane che è lui ad avere il ruolo del caposquadra. Per esempio, se gliele facciamo vincere tutte, se lasciamo che sia lui a uscire dalla porta prima di noi e a guidarci durante la passeggiata, lui penserà di essere il capobranco. E per il cane questo ruolo non è che sia così gratificante, perché si sente in dovere di coordinare la vita del gruppo, e soffre se poi questa funzione, con altri atteggiamenti che per lui sono contraddittori, non gli viene riconosciuta.
Dunque siamo noi che dobbiamo imparare il linguaggio del cane, abituarci a lasciarlo annusare gli odori che trova lungo la passeggiata, e che costituiscono per lui il giornale del quartiere, dobbiamo abituarci a non tirare il guinzaglio quando incontra altri cani, ma a lasciarlo libero di interagire. Se lo rimproveriamo per una cosa sbagliata, e lui mostra segni di pacificazione, come abbassare le orecchie, non dobbiamo insistere con il tono di rimprovero, perché il cane a quel punto non ci capisce più niente. Peraltro per il cane la punizione peggiore è il nostro disinteresse. Se ha fatto una cosa sbagliata e subito dopo noi non gli diamo attenzione, è certo che non ripeterà quel comportamento. Perché nulla è più importante per il cane che interagire con noi. E da questo rapporto noi umani abbiamo da arricchirci tanto.
Il dizionario è completato da un’appendice normativa, anch’essa del tutto originale, perché è strutturata come un glossario, dalla A di addestramento e anagrafe canine fino alla V di viaggio con il cane, assolutamente attuale viste le iniziative del Ministro del Turismo Michele Brambilla a cui ho fatto sopra riferimento.
Ma io vorrei chiudere questo mio intervento proprio con le righe iniziali dell’introduzione di Marchesini, laddove si legge: “Facce della stessa medaglia poetica e unica ode alla vita, uomo e cane si sono plasmati vicendevolmente, l’uno ha domesticato l’altro”. Ebbene, sarà forse perché in questa frase vi sono le parole “ode” e “poetica”, ma è me è venuta subito in mente la poesia “Ode al cane” di Pablo Neruda. E poiché in questa meravigliosa poesia sono racchiusi magicamente tutti i concetti di cui andiamo parlando, ve la leggo volentieri:
Il cane mi domanda e non rispondo.
Salta, corre pei campi e mi domanda senza parlare
e i suoi occhi sono due richieste umide, due fiamme liquide che interrogano
e io non rispondo, non rispondo perché non so, non posso dir nulla.
In campo aperto andiamo uomo e cane.
Brillano le foglie come se qualcuno le avesse baciate a una a una,
sorgono dal suolo tutte le arance
a collocare piccoli planetari su alberi rotondi come la notte, e verdi,
e noi, uomo e cane, andiamo a fiutare il mondo,
a scuotere il trifoglio, nella campagna cilena, fra le limpide dita di settembre.
Il cane si ferma, insegue le api, salta l'acqua trepida,
ascolta lontanissimi latrati, orina sopra un sasso,
e mi porta la punta del suo muso, a me, come un regalo.
E' la sua freschezza affettuosa, la comunicazione del suo affetto,
e proprio lì mi chiese con i suoi due occhi, perchè e' giorno, perchè verrà la notte,
perchè la primaveranon portò nella sua canestra nulla per i cani randagi,
tranne inutili fiori, fiori, fiori e fiori.
E così m'interroga il cane e io non rispondo.
Andiamo uomo e cane uniti dal mattino verde,
dall'incitante solitudine vuota nella quale solo noi esistiamo,
questa unità fra cane con rugiada e il poeta del bosco,
perchè non esiste l'uccello nascosto, ne' il fiore segreto,
ma solo trilli e profumi per i due compagni:
un mondo inumidito dalle distillazioni della notte,
una galleria verde e poi un gran prato,
una raffica di vento aranciato,il sussurro delle radici,
la vita che procede, e l'antica amicizia,
la felicità d'essere cane e d'essere uomo trasformata in un solo animale
che cammina muovendo sei zampe
e una coda con rugiada.

lunedì 21 giugno 2010

Le macellazioni rituali - relazione tenuta al convegno del 20 giugno 2010 a Roma (sala Pintor - Redazione Carta)

Le macellazioni rituali sono pratiche che interessano in particolare la religione ebraica e islamica, e consistono nell’uccisione di un animale causata dal taglio della trachea e dell’esofago con l’utilizzo di una lama molto affilata e senza alcuna intaccatura nel rito ebraico o di uno strumento acuminato in quello islamico, al fine di assicurare una recisione netta ed immediata dei vasi sanguigni con un unico taglio.
Il punto focale, da sottolineare subito, è che l’animale sottoposto alle macellazioni rituali deve essere integro, e dunque, dopo essere stato immobilizzato, viene ucciso, come sopra detto, senza previo stordimento, mediante la recisione della trachea, dell’esofago e dei grandi vasi sanguigni del collo. Nei casi di macellazione non rituale, invece, l’animale viene immobilizzato meno rigidamente, stordito con un colpo di pistola a proiettile captivo che penetra nella corteccia cerebrale (se è un bovino) oppure con altri metodi che vedremo in seguito, e poi ucciso mediante recisione di almeno una delle due carotidi, o dei vasi sanguigni da cui esse dipartono. Per altre specie animali, come accennato, vengono usati altri metodi di stordimento, come l’elettronarcosi per volatili e suini. Tali tecniche di stordimento sono giudicate lesive dell’integrità dell’animale e pertanto sono respinte dalla comunità musulmana ed ebraica.
Nella religione ebraica le prescrizioni alimentari trovano il fondamento nella Torah (nella Genesi, nel Levitico e nel Deuteronomio), e sono note come prescrizioni sul cibo kasher. La frase “macellerai nel modo che ti ho comandato” (Deut. 12.21) indica una precisa normativa su come si macella, che risale dunque alle origini stesse dell’ebraismo.
Occorre sottolineare che, secondo un’interpretazione di alcuni brani della Bibbia (Genesi, 1.29, 9.4), l’umanità sarebbe stata inizialmente vegetariana, per diventare carnivora solo in un secondo momento, dopo aver ricevuto un’autorizzazione divina. Stando a questa interpretazione, che peraltro concorda con studi scientifici e antropologici circa l’iniziale dieta vegetariana dell’uomo, il cui apparato digerente è simile a quello degli erbivori, il mangiare carne costituisce la violazione di un ordine che può essere lecito solo a determinate condizioni. C’è dunque la consapevolezza di una violenza implicita nell’alimentazione carnivora, per cui l’uccisione di un animale viene vissuta con un senso di colpa. Lo stesso senso di colpa che si ritrova, a bene vedere, anche in epoca contemporanea, per esempio nelle pagine del romanzo “Il vecchio e il mare” di Hemingway, quando il pescatore protagonista del romanzo chiede perdono a Dio per la vita che aveva tolto a un bellissimo esemplare di pesce appena issato su dal mare. Lo studio delle religioni dimostra che questo senso di colpa è comune a molte culture. Lo stesso sacrificio, inizialmente, avrebbe questo senso di colpa come movente fondamentale, per cui l’offerta dell’animale alla divinità non era il fine ultimo dell’azione, ma il mezzo per consentire all’uomo di cibarsi della carne dell’animale sacrificato. Solo successivamente il sacrificio avrebbe acquistato il significato più ampio di espiazione da tutte le colpe commesse, e non solo quella relativa all’uccisione stessa dell’animale (si legga sul punto il contributo del Rav. Riccardo Di Segni, Macellazione Rituale, in Guida alle regole alimentari ebraiche a cura dell’Assemblea dei Rabbini d’Italia).
Il discorso che stiamo facendo riporta alla nostra attenzione un problema di importanza fondamentale, e cioè quello della stessa uccisione di un animale ai fini dell’alimentazione umana. L’uomo è ciò che mangia, diceva Feuerbach, e il mio pensiero, sul punto, è che quanto più una società progredisce, tanto più ci si rende conto che l’alimentazione carnivora comporta l’accettazione di una visione violenta della realtà, che invece un atteggiamento etico, verso cui l’uomo pure tende, porta gradualmente a superare.
A tali considerazioni occorre aggiungere che, mentre in un recente passato l’organizzazione agricola e rurale della società poteva giustificare ancora l’uccisione di animali a scopo alimentare, nell’attuale società industrializzata i procedimenti di uccisione degli animali hanno assunto caratteri di inaccettabile violenza. In una società come la nostra, in cui si è perso ogni contatto diretto con il mondo animale e la carne si compra in macelleria, l’uomo tende a non porsi alcun problema sulla vita dell’animale prima di essere macellato, e della tragedia che quotidianamente si consuma nei mattatoi. Le possibilità che ci vengono offerte di accrescere il nostro sapere, però, devono essere sfruttate per porci il problema sia della legittimità della stessa dieta carnivora (ma non è questa la sede per fare tali considerazioni) sia del trattamento migliore per gli animali che vanno incontro alla macellazione.
Nelle macellazioni rituali si avverte l’esigenza che l’uccisione dell’animale sia sacralizzata. Tale esigenza, per quanto ciò possa meravigliare, la si ritrova anche nell’etimologia del verbo “mactare” (da cui derivano le parole mattanza o mattatoio). Ed invero, il predetto termine latino deriva da “magis actus”, cioè rendere più grande, accrescere, sacralizzare (cfr. A. Di Nola, Antropologia religiosa, Vallecchi, Firenze 1974, pag. 210).
Da questo punto di vista, assume particolare importanza la prescrizione relativa alle particolari competenze che deve avere chi pone in essere la macellazione rituale.
Tale prescrizione la si ritrova anche nelle regole alimentari islamiche, secondo cui può macellare legalmente solo il musulmano dotato di discernimento e che non sia reo di colpe capitali, in quanto all’atto della macellazione è obbligatorio formulare l’intenzione ed invocare il nome di Dio, e ciò deve essere fatto in modo consapevole. Secondo le regole islamiche, si deve adoperare uno strumento di ferro ed acuminato, si deve orientare l’animale verso la quibla, e lo si deve adagiare sul fianco destro.
Le prescrizioni alimentari, nella religione islamica, trovano le loro fonti direttamente nel Corano (si tratta delle prescrizioni sul cibo halal, cioè consentito). Anche nelle previsioni islamiche, almeno nelle intenzioni si tende a evitare la sofferenza dell’animale, tanto che è vietato tagliare le parti del corpo dell’animale prima che muoia ed è vietato anche consentire che gli animali soffrano vedendo la macellazione degli altri animali.
Da questo punto di vista, sembrerebbero condivisibili le ragioni antiche della macellazione rituale. Quest’ultima, proprio per il fatto che sacralizza la procedura di uccisione dell’animale, come sopra detto, ne sottolinea la gravità: si sta dando la morte ad un essere vivente. Certo, anche per le macellazioni rituali l’industrializzazione ha probabilmente portato ad una graduale riduzione di questo originario significato, ma questa valenza etica va pur tenuta in considerazione.
Il problema è che queste regole sono state formate in periodi in cui le conoscenze tecniche erano ben diverse da quelle attuali, per cui le predette regole vanno riconsiderate alla luce degli attuali progressi tecnici, senza alterare il significato profondo delle macellazioni rituali.
Il cuore del problema delle macellazioni rituali è dato dalla dicotomia che si viene a creare tra la necessità di rispettare valori universali, qual è il diritto alla non sofferenza degli animali, che vale ad ogni latitudine, e l’attenzione per la specificità di ogni cultura, in particolare quella religiosa.
Oltre a tale problema, di tipo etico, vi è quello giuridico e politico della compatibilità delle macellazioni rituali con i principi della società italiana.
In particolare, il problema che deve essere analizzato è quello del rapporto tra la macellazione rituale e la libertà di pensiero e di religione. Le prescrizioni alimentari, sia ebraiche che islamiche, infatti, pur non consistendo in atti di culto, si risolvono comunque in pratiche di vita motivate da considerazioni religiose. In sostanza, se si dovesse negare il rispetto di queste prescrizioni religiose, ebrei e musulmani dovrebbero di fatto escludere la carne dal loro regime alimentare.
Diciamo subito che la libertà religiosa, quando si traduce in comportamenti esterni, deve rispettare alcuni limiti, ed in particolare quelli che riguardano la protezione dei diritti e delle libertà altrui, tra cui l’ordine pubblico, la salute e la morale pubblica.
Si tratta, sostanzialmente, di operare un bilanciamento tra la libertà religiosa (tutelata dall’art. 19 della Costituzione con il solo limite della tutela del buon costume, e dall’art. 9 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, con i predetti limiti dell’ordine pubblico, salute e morale pubblica) ed altri valori tutelati dal nostro ordinamento. Il benessere animale è senza dubbio oggetto di una sempre maggiore tutela nell’ordinamento italiano (basti pensare alla recente L. 189/04 sull’uccisione ed il maltrattamento di animali, che ha introdotto pesanti sanzioni di tipo detentivo per tali reati, ed ai progetti di legge finalizzati a conferire dignità costituzionale alla tutela dei diritti degli animali).
Gli studi scientifici propendono ad affermare che la macellazione preceduta dallo stordimento causa minore sofferenza all’animale rispetto a quella non preceduta dallo stordimento. Su tale presunzione si fonda la normativa italiana, che seguendo il modello indicato dalle direttive dell’Unione Europea, impone come regola generale quella dello stordimento, pur ammettendo alcune eccezioni, tra cui – per l’appunto – quella relativa alle macellazioni rituali.
E’ indubbio, inoltre, che l’immobilizzazione dell’animale destinato ad essere macellato senza previo stordimento richiede operazioni meccaniche più difficoltose e dunque più stressanti nell’animale, proprio nel momento che prelude la morte.
Allora, nell’operare il predetto bilanciamento tra rispetto per la libertà religiosa da un lato, e il rispetto per il benessere animale, io propendo per quest’ultimo, sulla scia di quanto affermato, seppure in modo blando, dal Comitato Nazionale di Bioetica su quest’argomento (ma anche nei casi di spettacoli ludici o sperimentazioni scientifiche), a meno che non si utilizzino tecniche che minimizzino la sofferenza animale. Si tratta, in sostanza, di individuare le tecniche che limitino la vigilanza dell’animale senza produrre quelle lesioni che ne riducano la integrità richiesta per le macellazioni rituali.
Le osservazioni svolte sulla macellazione rituale costituiscono l’occasione per effettuare una riflessione sull’intera legislazione riguardante l’allevamento degli animali destinati alla macellazione, che invero suscita perplessità, soprattutto nella fase dell’applicazione, in quanto gli animali sono sempre più inseriti in una filiera industrializzata, costituita dalla fase dell’allevamento, seguita dal trasporto sul luogo della macellazione ed infine dalla macellazione stessa, che spesso non presenta le condizioni richieste per poter parlare di rispetto dovuto agli animali.
In Europa, l’unico Paese in cui mi risulta essere vietata senza deroghe la macellazione rituale è la Svizzera. Anche in Svezia, però, mi risulta che non siano applicabili in nessun modo leggi in conflitto con quelle di protezione degli animali.
Alla protezione degli animali da macello è stata dedicata una convenzione europea, adottata dal Consiglio d’Europa a Strasburgo il 10 maggio 1979, che ha un ambito di applicazione più vasto della direttiva precedentemente emanata (la 74/577/Cee), in quanto si applica non solo a solipedi, ruminanti e suini, ma anche a conigli e pollame. La predetta convenzione ha confermato l’obbligo, già previsto dalla predetta direttiva comunitaria, di stordire gli animali prima della macellazione (art. 12), con la possibilità di deroghe proprio per le macellazioni secondo riti religiosi (art. 17 comma 1). Anche in tal caso, però, devono essere risparmiate agli animali le sofferenze evitabili (art. 17 comma 2).
Il rispetto delle esigenze religiose ebraiche ed islamiche in tema di macellazione rituale ha trovato il suo pieno riconoscimento in Italia con il Decreto Ministeriale 11 giugno 1980. Per quanto riguarda le comunità ebraiche italiane, poi, vi è stata una successiva intesa (del 27 febbraio 1987) la quale è stata allegata alla L. 101/89 che ha regolato i rapporti tra lo Stato e l’Unione delle comunità ebraiche italiane, e che ha conferito garanzia pattizia al predetto decreto ministeriale, per cui l’Italia potrebbe cambiare le norme sulla macellazione rituale solo d’intesa con l’Unione stessa.
Anche le esigenze religiose islamiche appaiono soddisfatte dal detto decreto ministeriale, visto che non sono mai state avanzate richieste di modifica del decreto da parte delle organizzazioni islamiche.
Successivamente è intervenuta la Direttiva del Consiglio delle Comunità Europee 93/119/Ce del 22 dicembre 1993, relativa proprio alla protezione degli animali durante la macellazione o l’abbattimento in modo da adeguare lo standard di tutela comunitario a quello della predetta Convenzione di Strasburgo del 10 maggio 1979, con conseguente abrogazione della direttiva 74/577/Ce. L’Italia si è adeguata alla direttiva con il D. Lgs. 333/98.
Attualmente, il D. Lgs. 333798 definisce lo stordimento come “qualsiasi procedimento che, praticato sugli animali, determina rapidamente uno stato di incoscienza protraentesi fino a quando intervenga la morte”, e sono state introdotte le definizioni di macellazione (“l’uccisione di un animale mediante dissanguamento”) e “abbattimento” (“qualsiasi procedimento che produca la morte dell’animale”).
Il predetto decreto legislativo elenca, per tutte le specie animali sottoposte a macellazione, i metodi di stordimento consentiti. Essi sono: 1) la pistola a proiettile captivo; 2) la commozione cerebrale; 3) l’elettronarcosi; 4) l’esposizione al biossido di carbonio. I metodi di abbattimento elencati sono: 1) la pistola o il fucile a proiettile libero; 2) l’elettrocuzione; 3) l’esposizione al biossido di carbonio. I predetti metodi di abbattimento possono essere utilizzati solo su autorizzazione dell’autorità competente.
Facendo una schematizzazione per le varie specie di animali, possiamo dire che in Italia i sistemi di stordimento, macellazione e abbattimento sono i seguenti:
1) per i volatili, si usa generalmente lo stordimento elettrico con bagno d’acqua, seguito da recisione dei vasi del collo (giugulazione);
2) per i conigli si utilizza la commozione cerebrale mediante percussione del cranio o elettronarcosi seguiti in ogni caso da giugulazione;
3) per i bovini e gli equini si utilizza generalmente lo stordimento mediante pistola a carattere captivo, seguito da giugulazione;
4) per i suini, gli ovini e i caprini, si utilizza generalmente l’elettronarcosi manuale (con le pinze), seguita da giugulazione.
Il D. Lgs 333/98 ha preso in considerazione anche le macellazioni secondo i riti religiosi, disponendo che siano sottoposte al controllo dell’autorità religiosa per conto della quale le macellazioni sono effettuate, la quale opera a sua volta sotto la responsabilità del veterinario ufficiale della competente unità sanitaria locale (art. 2, comma 1, lett. h).
E’ espressamente previsto, inoltre, che le disposizioni relative allo stordimento non si applicano alle macellazioni che avvengono secondo riti religiosi (art. 5 comma2). Occorre sottolineare, però, che questa non è l’unica eccezione. Infatti l’art. 9 stabilisce l’obbligo del previo stordimento alle macellazioni a domicilio da parte di privati per consumo familiare, ma solo per gli animali della specie ovina, suina e caprina, e non invece per i volatili da cortile e per i conigli.
La concessione della deroga senza preventivo nulla osta veterinario, per la macellazione effettuata per cosiddetto consumo familiare (ad esclusione dei bovini che non possono mai essere macellati fuori dagli impianti autorizzati) fa sì che il primo settore di “non stordimento” di animali macellati è quello familiare, maggiore in termini quantitativi di quello religioso. Quest’ultimo, però aumenta con l’aumentare della comunità islamica in Italia (mentre quella ebraica è sostanzialmente stabile). E questo è sicuramente un altro problema da affrontare, ma che esula dall’argomento di cui ci stiamo occupando.
E’ importante sottolineare che le macellazioni rituali sono dunque ammesse, ora, direttamente da una fonte normativa primaria (il predetto D. Lgs. 333/98), e non più da un atto amministrativo, quale era il decreto ministeriale dell’11 giugno 1980. Certo, il tutto sarebbe dovuto avvenire previa intesa con l’Unione delle comunità ebraiche, tenuto conto dell’intesa del 1987 cui si è fatto sopra riferimento. Tuttavia non risulta essere stata avanzata alcuna doglianza da parte ebraica.
Il D. Lgs. 333/98, è bene ripeterlo, impone però l’obbligo di risparmiare anche agli animali sottoposti alla macellazione rituale i dolori evitabili. E l’attuale proposta di legge, finalizzata a modificare il predetto decreto legislativo in modo da impedire le macellazioni rituali, si propone di eliminare l’aggettivo “evitabili”: all’animale sottoposto alla macellazione va risparmiato qualsiasi tipo di dolore. Per questo si propone di utilizzare, per lo stordimento, solo i metodi più indolori, e cioè la pistola a proiettile captivo e il biossido di carbonio, eliminando l’elettronarcosi.
Anche da parte di alcuni esperti ebrei è stata sostenuta la necessità di costruire apparecchiature speciali per bloccare l’animale in preparazione alla schechitàh (macellazione rituale), al fine di non infliggere all’animale sofferenze evitabili. Tali apparecchiature, però, per quanto ho avuto modo di apprendere, non sono presenti in tutti i mattatoi. Peraltro autorevoli fonti, tra cui la Federazione dei Veterinari Europei contestano la dura e improvvisa manipolazione che l’animale subisce prima della giugulazione. Quindi è certamente necessario fare dei passi in avanti per risolvere il problema di cui stiamo parlando.
Ci sono segnali che vengono dal mondo in tal senso. Da quello che mi risulta, la Malesia, Paese a maggioranza islamica, ha reso obbligatorio lo stordimento. E al macello di Bolzano mi risulta sia praticato lo stordimento di ovini e caprini per la comunità islamica, stante l’obiezione di coscienza del personale veterinario, fatto salvo il diritto di preghiera e rito verbale
Colgo l’occasione per fare un’ultima considerazione, riprendendo un’osservazione fatta dal Dott. Riccardo Di Segni, che ho già citato, secondo cui l’argomento delle macellazioni rituali denota grandi punti di contatto tra la cultura ebraica e quella islamica, che si trovano tuttora ad essere fortemente contrapposte a causa di estremismi che rendono difficile il compito di valorizzare i punti comuni tra queste religioni. Occasioni come quella che ci viene data da questo convegno sono utili per intensificare sforzi di convergenza anche verso le istanze che vengono dai paesi europei su temi significativi, tra cui, per l’appunto, quello delle macellazioni rituali.